Antimo Mascaretti
ho iniziato l'avventura dell'arte verso la fine degli anni'60 del Novecento. Ho studiato la tecnica pittorica degli antichi maestri senza mostrare i miei lavori in pubblico fino agli anni '80. dopo un periodo di esperimenti con vari materiali (gomma piuma, sughero, stracci) sono tornato ad una figurazione più personale che non ho più lasciato. Dipingo di solito per cicli.Le opere che qui presento sono di diversi cicli negli anni.Per quanto riguarda il mio curriculum espositivo rimando al mio sito personale www.antimomascaretti,com, ho comunque esposto sia in Italia si all'estero in numerose mostre personali.(non espongo più da tempo in esposizioni collettive). I miei cicli più importanti sono: "Ciclo di Melville (anni '70) "Indagine futurista" (anni 70/80), "Monocromi" (anni '90/2000) "Nuovi monocromi" (2010) "macchinine a pedali"('10) fino a gli ultimissimi "La domenica dello sciamano" (2013) "Strappati al dilagare del nulla"('14) e infine "Verso Oriente" in cui tento un recupero, attraverso un ritorno verso il Mediterraneo "...antiquam exquirite matrem", delle due grandi tradizioni quella occidentale fondata sulla figura e quella islamica fondata sul segno e la decorazione. Ritengo che questa sia la via per un'arte europea finalmente autonoma dalle influenze d'oltreoeano e che ritorni a guardare la grande tradizione che ci appartiene e che da sempre vuol dire primato inarrivabile dell'arte al mondo. Ho scritto negli anni più recenti libri teorici, in tiratura limitata e numerata fuori commercio, che hanno come soggetto le problematiche della pittura e dell'arte in genere.
Sono disponibile per un contratto di esclusiva solo con importante galleria/ gruppo mercantile referenziato, al fine di raggiungere un collezionismo attento di alto livello.
Scopri opere d'arte contemporanea di Antimo Mascaretti, naviga tra le opere recenti e acquista online. Categorie: artisti italiani contemporanei. Domini artistici: Pittura, Collages. Tipo di account: Artista , iscritto dal 2009 (Paese di origine Italia). Acquista gli ultimi lavori di Antimo Mascaretti su Artmajeur: Scopri le opere dell'artista contemporaneo Antimo Mascaretti. Sfoglia le sue opere d'arte, compra le opere originali o le stampe di alta qualità.
Valutazione dell'artista, Biografia, Studio dell'artista:
a cavallo verso la porta dell'arcobaleno • 311 opere
Guarda tuttoil nome • 1 opera
Guarda tuttoestate :gatto nero • 1 opera
Guarda tuttole amiche • 1 opera
Guarda tuttoda un tema di Goya • 1 opera
Guarda tuttoRiconoscimento
Biografia
ho iniziato l'avventura dell'arte verso la fine degli anni'60 del Novecento. Ho studiato la tecnica pittorica degli antichi maestri senza mostrare i miei lavori in pubblico fino agli anni '80. dopo un periodo di esperimenti con vari materiali (gomma piuma, sughero, stracci) sono tornato ad una figurazione più personale che non ho più lasciato. Dipingo di solito per cicli.Le opere che qui presento sono di diversi cicli negli anni.Per quanto riguarda il mio curriculum espositivo rimando al mio sito personale www.antimomascaretti,com, ho comunque esposto sia in Italia si all'estero in numerose mostre personali.(non espongo più da tempo in esposizioni collettive). I miei cicli più importanti sono: "Ciclo di Melville (anni '70) "Indagine futurista" (anni 70/80), "Monocromi" (anni '90/2000) "Nuovi monocromi" (2010) "macchinine a pedali"('10) fino a gli ultimissimi "La domenica dello sciamano" (2013) "Strappati al dilagare del nulla"('14) e infine "Verso Oriente" in cui tento un recupero, attraverso un ritorno verso il Mediterraneo "...antiquam exquirite matrem", delle due grandi tradizioni quella occidentale fondata sulla figura e quella islamica fondata sul segno e la decorazione. Ritengo che questa sia la via per un'arte europea finalmente autonoma dalle influenze d'oltreoeano e che ritorni a guardare la grande tradizione che ci appartiene e che da sempre vuol dire primato inarrivabile dell'arte al mondo. Ho scritto negli anni più recenti libri teorici, in tiratura limitata e numerata fuori commercio, che hanno come soggetto le problematiche della pittura e dell'arte in genere.
Sono disponibile per un contratto di esclusiva solo con importante galleria/ gruppo mercantile referenziato, al fine di raggiungere un collezionismo attento di alto livello.
- Nazionalità: ITALIA
- Data di nascita : 1951
- Domini artistici:
- Gruppi: Artisti Italiani Contemporanei
Influenze
Formazione
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Antimo Mascaretti
Georg Baselitz in occasione degli ottanta anni.
Due grandi retrospettive a Basel festeggiano gli ottanta anni di Georg Baselitz. Alla Fondazione Beyeler con circa novanta dipinti e diverse sculture e per quanto riguarda l' opera grafica, il Kunstmuseum ha allestito una mostra esaustiva di questo aspetto della produzione dell' artista tedesco.
Al di là delle celebrazioni, questa è un'occasione per parlare di alcuni aspetti cruciali della pittura degli ultimi decenni in Europa, ed anche del dominio ideologico anglosassone e segnatamente americano che dalla fine del secondo conflitto mondiale ancora perdura e purtroppo prevedo, durarà per chissà quanti anni ancora, Baselitz, a giudicare essenzialmente le sue opere è un artista non di primo ordine, spesso la sua produzione è certo molto mediocre e la pittura arraffazzonata, La trovatina del rovesciamento dei quadri nel momento di esporli non è certo frutto di una elaborazione teorica degna del Paese di Goethe, per non parlare della scultura che non merita neppure un commento. Allora si dirà, a cosa è dovuto il grande successo di questo artista a partire dalla metà degli anni '60 dello scorso secolo? Proverò a cercare di spiegarne la dinamica secondo il mio modesto avviso.
Il discorso critico su Baselitz non può in nessun caso ignorare la condizione particolare in cui si è trovata la Germania nei tanti anni di divisione al seguito del disastro della guerra. Tra la parte occidentale, che subito è stata soggetta all' influsso, anche artistico, degli americani e la parte orientale, ideologicamente orientata al predominio negli aspetti culturali di una dottrina sociale di tipo marxista, rigida ed intollerante. La differenziazione della produzione artistica delle due Germanie è stata ovviamente netta. Baselitz è stato uno degli artisti nato nella DDR, che per vicissitudini dovute alla sua intolleranza del regime, ben presto è emigrato nel settore occidentale. In sostanza il successo di Baselitz, che si mise in evidenza con una famosa mostra scandalo che finì anche in tribunale, è dovuto all'allineamento che questo artista ha subito assunto nei confronti del predominio culturale imposto in qualche maniera ìdagli occupanti.
Baselitz nega per la sua pittura persino un influsso netto dell' espressionismo, vero filone di arte veramente tedesca, forse l'ultima espressione di un arte che senza essere provinciale, metta in evidenza le specificità dell'arte tedesca da sempre ricercate dagli storici dell'arte di questo Paese. Questa negazione di Baselitz è singolare. in primis perchè la sua pittura pur essendo spesso fiacca, è di diretta derivazione proprio da quel fenomeno artistico, agli occhi di chiunque la guardi, ( si metta a raffonto la pittura di baselitz con quella dei "Neue Wilde" degli anni '80), in seconda istanza è sconcertante perchè quel diniego si sposa con un contemporaneo allinearsi al conformismo di mercato che l' ideologia americana trascina come male ineluttabile. Baselitz ha capito ben presto che se avesse voluto perseguire un'arte che affandasse le radici nella storia martoriata del suo Paese, non sarebbe stato gradito da quel mercato che è disposto a vendere a milioni di dollari qualunque idiozia, purchè non contrasti ideologicamente con lo strapotere che vi si sottointende. Anche un altro artista tedesco contemporaneo, che io reputo però, certamente molto superiore a Baselitz, cioè Anselm Kiefer, nel perido di maggior efficacia delle sue opere, quello iniziale, fu subito messo in "quarantena" da una visione ideologica che non lo poteva "utilizzare" così come si presentava in quella prima fase della sua evoluzione. Più tardi, l' artista, a mio modo di vedere, ha finito per perdere mordente, ha cominciato ad elaborare opere in linea con lo spirito decaduto dei tempi, e subito è esploso, quarda caso, un successo internazionale veramente rilevante.
