Paul Klee, Ad Parnassum, 1932. Olio su tela, 100×128 cm. Kunstmuseum, Berna.
Nozioni di base dell'arte astratta
Tanto per fornire al lettore un quando e un dove: l’astrattismo, movimento artistico di avanguardia, è nato nei primi anni del XX secolo in Germania, dislocandosi in zone del paese abbastanza lontane tra loro, nelle quali assunse variabili visive, oltre che concettuali. Di base, per arte astratta si intende tutta quella produzione artistica, il cui principio ruota attorno all’esecuzione di opere capaci di esplorare realtà svincolate dalla tradizioni artistiche precedenti, dove i colori e le forme diventano il nuovo centro di una narrazione, pronta ad esternare le emozioni, le idee e l’esperienze dell’artista. È bene specificare come esistano due modi di essere astratti: uno parziale e l’altro completo. Nel primo caso si parla di opere che continuano a presentare soggetti identificabili, i quali sono stati però semplificati, distorti, resi in maniere non realistiche o tolti dal loro contesto abituale. A proposito dell’astrazione completa, invece, facendo riferimento ad essa si parla di produzioni che esulano dal raffigurare contesti, volti a trarre ispirazione dalla realtà visiva effettiva. In entrambi i casi, lo scopo è quello di mettere in discussione lo scopo e il significato dell’arte, svincolandolo eventualmente dal suo rapporto col mondo circostante, ampliando i confini di ciò che poteva essere inteso in qualità di produzione artistica. Si giunge conseguentemente a sfidare i più tradizionali canoni estetici, al fine di prendere l’arte per mano e condurla verso modalità più aperte e sperimentali. Quest’ultime risultano essere particolarmente efficaci ogni qual volta si voglia esternare principi filosofici e ideologie, idee talvolta troppo complesse e sfuggenti per essere intrappolate nei soggetti figurativi. In questo “gioco” è compreso anche lo spettatore, il cui ruolo assume una nuova importanza: quella di prodigarsi ad interpretare quanto vede, sia a modo suo, sia confrontandosi col punto di vista dell’artefice. Adesso che abbiamo sinteticamente chiarito il contesto storico-artistico nel quale ci troviamo ad operare, è possibile partire con la nostra top 10, che, in ordine cronologico di data dei dipinti mostrati, potrà essere considerata come una sorta di continuazione della suddetta narrazione, capace di presentare le varie evoluzioni del movimento in questione.
Vasilij Vasil'evič Kandinskij, Senza titolo (primo acquerello astratto), 1910. 49,6 x 64,8 cm. Centro Georges Pompidou, Parigi.
I primi 10
1.Wassily Kandinsky, Senza titolo (Primo acquerello astratto) (1910)
Perché inizio con Kandinsky? Ho scelto di posizionare al numero uno della mia classifica Untitle, in quanto la critica fa iniziare l’Astrattismo con questo quadro, acquerello in cui il pittore russo ha eliminato qualsiasi riferimento al mondo visibile, facendo ricorso ad una sintesi tra musica e pittura, volta a generare immagini di nuova concezione, capaci di alludere a stati d’animo ed emozioni, che scaturiscono dall’utilizzo di studiati colori, linee, punti e macchie, organizzati in modo estremamente armonico. Adesso possiamo aprire una piccola parentesi critica, in quanto, prima di Kandinsky, già il Cubismo e l’Impressionsimo si spinsero a creare immagini al limite della comprensione visiva, si pensi semplicemente all’operato di Braque e di Picasso, oppure alle ultime ninfee di Monet. Ad ogni modo, però, all’interno delle loro opere il riferimento al mondo visivo reale perdura, mentre in Untitled l’artista ha deliberatamente deciso di eliminare qualsiasi riferimento alla realtà tangibile, per dipingere semplicemente linee, macchie e segni, volti ad rappresentare solo loro stessi. Di fatto, l’acquerello è occupato da macchie brune, gialle ed arancioni, alcune più corpose altre meno, che danno vita ad un agglomerato simile a costellazioni, il cui ritmo da senso alla composizione, unitamente alla armonizzazione conferita dai colori e dalla relazione tra i segni.