Cosa ci fa pensare tutto questo? Che la mistificazione dell'arte ha raggiunto il suo culmine. Il predominio di un mercato conformista e mortifero ci annoia persino. Poco ci importa se Baselitz ha venduto la sua arte all'illusione americana di un predominio anche culturale sulla vecchia Europa,( che non è mai esistito nonostante le bombe atomiche). Ci interessa invece, la riflessione obbligata sul fatto se esista o meno ancora una arte contemporanea "europea", con le specificità dei vari Paesi che appartengono al vecchio continente. Sembrerebbe di no. Certo, molti artisti lavorano emarginati ed in silenzio, ma essi non avranno mai il plauso delle grandi gallerie americane e meno che mai i favori delle aste, condizionate dal medesimo conformismo letale. Tuttavia la certezza che artisti non allineati ci siano, non consola circa l'andamento generale e dovrebbe finalmente costringerci a prendere posizione netta per una differenziazione della nostra tradizione, con tutti i drammi che pure ci sono stati, da un modo di intendere prima che l'arte, la vita e il mondo. Ma episodi come quello recentissimo, dell'espulsione in massa di diplomatici russi dall' occidente, decretata come marionette dai vari Paesi europei e non solo, al seguito di un episodio enfatizzato dal governo conservatore inglese, senza prove certe ed in maniera francamente risibile, non lascia sperare bene circa l'avvento di una concezione del mondo che finalmente si allontani da una anacronistica divisione del pianeta in marcate sfere di pesante influenza, la quale purtroppo, come sappiamo bene, non si limita certo alla politica e all'economia.
Antimo Mascaretti
La patente
In ogni paese sano l'affermazione non dico del genio (che è cosa fin troppo rara nell'Italiatta che ci ritroviamo), ma almeno del talento, avviene sempre in un processo dialettico di opposizione. Il talento si afferma "contro", come ebbe a constatare anche Albert Camus, uomo tra gli ultimi intellettuali d'Europa, munito ancora di solidi attributi, oltre che di cuore ed intelligenza rara. Per questo motivo probabilmente è ormai "dimenticato" nei brevi sunti di di letteratura in uso nella cloaca massima della scuola pubblica, dove pare che si formino, da qualche tempo, i migliori coltelli di Toledo. Da noi, nell'Italiatta arena dei mediocri e dei leccaculo professionisti, il talento, particolarmente quello artistico, si afferma con la corrente, cavalcando l'onda, nella spinta comoda dell'imitazione di ogni possibile coglioneria. D'altra parte la coglioneria è il solo modo di essere, avvertito riconosciuto ed imitato, dalla generale ignoranza belluina e violenta, tornata di gran moda.
Eppure la constatazione di questo fatto perniciosissimo, di cui si potrebbero numerare infiniti esempi probatori, non è cosa trascurabile. Siamo rimasti gli ultimi a pensare, di certo in Europa, ma forse anche nel resto dell'Occidente, che per approssimarsi a certe discipline, per assumere ruoli chiave, non occorra altro che il pressappochismo dei "paraculi", dei faccendieri e delle facce di bronzo.
Non parlo nell'arte, della quale in questo Paese non si sa più riconoscere alcuna significazione (se non in riferimento alle statistiche turistiche), almeno dal tempo in cui il Prof. Argan, inaugurò una nuova era critica saltando ideologicamente a pié pari sui carri armati del generale Patton fermi nelle piazze d'Italia che furono un tempo di De Chirico, ( e dove il loro peso "culturale" ancora si fa sentire molto chiaramente), ma neppure in politica, si può ben dire, che le cose vadano diversamente. Sui colpi di genio di quegli agglomerati eterogenei che sono le formazioni politiche, tra avanspettacolo e opera buffa, ci aggiornano tuttavia,per tutto il giorno, le reti televisive "obbligatorie" alle quali siamo abbonati "forzosamente", in nome della "libertà di informazione", ( che sarebbe poi, la libertà dei "compagni di merende" piazzati nei ruoli dirigenziali, di mangiare con sufficiente sicurezza e con continuità generazionale...), mediante un balzello anacronistico e infame.
Per guidare uno scooterone con targa, per andare a pescare, o persino per annientare le resistenze di poveri risparmiatori, per tutto insomma, occorre una patente, una licenza, una abilitazione, mentre per sgomitare nei canali di scarico della rachitica politica, di partitini, partitoni, micropartiti, veri, virtuali e nati morti e seguiti dalle masse al punto da poter tenere il loro congresso annuale o straordinario dentro una "cinquecento L", basta avere una faccia di bambino nullafacente che "ha visto la Madonna", in un fisico vestito dell'abitino della domenica, oppure una faccia da "Pierino" con la vocazione al "bauscia" e la a aspirata, o peggio, un muso da teppista incazzato di Quarto Oggiaro, dall'occhio spento e "patinato", e puoi aspirare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e alle più altre cariche istituzionali. Non dovrebbe far riflettere questo strano fenomeno? Per i danni più devastanti sul piano della vita sociale, quelli prodotti cioè, dal matrimonio e dall'ondeggio dei culi dei politici intruppati nei partiti, non è richiesta patente, meno che mai una alta scuola di specializzazione e nemmeno la frequenza di un campo di addestramento minimo. Siamo gli unici ad avere e a tenerci cara, una sorta di "Ecole Sub-normale" per la guida del Paese. E si vede.
Antimo Mascaretti
Arte, Mitologie, canzonette.
Negli anni si diventa più rigorosi, quando la nostra pittura si fa più essenziale, indifferente alle lusinghe, alle considerazioni critiche che la vorrebbero appartenente a questo o quel filone oppure, per richiami più o meno evidenti, affine a questo o quel movimento. Ora non c' è cosa più noiosa che quell'incasellare, nel grande puzzle della pittura moderna, opere ed artisti, eppure è quanto di meglio riescono a fare le mediocri meningi di quel che resta della critica d'arte, ormai fauna protetta, se si dovessero prendere in considerazione quei pochi, sparuti e solitari, che ancora vi si dedicano, data l'insignificanza pressoché totale delle espressioni pittoriche degne di attenzione. Anni, decenni forse, di basso impero. Ad una società conformista, violenta e nello stesso tempo melensa e logorroica, corrisponde una pittura altrettanto finta, manieristica, ripetitiva di stanchi stilemi, una pittura morta e cerebrale, inespressiva quanto e forse meno di carta da parati, un lontano ricordo di quello che fu l'esplosione di lava incandescente, cuore e lapilli e cenere eruttutati dalla pittura per tutto il Novecento. Visitare una fiera dell'arte è ripercorrere la via crucis del nulla, in mezzo ad una pletora di brutte opere, spente, la ripetizione delle ripetizioni di ciò che era già sciocco e risibile all'origine. Sull'essenza ultima dell'uomo, dell'esistenza, nulla o talmente poco, da far venire da piangere. Alla fine ci si riposa gli occhi su qualche capolavoro di tanti e tanti anni fa, in bella mostra in qualche stand di gallerie blasonate ma chiuse da tempo immemore a nuove indagini di nuovi artisti, tanto sono appagate da quegli antichi oggetti, da non sentire alcun bisogno di uscire dalla bottega. Ma non vorremo veramente far finta di credere che la pittura debba essere quell'insieme di finte scenografie per il teatro pseudoscientifico o tecnologico? Dovremmo dunque applaudire le tante trovatine misere, minimaliste idiozie sputate da artisti esordienti già vecchi, già assuefatti dal denaro, intossicati dalle troppe, immeritate considerazioni entusiaste circa i loro aborti prematuri? Spero proprio di no. Per quanto mi riguarda, e sono certo di non essere solo in questa convinzione, la pittura antica o moderna che sia, e persino contemporanea, per usare la più stupida delle stupide approssimazioni in voga tra i nani del talento e dell'intelligenza, non è, se non ha per soggetto vero, soggetto unico possibile, l'analisi anzi, la vivisezione o l'autopsia dell'essere umano e del suo mondo, nelle sue ultime vere, essenziali appunto, manifestazioni e motivazioni. La vita insomma, resa attraverso quel mezzo espressivo miracoloso e difficile che è sempre stato la pittura, nelle sue verità incontrovertibili, nelle sue manifestazioni prive finalmente, di ogni vano cianciare, di ogni retorica, che sia ideologica, politica, religiosa. Retorica come rappresentazione di fasulli assetti sociali, degli incongrui modi di esistenza in disfacimento irreversibile, come appare, a chi sa ben guardare, nelle realtà virtuali dei media, nonostante le dissimulazioni penose ancora e sempre derivanti da quella patologia ideologica che da noi esiste come patologia endemica a partire da quella stupidità che fu in buona sostanza, ciò che ancora si definisce "il '68". Sparuti vecchi sopravvissuti usi ancora a cucinare nel gran pentolone per cannibali, canzonette, e "santini" della scarna mitologia dell storia del presunto progressismo, con fictions, pessimi film di pessimi registi, nonché attori alla moda insieme a fasulle manipolazioni/ interpretazioni storiche e sindacali, ed ancora arte di epigoni senza speranza, e personaggi così screditati che non trovano, per i loro ossuti culi, poltrone in soprannumero, nel puttanaio obbligatorio dei talk show televisivi. Tutto questo strudel di stronzate, questa melma di avanzo, è secondo costoro, che sono in pianta stabile accampati nelle televisioni di Stato e non solo, "cultura popolare", e non la malattia infantile di gente cresciuta male con le fatidiche "quattro paghe per il lesso" di cui pure hanno goduto prima i loro padri e i loro nonni, ed oggi, nel loro usurato e liso conformismo, loro medesimi. C' è nel progresso medico, speranza di cura per simile cancro diffuso e pervasivo? Sembrerebbe ancora di no e meno che mai nell'arte, nella pittura, che ne esce al contrario bastonata e dai faccendieri e dai presunti artisti, un prodotto di scarto senza vita e cuore da far rabbrividire e voltare lo sguardo altrove.