Joan Miró, Il cacciatore (Paesaggio catalano), luglio 1923-inverno 1924. Olio su tela, 64,8 x 100,3 cm. Mamma, New York. @sseph888
2.Joan Miró, Il cacciatore (Paesaggio catalano) (1923-24)
La posizione numero due della mia classifica spetta, per ordine cronologico, e quindi per data d’esecuzione dell’opera in questione, a Joan Miró con il suo Il cacciatore (Paesaggio catalano), dipinto che diviene esempio della sopra citata arte astratta parziale. Posso affermare con sicurezza quanto appena dichiarato, in quanto il capolavoro, se osservato con attenzione, palesa la resa di un peculiare paesaggio animato da figure umane e animali, concepite per alludere a un preciso periodo della vita dell’artista, relativo all’arco di tempo in cui egli visse nella fattoria della sua famiglia a Montroig (Catalogna). Perchè c’è la volontà di portare lo spettatore in questo luogo della Spagna? Il dipinto potrebbe effettivamente parlare della terra del maestro, col fine di far emergere una certa tendenza al nazionalismo catalano, riscontrabile nell’allusione alla tipica danza della regione, esplicitata dalla parola “sard”, che si unisce alla presenza della bandiera catalana, oltre a quella spagnola e francese. Tralasciando le deduzioni, ciò che è certo sull’opera è che essa rappresenta lo stesso maestro, raffigurato, come in altre occasioni, nelle fattezze di un cacciatore. Mi riferisco a quella figura stilizzata dalla testa tringolare, che, nella parte sinistra del supporto, è intenta a tenere in mano un coniglio appena ucciso e un fucile ancora fumante. Ad ogni modo, tutto ciò che è stato appena descritto si può allo stesso modo interpretare, facendo semplice riferimento alla dimensione onirica, poichè il capolavoro surrealista è frutto dell’automatismo, ovvero dell’uso del subconscio, congeniale alla resa di nuove forme e interpretazioni del reale.
Piet Mondrian, Composizione con rosso, giallo e blu, 1930. Olio su tela, 45 cm × 45 cm. Kunsthaus Zurigo
3.Piet Mondrian, Composizione con rosso, giallo e blu (1930)
Torniamo all’astrattismo completo con Piet Mondrian e la sua popolare Composizione con rosso, giallo e blu, opera realizzata nell’epoca a cavallo tra le due guerre mondiali, ovvero nel periodo più florido della produzione del maestro, che, date le suddette circostanze, si sentiva effettivamente più sereno e quindi maggiormente capace di dedicarsi alle sue ricerche artistiche, aventi per fine l’obiettivo della sintesi neoplastica. Mi riferisco a quel processo di semplificazione formale, volto a raggiungere uno specifico desiderio di purificazione spirituale sentito dal pittore, il quale, identificandosi anche con gli studi teosofici, arrivò progressivamente ad abbandonare la figurazione. Quanto appena descritto si concretizza nell’opera sopra enunciata, contraddistinta dalla presenza di righe nere spesse, che, tra loro ortogonali, creano delle campiture rettangolari e quadrate, alcune delle quali colorate, appunto, in rosso, giallo e blu. La scelta dei colori primari è intesa per riprodurre un equilibro formale e cromatico, specchio della ricerca spirituale del pittore, che considerava come guida l’equilibrio universale, in questo caso riscontrato nell’assenza di un centro geometrico compositivo, capace di presuppore che il capolavoro possa, eventualmente, anche estendersi al di fuori del campo dipinto.
Paul Klee, Ad Parnassum, 1932. Olio su tela, 100×128 cm. Kunstmuseum, Berna.
4.Paul Klee, Ad Parnassum (1932)
Ci troviamo di fronte ad un’altra astrazione parziale, mi riferisco ad Ad Parnassum, capolavoro su tela che Klee realizzò ispirato dal suo soggiorno italiano di sei anni prima, durante il quale rimase colpito dai mosaici di Ravenna, che ripropose mediante una nuova fisionomia, resa da una specifica tecnica neo divisionista. Di quest’ultima si scorgono le peculiari pennellate puntiformi, realizzate per generare una tessitura cromatica fitta, in cui il colore emana una luce particolare, la quale, accesa e viva, rievoca in un raggio di luce l’esempio paleocristiano. A proposito di cromatismo, ciò che segna il supporto sono decisamente le tonalità dell’azzurro-verde e del giallo-arancio, la cui vividezza apporta un certo dinamismo alla totalità della visione. L’uniformità della brillantezza viene però spezzata dall’imporsi della presenza di alcune linee, concepite per dar forma alla sagoma di una collina piramidale, accompagnata da un sole alto nel cielo. Infine, terminiamo la descrizione in questione citando le stesse chiarificatrici parole dell’artista: "Il soggetto era il mondo, se pure non questo mondo visibile". Nonostante tali parole, ciò che osserviamo non perde effettivamente il contatto con la realtà da noi conosciuta, anche se la rievoca nella forma del ricordo e del frammento, narrati mediante una complessa armonia di colori, pronta a rivelare le melodie musicali, che il maestro, da abile violinista, ben conosceva.