Ma questo discorso che cerchiamo di rendere persuasivo quanto più possibile, attraverso opere lanciate "senza paracadute" nel vuoto conformismo senza resurrezione possibile, appare vano.
La dissoluzione dell'arte a merce ha anche questa metastasi diffusa: si vende meglio ciò che decora, ciò che ispira quell'impossibile serenità e appagamento che si vorrebbe anche regalata dal miraggio di vacanze esotiche o più semplicemente da un cervello sottoposto a ripetuti e prolungati elettroshock fino a che sia incapace di sentire e vedere.
La desolazione e la freddezza del rigore di poche linee tirate in bianco e nero, è sempre il "buen retiro" del neo piccolo borghese che ama la tecnologia che lo fa sentire ricco e vivo, che lo porta a spasso sull'ultimo modello di auto e moto, a morire magari strafatto di droghe e scemenze, con intatto il suo nucleo di ignoranza atavica. Ma la vera pittura, quella che poi rimarrà dopo le macerie dell'effimero, non ha nulla da dire al perfetto idiota, né a tanta gente perduta nell'insignificanza di un vivere di apparenze. Noi ci rivolgiamo e dipingiamo per quei pochi ostinati che cercano motivazioni al loro essere, alla loro difficile vita.
Antimo Mascaretti
Arte e veleno
Oltre i sessant'anni, a meno di non essere stupidi (ma gli stupidi si sa, nel nostro assetto sociale sono da tempo estinti), non ci si meraviglia ancora che esista il male. Quasi nessuno di quei chiacchieroni che pure pretenderebbero di parlare d'arte attraverso le loro favolette letterarie, si è mai interrogato circa la riflessione sul male così come appare nelle opere d'arte. Per male non intendo certo le storture sociali, i difficili assetti dei rapporti tra le classi (ma chiedo scusa, per un attimo avevo dimenticato che anche le classi, nell'assetto sociale contemporaneo sono sparite...), ad ogni modo, io mi riferisco al Male pervasivo del mondo, e da artista, sono certamente immune dal considerarlo quel male, un mezzo "difetto" della conoscenza , come può invece crederlo l'ingenuo cultore delle scienze naturali.
Nelle mie opere, che acconsentirei volentieri a definire prive di illusioni, l'azione del Male in rapporto all'umano è come una esalazione di monossido di carbonio, invisibile ma non per questo meno letale. Un aria mefitica, velenosa che si respira assieme al soggetto della stessa pittura che si ha di fronte. La mia pittura ambisce non certo a "raccontare", piuttosto ad isolare come evento limite ogni volta, l'agitarsi dell'uomo, il suo spasimo estremo e goffo, il suo continuo dilemma generato dal contrasto tra l'idea di grandezza innata, l'idea di bellezza di cui abbiamo un vago ma fermo ricordo, e la limitazione malefica che ci avvolge tutti come fumo.
Antimo Mascaretti
Lo scorpione cura lo scorpione (Paracelso)
In una pagina illuminante di Tolstoj sull'artista si legge: " L'artista è colui che sarebbe felice di non pensare e di non esprimere ciò che gli è stato messo nell'anima, ma non può esimersi di farlo...". Parole che appaiono lontane, addirittura remote, al cuore della cosiddetta modernità che alleva volentieri covate di scemenze e le spaccia per libertà finalmente raggiunte. Parole dunque, prive di profondità come possono apparire oggi gli imperativi divini del monte Sinai. E' possibile che ci si debba rassegnare all'idea che in una società quale la nostra, dove il palinsesto quotidiano è costituito da ignoranza truffaldina, raggiro e furberia, cinismo ed ipocrisia, l'artista sia comunque un intruso, un estraneo fastidioso che ci vorrebbe distogliere dal sonno greve, anzi dall'artificioso nirvana ottenuto con il continuo digitare sulle tastiere degli smartphones.
Ad una società povera in tutti i sensi, che ostenta ricchezze che in realtà non possiede, è ancora necessaria l'arte? L'arte come consolazione onanistica, come estetica dei piccoli piaceri solitari, certamente sì, ma non certo l'arte che ti butta giù dal cavallo delle certezze effimere come accadde a Saulo verso Damasco, e ti lascia per un momento cieco e disorientato, in preda al panico dell'idea della morte tanto esorcizzata dal mercato nel suo ottimismo allegro e cancerogeno. Ma quanti sono i praticanti quell'arte, oggi?
Antimo Mascaretti
Unrat a Roma
Scrive in un dialogo tardo quattrocentesco, "Specchio d'Esopo", Pandolfo Collenuccio, umanista pesarese legato alla corte di Ercole d'Este: "...et è filosofo, ma non come li altri che con sillogismi e longhe narrazioni e difficili mostrano a li omini la via della virtù...Ma ha trovato una nova via breve et espedita, per la quale pigliando argomento di cose umili e naturali, con dolci esempli dimostra quello che a li omini sia utile." In tal modo io tento di conformarmi, io, nemico mortale di quei volumi scritti da personaggi più o meno credibili, nei quali l'arte diventa oggetto di chiacchiera colta. In una società dove ciò che veramente conta è il possesso del denaro e del potere, l'arte non trova di solito chi la difende da queste sciagure. Si può dunque affermare senza timore di sbagliare che l'equivoco sull'arte passa per la chiacchiera di personaggi che ci illuminano circa le loro preziosissime sensazioni provate guardando questa o quell'altra opera. Per non sbagliare, e rendere il loro immancabile libretto natalizio "accessibile al popolo", gli autori scelgono come oggetto di riflessione opere molto note e famose, sulle quali è stato detto tutto e di tutto, e quindi, non c'è possibilità di sbagliare. Diciamolo: l'opera d'arte è esperienza così complessa e ardua che come accade per il credo religioso, presuppone diversi livelli di approfondimento. Il livello accademico riservato agli studiosi seri che rifuggono dalle impressioni fugaci, personali, non suffragate dai fatti, e quello meramente divulgativo, appunto "per il popolo" che rimane un discorso di bella letteratura quando va bene. Ciò che veramente mi interessa è però riflettere sull'equivoco che si crea nel rapporto arte e pubblico, l'equivoco delle impressioni fugaci che spesso sono sollecitate anche dalla cronaca. Non credo che l'arte debba "essere spiegata" se non attraverso elementi di testimonianza ed analisi storica che la inquadrino in circostanze e riferimenti culturali, al contrario mi interessa di più la cronaca per individuare apparizioni dell'eccentrico rivelarsi del bello, che come si sa, non ha più cittadinanza in questo comune, in questa rocca di meretricio che è la nostra odierna società, e che pure, quel bello resiste ed insiste, irriverente, a scompigliare sovente le file dei benpensanti e dei baciapile. Sull'esempio di quanto scrive il Collenuccio, prendo spunto da un fatto di cronaca per un'ulteriore riflessione diciamo estetica. Un uomo maturo, oltre i conquanta anni, un professore, viene arrestato per aver avuto a che fare con una sua allieva di quindici anni. Il fatto è avvenuto in un liceo di prestigio. Perchè la cosa dovrebbe interessarmi un po' più delle coglionerie che ammanniscono i politici presi da perniciosa febbre elettorale, o più delle fesserie, delle fake news che dir si voglia, ascoltata di continuo in televisione? Perchè l'arte richiama ancora in chi si ritiene uomo incline al misticismo, l'idea del bello, e l'amore è consustanziale con quell'ideale, anche se lo scienziato cinico,alle prese con le palline colorate del DNA, si perde il meglio osservando tutto "troppo da vicino", delle nature tutte, reali, psicologiche, oniriche, e ci osteggia brandendo appunto il suo cinismo come una scimitarra affilata. Anche in una società di eguali (definizione quanto mai risibile e ridicola) il bello è e rimane la testa di Medusa che pietrifica lo sguardo e fa capolino come una divinità greca, dove più le aggrada. Torniamo dunque, legittimati a farlo in qualità di teologi del bello in tutte le sue forme, al fatto di cronaca. Il professore, una sorta di novello Unrat, perso al profumo delle calze nere di Lola Lola, e del loro contenuto, der Blaue Engel, avrebbe "abusato", è il termine televisivo, un termine moralistico/giuridico che nulla ci dice della verità inconfessata e chissà forse veramente inconfessabile. Io teologo del bello ma scettico più di un enciclopedista del secolo dei lumi (lda "lumen", luce indotta da artificio, da cui lume etc. e non "lux" luce inarrivabile, che si genera dal di dentro, per cui si giustifica la giusta diffidenza), mi permetto di non credere a "l'abuso", perchè abusare si può una volta, cogliendo la vittima di sorpresa, o anche opprimendola forse del peso della nostra autorità, del nostro ascendente morale, culturale, o infine, abusare si può con la brutalità della forza. Ma pur sempre una volta, prima che la vittima trovi modo di reagire. Ma il professore, stando alle lubriche cronache, lo avrebbe fatto per mesi, dando lezioni private alla sua allieva, proprio nei locali dell'augusto liceo. Nel tempo che viviamo, la vera realtà di una giovane quindicenne è ignorata soltanto nell'ordine, dai genitori di quelle marziane, dai legislatori, e dagli ipocriti della confraternita del giornalistume mediatico. Che una giovane donna di quindici anni "subisca" tacendo l'abuso, nell'epoca dove tutti gridano e sbraitano, appare quantomeno singolare per non dire inverosimile. Più inverosimili ancora appaiono quei termini alla Carolina Invernizio, quando i cazzi fatti di parole (per fortuna), volano in televisione più delle stelle cadenti il dieci agosto. Epoca davvero opaca, la nostra! Comunque sia, quelle inadeguatezze terminologiche sono frequenti nelle bocche precocemente rifatte di giovani lettrici di notiziari, che di precoce hanno purtroppo anche una senilità non curabile, mortale.