A sinistra: Ben Nicholson OM, 1934 (relief), 1934. Pittura a olio su mogano, 718 × 965 × 32 mm. Tate. @ jay.parmar
5.Ben Nicholson OM, 1934 (relief), 1934
Per comprendere il capolavoro di Nicholson dobbiamo partire dal contesto storico, in cui l’artista sviluppò il suo punto di vista sull’arte. Il pittore iniziò a sperimentare differenti modalità di resa dello spazio nel turbolento periodo a cavallo tra le due guerre, ovvero quando, gli artisti guardarono all’astrazione, per ricercare un’ormai perduta innocenza e purezza nella razza umana. Questi stessi propositi furono perseguiti da Nicholson mediante la realizzazione di rilievi superficiali, in cui le aree di differenti profondità definivano lo spazio, talvolta, colorato soltanto in bianco o in grigio, ovvero nelle tonalità della purezza. Più tipico esempio di questa pittura monocromatica e multistrato è, appunto, 1934 (relief), capolavoro che nasce dall’influenza che Mondrian esercitò sul maestro, allo stesso modo di Mirò e Calder. Per creare l’opera in questione Nicholson intagliò un cerchio e un quadrato da una tavola di legno, alludendo all’idea della mancanza, pesante presenza in tempi di conflitto. Infine, l’uso delle forme geometriche, oltre che la stratificazione dimensionale e la tavolozza monocromatica, sono congeniali alla rimozione delle emozioni.
A destra: Mark Rothko, White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose), 1950. 205,8 cm × 141 cm. La famiglia reale del Qatar.
6.Mark Rothko, White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose) (1950)
Nel 1950 Rothko iniziò a dividere la tela in fasce orizzontali di colore, White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose) è, appunto, stato realizzato durante quest’anno. Il capolavoro presenta una composizione frontale, dove ampie fasce di colore sembrano fluttuare, per fondersi con il campo di colore sul quale sono poste. Possiamo riassumere il tutto dicendo semplicemente: White Center fa parte dello stile multiforme distintivo di Rothko, in cui i diversi blocchi di colori complementari si sovrappongono su di una grande tela. Descrivendo con l’aggiunta del colore, l’opera parte con un rettangolo orizzontale giallo, prosegue in una striscia orizzontale nera, una banda rettangolare bianca, culminando nella metà inferiore di tonalità lavanda. La luminosità del tutto è data dalla ripetuta stratificazione di sottili velature di pittura, mediante le quali emergono dagli strati superiori alcune sottopitture. Quanto analizzato potrebbe essere riproposto, sicuramente con delle varianti, per tutto l’operato di questo periodo del pittore, che era intento a cercare sottili variazioni in proporzione e colore, suggerendo molteplici emozioni e atmosfere, aventi la finalità di avvolgere il fruitore.
Jackson Pollock, Convergence, 1952. Olio su tela, 237 cm × 390 cm. Museo d'arte AKG di Buffalo, Buffalo. @Jackson_pollock
7.Jackson Pollock, Convergence (1952)
La tela è percorsa da segni aggrovigliati e la presenza delle linee circolari nere appare uniforme su tutto il supporto, mentre in altre parti sono visibili tracce di colore rosso, giallo, blu e bianco. Mi riferisco all’opera che occupa la posizione numero sette, Convergence, olio inizialmente giudicato dalla critica come poco entusiasmante, ma che divenne in un secondo momento estremamente noto. L’iniziale scetticismo degli storici dell’arte fu probabilmente legato al fatto che l’opera, inizialmente in bianco e nero, risulta essere un ripensamento del pittore, che successivamente vi aggiunse ulteriori cromie. La rivincita di Convergence non avvenne solo con le rivalutazioni posteriori, ma anche per merito di Harold Rosenberg, critico d’arte che vi riconobbe il più alto esempio di espressionismo astratto e di action painting. Mediante quest’ultime definizioni intendo banalmente la pratica artistica elaborata dal pittore, che, durante la realizzazione delle sue opere, lasciava liberamente fluire i gesti più istintivi, traducendoli in tele dall’inconfondibile energia.