Intanto mi è tornata avanti la testa di Medusa, le cui sembianze, il bello demoniaco o divino ( come volete), può assumere quando vuole perdere qualche pover uomo. Siccome la bellezza, l'idea della bellezza come divinità inquietante non gode più credito nelle nostre lugubri contrade, nessuno ha osato nemmeno ipotizzare che Unrat, cioè il professore, se la sia trovata davanti d'improvviso quella testa, in quella giovane dea eterna e seduttrice, magari come Salomè, senza necessità di scomodare il Rettile suadente con il verbo, la parola, il Persuasore, capace di mietere vittime in numero ben superiore di quanto potrebbero mai farne le seguaci di Frine, prontissime a far cadere anche i sobri tailleurs pantalon di Armani. Il professore umanamente, è caduto di fronte alla dea quindicenne, si è lasciato inebriare, infettare, infrebbrare senza ritegno da quel profumo inimitabile della giovinezza in un corpo di donna, di una dea. E chi resiste ad una dea? Metto in fila davanti a voi, cari cento lettori, dei sampietrini degni di un antico suburbio della capitale, ben ordinati e della stessa misura. Ecco, prendete, chi si sente di poter tirare per primo? Nessuno? Bene, allora ascoltiamo il professore: " Ho perso la testa, ho tradito la mia famiglia, la mia professione, la scuola, etc. (dichiarazione avvocatesca, cioè arida come solo può esserlo un avvocato, dichiarazione priva di fantasia e di talento. Professore! Che delusione! Piombato di colpo nella melma della finta morale, come un suicida che si getti dall'ottavo piano. Davvero fine ingloriosa, fine da rinnegato, fine da Giuda. Perché, avendone finalmente l'occasione, Unrat non ha osato nominare la bellezza, la giovinezza, il fascino dell'arte? perché non ha portato a testimone a discarico quel profumo a cui non si poteva umanamente resistere? No. Il professore ha preferito arrendersi al conformismo e per questo sarà giustamente punito, condannato, anche da me, teologo del bello, ma appunto per questa sua pretesa giustificazione, per questa immonda caduta di stile.
Si dirà, si protesterà, che la ragazza aveva solo quindici anni, ignorando o facendo finta di ignorare che la vita sessuale di queste "bambine" oggi comincia a undici, al massimo dodici anni, ma comunque sia, piuttosto che "abusata" io preferisco ancora pensare a quell'amore irriverente, sfacciato, che se ne frega di tutto e tutti e anche di ciò che è o non è opportuno fare. Forse come sacerdote della bellezza sarò certamente di parte, e incline a sbagliare per ideale, ma in alternativa dovrei pensare all'opportunismo forse di entrambi i protagonisti della vicenda di cronaca, dovrei pensare a delle "lezioni" che sono state date reciprocamente e a ben caro prezzo, e non mi piace. Quell'idea offende la mia anima.
Antimo Mascaretti
Per ricordare
Tra le vittime non ci furono soltanto i morti, coloro che perirono tra stenti e torture, fisiche e psicologiche durante la reclusione negli immondi campi. Ci furuno anche innumerevoli vittime sopravvissute che portarono la morte per anni nella loro anima, prima che quest'ultima venisse annientata. Voglio ricordare tra i tanti, due miei "maestri": Peter Szondi e Paul Celan entrambi morti suicidi, spariti nelle acque di due fiumi, Celan a Parigi nel 1970 e Szondi nel 1971 a Berlino. Alla poesia di Celan, Szondi aveva dedicato molti suoi studi. Ricordiamoli, per un istante, insieme alle altre vittime dello sterminio, con una poesia, una poesia appunto, di Celan. La poesia testimonia la sopravvivenza dell'anima, ovunque e sempre.
L'arte paga il prezzo, l'uomo
non ne paga.
Voi siete per la libertà dell'arte,
dell'uomo
parlate solo sotto
questo
segno.
E tuttavia
è lo stesso
Dio in noi tutti, il Brutto-
Bello,
il Vero.
Attorno al Tractatus logico-Philosophicus di Wittgenstein e le "tre vie" -Parte III
Educato nella tradizione più ortodossa, cattolica apostolica romana, ho impiegato decenni per persuadermi che quella via religiosa che appare ai miei occhi così morta irrimediabilmente in piccole e grandi ipocrisie, così antitetica al mio essere e ai suoi bisogni, non fosse l'unico modo per affrontare la via mistica, così importante per quell'amalgama necessario alle tre vie per l'arte. Come si concilia una simile poetica con le interpretazioni del mondo? In altre parole, quale pittura è quella che tiene conto di una simile concezione ardita? In prima istanza c'è il rifiuto dell'accademia, della leziosa ripetitività, sia pure di stilemi efficaci. Una pittura che ambisce ad essere strumento di conoscenza, non può arrestarsi ad una interpretazione standardizzata della molteplicità dei fatti che pure, abbiamo accettato, costituiscono il mondo, oggetto privilegiato delle scienze naturali. Nella pittura che vogliamo, che vorremmo, deve trapelare anche il tentativo dell'andare audacemente oltre ciò che nell'espressione artistica non può apparire che limite inaccettabile, con in più, un costante guardare al mistero che alimenta la nostra anima insaziabile. Il nostro soggetto è tutto questo insieme. La nostra pittura tenterà di fermare in un universale a-logico, quell'amalgama triadico. Naturalmente io parlo della mia esperienza di pittore, ma per chi ha bene inteso il mio riferimento a Gaudì, avrà altrettanto chiaro che non si tratta di un problema di mezzi espressivi o di materiali utilizzati. Queste problematiche tecniche sono insignificanti per una visione complessiva quale quella che io propongo. Il problema dello spazio, della prospettiva, per la pittura, come altresì quello del tempo, appartenenti essenzialmente alla componente razionale, diventano altra cosa in rapporto all'espressione artistica come altresì in rapporto al mistero divino. La pittura si avvarrà come meglio è necessario, e di volta in volta, di concezioni attinenti alla logica matematica e ugualmente le violerà con disinvoltura in altre circostanze, secondo le esigenze proprie dell'artista creatore. Dunque potrebbe trattarsi alla fine, di un equivoco da dissipare. Ci presentiamo come pittori in pubblico, in cuor nostro come artisti, creatori, piccole divinità della rivelazione stupefacente che è l'uomo. In più, ci sentiamo sì pittori, perché è la pittura che ci caratterizza, ma non ci sentiamo pittori come coloro che combattiamo, di cui abbiamo ripulsa. Questi sentimenti (alla fine l'uomo è un rivelarsi sentimentale in ogni caso), non sono chiari in apparenza di certo, non lo sono in chi la pittura la ama, la cerca, come un' espressione fantastica che consente un perdersi dalla noia in nuove forme non necessariamente presenti fino a ieri nel mondo, forme che il linguaggio logico, rigorosamente matematico, ad essere conseguenti, non ci permette di nominare. L'equivoco sta in quella distanza, tra chi dipinge e si sente pittore storicamente, cioè inserito in un dato momento del divenire storico dei tanti fatti e avvenimenti, e chi invece, si definisce pittore, ma pensa alla pittura come verità sostanziale, nei confronti della quale poco ha senso la storia umana e delle cose. Noi cerchiamo di catturare quella verità che ci riguarda, ma non importa in che tempo della storia. Non una pittura rivoluzionaria si badi, perchè il rivoluzionario è sempre un sovvertitore di assetti consolidati, mentre noi si tenta di strappare verità sull' uomo anche contro la storia, verità in forma di intuizioni universali, in forma di poesia. Siccome ciò è vero solo nel cuore di pochi, tra i tanti che si definiscono pittori, l' equivoco permane irrisolto e non è questione da poco. Ora come si sa, la pittura o quel che si pensa resti di quella pratica antica, si è disfatta, autoliquidata in una asserita impossibilità a sussistere se non in invenzioni continue, susseguenti in un procedere per dialettica negativa, resterebbe difficile a molti prendere coscienza che si è ragionato per decenni, su una falsa questione.
I tempi cambiano, si dice, si evolvono (ma curiosamente resta difficile guardare l'esistenza al di là delle forme esteriori del momento). Ma noi non vogliamo dipingere il momento, ma la verità sostanziale. Non il racconto dell'uomo nella sua forma storica-evolutiva ( questo è compito di altre discipline, mi pare evidente), noi vogliamo dipingere la nudità dell'esistere che solo per alcuni aspetti marginali, superficiali, coincide con il momento, il nostro momento nella storia. La pittura, quella vera, non quella di chi si affanna per essere "contemporaneo" ai suoi tempi e dunque, non lo sarà fatalmente che per un irrisorio momento, ad una analisi che non sia quella pedante dell'erudito, del classificatore, insomma, ad una analisi che non serva a far trascorrere il tempo degli intellettuali che si compiacciono di piaceri solitari, si rivela sempre pittura di verità poetica, di intuizione rivelata. Pochi centimetri di tela o pochi metri non importa, che dicono un universale sulla vita, sulla viltà o sul coraggio, sul sentimento, sulla paura, sulla morte e il risorgere quotidiano della nostra umanità. Chi guarda in un quadro la foggia degli abiti, le acconciature dei capelli, i gioielli, gli ambienti e gli arredamenti, i mezzi di locomozione? Solo l'erudito, il pedante, il notaio delle passioni raffreddate come lava esiccata, senza che quell'azione, quell'indagare, abbia valore men che marginale, se si guarda alla pittura dalla parte della verità che possiede e tiene fermamente. Ecco, è quella la pittura che vorremmo dipingere, è quello nel nostro cuore il vero, l'unico obiettivo che ci muove.
Se non avete una vostra raccolta di libri, una vostra libreria organizzata che è cresciuta con voi, che vi ha accompagnato lungo tutta la vita, entrate in una di quelle enormi cattedrali di libri e sfogliate a caso un catalogo. un testo di molti anni fa, che parli di pittura o meglio di pittori. Leggerete argomentazioni, polemiche, partecipazioni ed esposizioni, disquisizioni critiche, e di tutto quello che state leggendo vi capiterà di ammettere con voi stessi, con sgomento, nulla più vi riguarda, o aggiunge qualcosa di significativo al vostro esistere. Eppure il pedante, l'erudito dirà che quella è storia, storia dell'evoluzione dell'arte. Ma a noi interessa al contrario, la verità che è in Caravaggio come in Picasso, in Michelangelo come in Bacon e in altre centinaia di grandi artisti, quella verità che sentite raschiare la vostra pelle come cartavetro, bruciare le vostra interiora come acido muriatico, trapassarvi come una stilettata improvvisa, inaspettata di un sicario che vi attendeva paziente, al varco. Noi pittori, in cuor nostro artisti, creatori inconfessati, vorremmo per le nostre opere, almeno per dieci o venti nostri lavori in un' intera vita, tutto questo, e sarebbe quanto di più si possa chiedere al destino per una pittura sentimentale.
(continua)
Antimo Mascaretti
Attorno al Tractatus logico-Philosophicus di Wittgenstein e le "tre vie" -Parte II
Purtroppo, ma forse non a caso, molti artisti, temendo in cuor loro il cortocircuito della coscienza davanti al nero dell'indicibile, hanno preferito perdersi seguendo volentieri il richiamo delle sirene di uno sperimentalismo inutile e sterile che ha ridotto l'espressione artistica ad un gioco di apparenti casualità ludiche, o indagini non essenziali, irrilevanti, concernenti i mezzi stessi dell'espressione d'arte, quasi in risposta ad un bisogno di legittimazione. Discorsi ed opere, per nulla rispondenti al bisogno di assoluto che caratterizza l'essere umano. La considerazione pascaliana: "...Et quand cela serait vrai, nous n'estimons pas que toute la philosophie vaille une heure de paine", rivolta alla filosofia esercitata senza "la mistica del cuore", varrebbe molto di più nel campo dell'espressione artistica dove, un gran numero di folli cerca a tutti i costi una originalità evanescente, consistente essenzialmente in trovate puerili, ricercate a lungo, in luogo di quella profondità rischiosa e maledetta dello spirito, cui si è palesemente rinunciato e programmaticamente. Il restare ancorati alla realtà del dolore e dell'incomprensibilità dell'esistere è buon antidoto a quelle fughe verso una creazione artistica di paccottiglia, che riesce a mala pena ad "ornare" un esistere sperduto in un oceano di fatti (la realtà conoscibile del mondo). indipendenti tra loro, come se un'azione di ornamento potesse bastare, all'animo esigente dell'uomo, di chi vorrebbe appropriarsi a tutti i costi della conoscenza ultima!
Ora a tutti è chiaro che non siamo soltanto ciò che il metodo logico matematico circa la dicibilità del mondo ci condurrebbe a pensare. Noi sappiamo attraverso la riflessione, il rovello sul nostro essere non puramente animato dal sentimento animale, come attraverso le continue domande che insorgono alla nostra intelligenza, che altro intuiamo di noi, in quella coscienza bisognosa di assoluto, nel corso della vita, e la stessa insorgenza del desiderio di rappresentare (che spinge all'esperienza creativa, artistica), e ugualmente lo stesso desiderio di vedere la vita e la realtà come una misteriosa creazione divina (desiderio della via mistica), ci dice che probabilmente, il bianco rigore del Tractatus si ferma all'imperfezione dello strumento logico applicato, alla limitatezza di un metodo inteso a rendere dicibili i fatti costitutivi del mondo, come unica possibilità concessa alla logica di spiegare quel groviglio di accadimenti. Come Wittgenstein si ritirò, sconfitto da quello stesso scontro con l'impietosa verità del metodo per dire la realtà, spesso anche noi saremmo indotti a desistere per arrivare alla stessa conclusione dell'autore del Tractatus che: " su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere". ma anche se la nostra speculazione sull'esistenza, sul Bene e sul Male, su una possibile metafisica, etc. si riducesse, coerentemente al metodo, al mutismo, rimarrebbe comunque il desiderio che è il presupposto della conoscenza, di ogni conoscenza e dunque, anche di quella non logica, conoscenza estetica o mistica. E' solo la riflessione sul nostro essere individuale che riammette come possibile, ancorché non dicibile attraverso il metodo della logica applicata al linguaggio, tutta una dimensione nuova e immensa, spazi inesplorati ed insondati dell'essere di cui non possiamo argomentare, ma che non cessa di ispirare il desiderio per tentativi arditi di conoscenze diverse da quelle ottenute con la metodologia delle scienze naturali. Così io avverto come incontestabile la possibilità di una estetica fondata sull'esistenza anzichè su universali di tipo platonico. L' origine dell'estetica che mi interessa per la mia arte, la individuo in quell'oscuro tracciare scene di caccia, di vita, e di azione presente nelle grotte di Altamira e Lascaux.