Helen Frankenthaler, Mountains and sea, 1952. Olio e carboncino su tela, 220 cm × 297,8 cm. Galleria Nazionale d'Arte, Washington, DC @ helenfrankenthalerfoundation
8.Helen Frankenthaler, Mountains and Sea (1952)
Parliamo di tecnica: Mountains and sea è stato realizzato mediante l’azione di posizionare la tela grezza, e non preparata, sul pavimento, per colarvi sopra la vernice di olio e di trementina. Mi riferisco quindi alla pratica pittorica personale della Frankenthaler, che prende il nome di staining, in questo particolare caso da lei eseguita per la prima volta. Il risultato sono campi di colore trasparenti, che sembrano flutturare, ma che sono in realtà tenuti saldi dalla trama della tela, volta a conferire piattezza e staticità. In questo contesto i colori non trovano una collocazione casuale, ma funzionale all’evocazione di un ambiente naturale, ogni volta unico e diverso. Similmente a Convergenze, Mountains and sea, prima opera esposta professionalmente dalla Frankenthaler, venne inizialmente criticata, ma successivamente compresa, tanto che il New York Time gli dedicò questa delicata e celebrativa descrizione: "Mountains and Sea" è "un'evocazione leggera e diafana di colline, rocce e acqua".
Robert Motherwell: Elegy to the Spanish Republic n. 57, 1957-1961. Carbone e olio su tela, 213,36 cm × 277,18 cm. Collezione SFMOMA.
9.Robert Motherwell: Elegy to the Spanish Republic No. 110 (1971)
Il capolavoro in questione nasce, come si può intendere parzialmente dal suo titolo, dai ricordi che la guerra civile spagnola lasciò impressi nella mente del pittore, all’epoca degli atroci fatti soltanto ventunenne. L’impatto di questo nefasto evento fu tale che Motherwell non ripropose l’argomento soltanto in Elegy to the Spanish Republic No. 110, ma in una serie di più di 200 dipinti dedicati a questo tema. In modo analogo, possiamo ricordare il celebre Guernica di Picasso, che datato 1937, riporta, ancora una volta, all’episodio della guerra civile spagnola. Nel caso dell’autore di Elegy to the Spanish Republic No. 110, però, il conflitto in questione diviene un modo per alludere ad ogni forma di ingiustizia, tanto che egli concepì la suddetta serie in qualità di commemorazione della sofferenza umana, sentimento che si esplicita nella forma di simboli astratti e poetici, in cui si contrappongono morte e vita. Questo modo d’operare dell’espressionismo astratto eredita alcuni elementi del linguaggio del Simbolismo francese, in particolar modo quello di Stéphane Mallarmé, poeta sostenitore del fatto che, piùttosto che l’evento o l’idea, si dovrebbe rappresentare l’effetto emotivo da essi prodotto. Infine, la suddetta opposizione tra vita e morte viene concretamente resa sul supporto mediante la giustapposizione del nero e del bianco, oltre che dal contrasto tra forme ovali e rettangolari.
Gerhard Richter, Abstraktes Bild, firmato, datato 1987, numerato 636. @theartbystander
10.Gerhard Richter, Abstraktes Bild (809-1) (1994)
Il capolavoro di Richter, dipinto noto per figurare nella lista delle sue dieci tele più costose, facente parte di una serie di quattro opere, è il risultato di un complicato, ripetitivo e probabilmente noioso processo di creazione, di cui il supporto stesso è testimone, in quanto esso riporta i segni di alcune temporali interruzioni del lavoro. Ad ogni modo, Abstraktes Bild, una volta concluso, ha dato forma a strisce e a macchie di vernice, che sono state trascinate fino al bordo del quadro, mediante l’uso di un raschietto, per poi essere arricchite dall’apporto di altri colori stesi in maniera analoga. Di fatto, il processo di applicazione della materia pittorica, rapido, casuale e ripetitivo, prevede che gli strati di colore si succedono fino a che l’artista non considera il dipinto completato. Questo fa riflette sul come, mediante la sovrapposizione dei diversi strati, le modalità di realizzazione dell’opera risultano essere riconoscibili solo superficialmente, poichè, di fatto, esse rimangono celate nei livelli sottostanti. Ad ogni modo possiamo descriver Abstraktes Bild così: una superficie di linee verticali e orizzontali ricche di colore, intese dall’artista per trasmettere calma e armonia al fruitore.