Coniugare razionalismo e arte è stata azione quanto mai vana, col risultato di opere attorno alle quali ben poco si può dire nel senso di conoscenza del vero, della realtà dei fatti. La freddezza della razionalità applicata all'esperienza artistica è glaciale. Nulla o ben poco di vivo e di umano si riscontra in simili lavori, mentre ci dovrebbe far riflettere in profondità la differente percezione che si prova di fronte alle stupefacenti applicazioni matematiche della decorazione islamica, ispirate a coniugare l'essenza della divinità e la bellezza dei segni e dei rapporti armonici delle invenzioni illustranti lo stesso mistero divino mentre si rivela in quelle armonie. Anche quelle esperienze artistiche racchiudono una sintesi eccelsa, quell'amalgama di razionalità, mistica ed arte. Di fronte a tanta stupefacente e suggestiva bellezza, la pochezza di esperienze dell'arte moderna e contemporanea in Occidente, è veramente deprimente e disarmante.
Nella mia personale esperienza, dopo pochi anni di suggesione all'interno di un informale ddecisamente tardo, fu la mia insoddisfazione a spingermi a ripercorrere a ritroso le mie scelte ed in tal modo iniziai un nuovo rapporto con la tradizione artistica italiana ed europea. Sempre l'insoddisfazione mi fece constatare con amarezza, l'insorgere di continui manierismi nelle esperienze artistiche nate a partire dal secondo dopoguerra. La mia anima fu subito satura da tanto inutile ripiegarsi in se stessi, senza saper prendere le distanze opportune dalle nefaste influenze provenienti da oltre oceano. Niente mi è stato sempre più estraneo e direi anche più ripugnante, della concezione dell'esistenza e del mondo anglosassone. la mia pittura non si potrà mai conciliare con quel modo di concepire la vita, l'economia, i valori, la cultura. la mia riflessione sulla necessità della coesistenza nell'arte delle tre vie, quella razionale, quella mistica e quella propriamente artistica, negli ultimi anni si è fatta più insistente, fino ad oggi, dove il primato della razionalità appare al contrario, assoluto, monotono, quasi violento.
Non solo è necessario uscire dalla gabbia di vetro che una concezione della modernità male intesa erige di continuo attorno alla nostra libertà di sentimento, ma occorre anche avere coscienza delle tante strade senza uscita finora praticate, se si vuole tentare ancora di dipingere in maniera significante. Spesso osserviamo che c'è molto di irrazionale negli accadimenti della vita. In un primo momento siamo portati a pensare alla follia che serpeggia nel mondo e non alla inadeguatezza dello strumento attraverso il quale miisuriamo e giudichiamo i fatti. per Wittgenstein, nell'ambito della logica non v'è altro per allargare la propria visione, però lo stesso Wittgenstein lascia aperta la possibilità teorica di tentativi tendenti a superare quell'angustia di azione, fermandosi però davanti alla soglia del misticismo. Ed è in questa direzione che si innesta la possibilità di una espressione artistica come altra forma di conoscenza. Anche se la parola "conoscenza" è bene che rimanga appannaggio delle risultanze delle scienze naturali, per evitare fraintendimenti. Questa problematica mi pare venire in superficie ugualmente osservando ad esempio, le diverse coniugazioni del monoteismo in materia di espressione artistica, sia pure attraverso argomenti di tipo teologico.
(continua)
Attorno al tractatus logico-Philosophicus di Wittgenstein e le "tre vie" -Parte I
Quando un'angosciata insonnia, al chiarore lunare, ci induce a pensare la nostra opera, un quadro, un testo poetico, un romanzo o addirittura l'intera nostra opera, come null'altro che vanità, si è arrivati al punto cruciale, al momento in cui, riflettendo sul proprio lavoro, se ne avverte la distanza che mai avremmo sospettata, dal mondo e dallo spirito, insieme.
La nostra opera è trasformazione, trasfigurazione della realtà, in quanto tale è altra cosa dal reale. una riflessione appunto, una maniera di specchiarsi, specchiare. Ma irrimediabilmente "altra cosa". Così, allo stesso modo, sentire la propria opera altra cosa da sé, la rende lontana dallo spirito. Noi, purtroppo, nel nostro disperderci nel tempo, non siamo più quelli che sentirono quell'emozione che dette vita a quella determinata opera, che si identificarono illusoriamente con essa, almeno per un momento.
Rimane l'insufficienza, avvertita quasi con fastidio, dell'opera creata riguardo la nostra esistenza. Essere noi i creatori di una data opera, anche quando la si sente riuscita, lascia persino stupefatti, indifferenti.
Il perfetto ingranaggio di continue trasformazioni fantastiche elaborate a partire dalla realtà è dunque, allora da considerarsi rotto, e siamo soli. Tutto è illusione. Certamente. Ma è possibile riempire il tempo della disillusione? Quella distanza tra il nostro vuoto interiore e la nostra morte? la vita, ad un dato momento, riprende il sopravvento sull'illusione dell'arte. Rimaniamo attaccati affettivamente alla nostra opera come se essa fosse un espediente prezioso, una magia segreta, per ricostruire il tempo che abbiamo purtroppo perduto. Non vorremmo mai liberarci, distaccarci dalle nostre opere per nessun motivo, non vorremmo assistere alla dispersione del meglio di noi o in ogni caso, di una parte essenziale del nostro essere. Ma ciò è necessario per la vita dell'opera che inizia a vivere pienamente il suo più profondo significato nel momento in cui noi, a malincuore, rinunciamo ad essa nel nostro spirito. A rifletterci, se avessimo ceduto quelle opere tanto tenpo fa, dove sarebbero ora? Ma adesso, nello stato d'animo di perdita irreparabile che avvertiamo, ne siamo gelosi. Irrazionalmente. Qualunque cifra ci venisse offerta ci apparirebbe insufficiente, non potrebbe mai compensare la perdita, il dissolversi del meglio di noi. Se cediamo alle offerte, ne soffriamo come per un tradimento. Ma anche questa è pazzia. Illusione.
Un tempo, ed è triste verità, avevamo con facilità l'estro di aprire la porta dell'immaginazione, e quel gesto compensava la pochezza della vita, l'insufficienza del vivere che avvertivamo già come una catena. una catena da dover sopportare perchè quel miracolo potesse avverarsi. Oggi non siamo più così vogliosi di inseguire le chimere dell'immaginario, ed è come se ci accingessimo a morire innanzi tempo. Siamo morbosamente legati a ciò che realizzammo un tempo, perché non siamo più così sicuri che potremmo ancora realizzare con quella stessa esuberanza, quella sicurezza che ci caratterizzava irriverenti, ribelli, al divenire illogico, senza alcun senso, della vita biologica. Non ho mai compreso appieno quegli artisti che producono a dismisura. Non li ho mai sentiti del tutto autentici nel lavorare con forza in direzione della verità dell'essere. Ma forse il mio rigore luterano a volte, non è abbastanza indulgente. Il mio giudizio sferzante non si riferisce certo agli artisti di corte che avevano, un tempo, un compito istituzionale. io mi riferisco invece all'artista di oggi, il disincantato, il commediante in un ruolo minore, marginale. Colui che è consapevole che niente è più sacro e dunque, tutto può essere opera satanica. Produrre centinaia e centinaia di opere, spesso senza anima, a quale scopo? Mi capita pero spesso di dimenticare nella mia visione irriverentemente romantica, il mercato, l'esigenza di vivere, di sopravvivere, l'infernale necessità che lavora costantemente contro la libertà dell'opera. Non riesco a pensare tuttavia, con ragionevolezza, a più di qualche centinaio di opere in una vita, al più, un migliaio. D'altra parte a cosa si riduce di significativo la vita di qualunque uomo che non possa essere compensata da poche centinaia di lavori?. Nella dismisura c'è puzzo di zolfo, c'è compiacimento di sé, c'è gratuito edonismo, lo spirito che burla se stesso.
Anche per la via estetica occorre ripartire da un testo che per molti versi è stato una pietra miliare per la filosofia moderna: il Tractatus di Wittgenstein, che tra pochi anni celebrerà il centenario dalla prima pubblicazione (1921). Considerato o di converso, non considerato abbastanza, quel libro essenziale del Novecento europeo, avrebbe dovuto essere il punto di partenza della riflessione sull'esperienza estetica con tutto ciò che consegue, a partire dagli anni venti dello scorso secolo, fino a noi. Il Tractatus corcoscrive la "dicibilità del mondo", confinandola nelle rappresentazioni delle scienze naturali. Constatazione impietosa di quanto poco fosse veramente comprensibile alla logica del linguaggio, di quella realtà del mondo consistente in fatti.
Questa estrema conquista fu insieme lo scacco di Wittgenstein che abbandonò, dopo questo lavoro, per molti anni la stessa filosofia, anzi si risolse a mutar vita radicalmente. Fu chiaro ed incontrovertibile che al di là della parcellizzazione specialistica delle scienze naturali, restavano per sempre fuori dal "dicibile" sia tutto ciò che concerne la metafisica esistenziale, sia appunto, l'espressione estetica che "è e non argomenta". Mentre ciò che è possibile indagare attraverso le scienze, si è ancora di più approfondito dal tempo del tractatus, né la via mistica né il campo dell'espressione estetica ha permesso conquiste significative, almeno in Occidente, di pensiero e/o azione. L'espressione artistica addirittura è arrivata a coincidere proprio con una continua, aberrante, assurda concettualizzazione senza fondamento logico, e dunque un discorso che si potrebbe tranquillamente definire l'argomentare del non senso.
Pochi si sono resi conto di aver infilato la testa in un sacco senza possibilità di uscita nel tentare spiegazioni pseudoscientifiche dell'espressione artistica, e tanto meno gli artisti, quasi mai rigorosi nell'impeto della passione. Infatti testi e manifesti di movimenti e gruppi attivi nel Novecento, sono composti in gran parte di astruse argomentazioni alle quali corrisponde in genere un affannato nulla espressivo, mentre altre volte, e per fortuna, la verità delle loro opere è ben superiore a tutte le astruserie concettuali che le hanno viste nascere. La lezione del tractatus, attraverso un giusto approfondimento, avrebbe potuto consistere in una necessaria esplorazione di nuove vie dello spirito, verso un al di là logico, per arrivare dove il linguaggio logico metodico ha ben compreso di non poter arrivare e quindi di non poter dire. Pochi, pochissimi hanno compreso l'importanza di quella delimitazione di campo necessaria tracciata da Wittgenstein. Si sono invece, esplorate, da molti, vie dell'effimero, con miseri risultati che presentano, per accompagnamento, quelle dense e insensate argomentazioni di cui si è fatto cenno. Una miseria solipsistica almeno quanto una modernità che è caratterizzata, fondata, dalla rinuncia a capire in profondo i quesiti essenziali dell'esistere. A me è parso che la via estetica fosse praticabile proprio a partire da quel nodo essenziale che è l'esistenza. Fin dall'inizio, mi fu chiaro che si trattava e si tratta di arrivare, per vie non razionali, (superando in tal modo l'angustia del pensiero neopositivista anglosassone), all'espressione artistica, non in relazione ai fondamentali delle scienze naturali, ma all'opposto, ai desideri, alle esigenze dello spirito sul quale nulla si può dire al di fuori e della via estetica e della via mistica. L'arte più interessante della modernità, via via fino ad oggi, è quell'agire in sintesi, ma questa parola non arriva ad illustrare bene (e non potrebbe farlo in ogni caso, secondo la lezione del tractatus), una sorta di amalgama tra ciò che sappiamo ed utilizziamo del mondo in certezze logiche e ciò che sentiamo essere possibile oltre quel limite. Mi viene in mente ad esempio, l'esperienza di Antoni Gaudì nella "Sagrada Familia", dove in una fusione unica, l'esperienza razionale, la via mistica, e l'espressione artistica, trovano soluzioni unitarie altissime, insuperate, e insperabili, a voler restare nella limitazione paralizzante di una conoscenza puramente razionale.
Giunto attraverso l'analisi logica del linguaggio alle soglie dell'indicibile, non restava che abbracciare il silenzio. Wittgenstein lo fece con determinazione. Scomparve allontanandosi dalla filosofia, anzi si dileguò per anni dal mondo, anni dei quali non sappiamo nulla. trascorse il tempo facendo il maestro elementare in un piccolo paese fino all'espatrio in Inghilterra, per "motivi razziali" come moltissimi altri in quel tempo. Ma anche in quel Paese, nonostante una cattedra universitaria di prestigio, si circondò di pochi e fidati allievi vivendo appartato, in una piccola casa con soltanto una sedia per arredamento. Il dramma dell'uomo che scopre il silenzio del Deus Absconditus, va ancora una volta in scena. Il mistico, colui che sa che la realtà dei fatti,la realtà costitutiva del mondo, non è tutta la realtà possibile, si mostra, senza bisogno del linguaggio fatto di segni interpretativi. Si mostra allo stesso modo dell'oggetto creato nell'azione estetica, dell'espressione artistica, la quale, come anche la vita di Gaudì curiosamente mette in evidenza, non è meno "impossibile" ad essere vissuta se non con la sublimazione nell'opera, continua ed incompiuta.
La prigione durissima dell'esistenza è insensibile, indifferente alle domande, alle grida dell'uomo perso nel suo desiderio di conoscere sempre insoddisfatto, nella sua impossibilità a comprendere oltre i propri deboli strumenti, nella dolorosissima solitudine in "infinito universo e mondi".
Antimo Mascaretti
Manifesto per una pittura sentimentale, per meglio dire filosofica, 2018
Il quadro generale dell'arte oggi, è sconfortante.Si dirà: "Ma come gli artisti sono migliaia, le mostre innumerevoli e continue!" Eppure, a ben guardare, la desolazione è altresì totale. I curatori, personaggi ibridi che hanno occupato il posto che un tempo era dei critici d'arte, ogni giorno inventano temi più o meno astrusi, attorno ai quali riunire una coorte di "mezzecucchiare",petits maitres che dir si voglia, artisti mediocri di ogni età, aspiranti all'onore della cronaca, anelanti in cuor loro unicamente a valori mobiliari, i quali in teoria dovrebbero essere quanto di meglio l'arte, la pittura di questo Paese decaduto, africanizzato, riesce al momento, ad esprimere. La banalità e il conformismo di mercato ammorbano l'aria. Le gallerie d'arte o ciò che ne è rimasto, sono imprese a tutti gli effetti con l'occhio puntato unicamente sulle risultanze di bilancio, quando non sono paraventi per frodare il fisco. Come Rimbaud, oggi chi si dedica all'arte farebbe forse meglio a dedicarsi al traffico d'armi, impresa tuttora quanto mai produttiva, oppure studiare strategie che permettano al loro lavoro creativo di arrivare ad un pubblico, senza dover sottostare al giogo della macchina organizzativa di profittatori mascherati da promotori culturali. Ma quale lavoro? Quale pittura, essendo questo manifesto in particolare rivolto in primo luogo alla pittura? Se la pittura non riesce ad essere all'altezza della gravità dei tempi, se l'arte che pratichiamo non riesce più a determinare autentici significati, è bene che sia abbandonata al suo triste destino di inutile pratica onanistica marginale. E' tempo di ritirarsi con decisione dal mefistotelico "meccanismo", di abbandonare il "sistema cosiddetto dell'arte". La distanza critica dall'ottusità del mondo dell'arte contemporanea sia netta, definitiva. Ciò che vediamo comminato ovunque, non è ciò per cui abbiamo vissuto e combattuto, ma l'opposto: è il trionfo di ciò che ci auguravamo alle spalle, quando abbiamo iniziato questa nostra avventura. Cosa possiamo opporre? Intanto il distacco e la derisione per i presunti "valori" che puntellano questo fatuo mondo occidentale che è vicino, finalmente, all'autoannientamento. Irridiamo altresì una fede religiosa, posticcio collante chimico conformista di una finta coesione sociale, un paravento di assurde credenze che nulla hanno a che fare con il divino e che sono, nel tempo, imputridite. L'uomo religioso è altrove, lontano dalle follie ipocrite papiste sempre più simili a slogan pubblicitari di un'impresa multinazionale di supermercati della finta pietà di bassa politica e della pelosa solidarietà. usando anche i mezzi cinici del dinamismo ecumenico mercantile, noi teorizzeremo l'arte della distanza, oseremo dipingere di nuovo la vita, la realtà, l'umanità, il sentimento, l'assoluta diversità. Noi non ci integreremo. la parola "integrazione" che appare arrogante e stupida in altri contesti, in arte è oscena. Al culturame di massa che ha prodotto un vivere di ruminante consumismo, opponiamo la sana sobrietà di chi vuol vivere autenticamente.La nostra arte oserà essere persino politica! la nostra pittura sarà addirittura critica politica sentimentale. La nostra pittura che è libera, unisce tutti coloro che sentono l'idiozia mortifera di un vivere che è la quintessenza della stupidità violenta. La nostra pittura non è masturbazione. per quest'ultima, continuiamo ad aver fiducia nei mezzi tradizionali. L'uso di mezzucci tecnologici per esprimere il niente, non ci riguarda e non ci interessa. La nostra pittura ambisce ad essere pittura di valori, di conoscenza, perché è il momento di non temere più queste parole in disuso, riferite all'arte. Ma certo, quei valori non potranno che essere l'opposto di ciò che finora abbiamo visto trionfare. la nostra arte è elitaria, difficile, diretta indifferentemente ai pochi o molti non importa, che vogliano intenderla. L'arte non ha funzione didattica programmata. Non nasce e non serve per il turismo di mandrie senza orientamento, per i professori in gita. La nostra pittura esalta il compito assoluto ed inimitabile del genio, come è sempre stato nella pittura dei secoli d'oro. La nostra pittura recupera i valori della nostra tradizione, della nostra terra, come è naturale, ma non per farne sciocca, insipida e leziosa accademia, ma lievito efficace per nuovi fermenti e ribellioni. Coltiviamo i valori della bellezza, della cultura autentica, della raffinatezza formale e tcnica, per esprimere però, la realtà nei suoi molteplici aspetti, la vita nel suo magmatico ribollire, per coltivare l'immaginazione, la visione profetica. Non importano le differenze stilistiche che sono anzi, esaltate. Importa l'adesione concreta ad un'arte che sia consapevolezza quotidiana di un modo di esprimerci libero, non un passatempo insignificante e marginale. La pittura deve tornare a far tremare i culi molli di papi, politici inetti, imprenditori arroganti, e le dita lunghe e polite di chi esercita il potere osceno e vomitevole della speculazione ad ogni livello. Non sono ammesse scorciatoie e furberie ridicole. L'arte non è e non deve essere un pretesto per curare narcisismi, ipertrofie patologiche dell'io.
Non è appropriato dunque, parlare di predilezione di questo o quel mezzo espressivo, ne importano i materiali usati. l'importante è nello spirito che muove la realizzazione, nell'autentico sentire.
Esaltiamo quanto più è possibile lo stile, conquista ardua, assolutamente individuale. Esecriamo il fare collettivo, la palude di un'arte priva di identità programmata, le opere a quattro mani, le ammucchiate equivoche e senza senso, l'orribile meticciato artistico che imbratta i muri e ottunde le menti dei giovani lasciati in pasto al Moloch-mercato, mentre si illudono, in cuor loro, di essere "resistenti, ultimi combattenti all'opposizione".
Non ci curiamo della mistica dell'assoluta comunicazione non significante, dell'uso idiota della Rete. Non avendo la presunzione di verità ideologiche, non sentendo infatuazioni di sorta per una tecnologia irrilevante sul piano dell'esistenza dello spirito, né condividendo realtà economiche orripilanti nelle conseguenze, esaltiamo le diversità culturali senza la smania di una obbligatoria integrazione ed omologazione, anzi, all'opposto, siamo per una sana diversità di modi di vita, di organizzazioni familiari, di economie nuove e rivoluzionarie, di amori liberi e disordinati quanto più si può, di credenze e tradizioni millenarie.
La pittura è un'arma eccellente. Usiamola per distruggere un finto modernismo asfittico, saccente, noioso persino come design, che riesce ormai solo ad inebetire. La pittura autentica richiede impegno, studio, conoscenza profonda e varia. Non è impresa facile, né adatta a tutti. Non può accontentarsi di una parodia della realtà che tanti notiziari televisivi asserviti al potere, approntano maldestramente. Quella caricatura del vero secondo la vulgata anodina e perbenista, che confonde e mescola assieme volgarità, cinismo, gossip, delitti e autoassoluzioni indulgenti, penose e continue di una fallita improbabile socialdemocrazia infondata e paralitica. mielose impunite disuguaglianze, spudorate sopraffazioni, insicurezza personale ed universale, violenza belluina da trogloditi di ritorno, accoglienza criminale, urbi et orbi, della feccia del mondo, insieme a festa della mamma, festa del papà, festa del nonno, festa della angusta coglioneria neo-borghese di un buonismo ipnotico, ributtante, comodo, da fiction televisiva, è quello che ci si offre. Tutta la stupidità immaginabile e merdosa di italica matrice, in generazioni acefale come appaiono dopo l'ultimo restyling: vuoto mentale immutato e sempre a perdere. Potrà ancora resistere la pittura, l'arte, a questo tzunami di scemenza? Certamente altri, i nostri antagonisti, i moderni a tutti i costi, gli specialisti del copia-incolla, probabilmente continueranno a lungo con le loro trovatine penose ed inutili, misere e puerili. Che dire? Che fare? Per quei prodotti dell'insignificanza astuta, occorreranno potenti e capienti discariche in un futuro non lontano.
Questo "manifesto" 2018, è rivolto a tutti gli artisti e a tutti i pittori in particolare, che da tempo sentono l'insoddisfazione di praticare un'arte che da una parte non si solleva in rilevanza sociale da una qualunque attività marginale senza una precisa utilità, una professione (definizione paradossale ed assurda), che ritenere morta sarebbe ben appropriato, e dall'altra, osservano con amarezza, l'arte oggetto di continua speculazione al pari di un qualunque titolo di borsa valori. la fine della pittura, la sua tomba definitiva, è essere per divenire un bene rifugio per occultare danaro.
L'efficacia che questo manifesto potrà avere, dipende unicamente dalle forme di reazione a questo stato di cose che ciascun pittore o artista deciderà, dopo una profonda riflessione sul senso della propria arte nell'attuale contesto sociale. Ma è bene non illudersi troppo.
Emilio Villa ebbe a scrivere: " ma io credo che bisogna scrivere e dipingere in pectore, in ore, in aenigmate, in symbolo, in speculo, in vacuo...le sole strade verso l'apertura, i soli strumenti di scandaglio". Nella condizione odierna, mi sento di condividere l'affermazione di Villa, in tutto, eccetto per quel "in vacuo", essendo nostra, al contrario, l'esigenza impellente di una esatta, direi quasi matematica, pittura dolorosamente sentimentale e dunque filosofica, cioè coraggiosamente, anticonformisticamente radicata di nuovo nella latrina, nel pantano dell'umana desolata condizione. la consapevolezza dell'infelicità metafisica della solitudine dell'uomo richiede durezza di carattere, grandiose visioni, senza per questo dimenticare la sottile poesia, pur breve e assai scarna, quell'illusione di armonie e bellezze che l'esser vivi dispensa in un pugno di giornate perfette.
Antimo Mascaretti
Da "sentieri interrotti" a strade senza uscita
Respinta con motivazioni convincenti l'idea dell'arte come progresso indefinito in forme sempre più bisognose per altro, di "accompagno" concettuale o elucubrazioni fantastiche (che nulla hanno poi a che vedere con ciò che appunto, è mostrato e dunque è in vista), non rimane che una misera, ma sempre possibile fedeltà al proprio mezzo espressivo da parte di ogni artista. Fedeltà che racchiude e àncora alla fine, l'intera opera di ogni artista, come è in definitiva naturale, alla propria visione del mondo, senza alcuna pretesa di universalità, in sostanza a ciò che si ama o si odia.
Perché è evidente il luccichio della bigiotteria scientifica che pure suona falso come oro di doratura anche nelle mirabolanti quanto inconsistenti "conquiste" che purtroppo poco o nulla aggiungono all'esistenza autentica di ogni essere umano, il problema del nichilismo così come, ad esempio, è preso in esame da Nietzsche e sottinteso all'espressione, famosissima, "Dio è morto", rimane piaga purulenta della contemporaneità. Caduti i valori fondamentali di riferimento (e dunque individuata in questo evento l'origine del nichilismo, e per ben comprendere la "metafisica dei valori" di Nietzsche è certo d'aiuto rileggere il breve saggio di Heidegger in "Holzwege") e fallita o comunque non riuscita, anche sul piano teoretico, la pretesa di sostituire al vuoto lasciato dai valori fondamentali, altri valori o meglio un "sovvertimento di tutti i valori", per le resistenze potenti d'una realtà che la filosofia a volte tende a mettere tra parentesi, si assiste oggi, alla nuova ed ultima in ordine di tempo e di secoli, trasformazione camaleontica del nichilismo che ha inquietanti manifestazioni di riferimento non più ai valori ormai liquidati, estinti e perduti irreparabilmente, ma a esili "sagome di cartone" che ne hanno assunto le sembianti.
Ogni rigirarsi dell'arte, come il maiale nel truogolo, nelle varianti infinite al modernismo avanguardista ormai ultra centenario, anche sfruttando eventualmente con estenuatezza gli ultimi ritrovati delle scienze applicate alla luce e/o a concezioni spaziali non euclidee, non permette d'uscire dalla disperazione reale, concreta quella sì, dell'uomo e del suo palese fallimento, in primis nel rapporto con quella natura che avrebbe dovuto e voluto secondo alcuni esagitati, dominare, e che invece palesemente lo trova impotente, impaurito e succubo davanti ad ogni fenomeno naturale di impetuosa devastazione. Altrettanto fallita appare anche l'azione anzi, la riflessione del pensiero sull'essenza dell' essere dell'uomo e sul suo destino, che appare strozzato tra teorizzazioni pseudoscientifiche di economie con finalità assurdamente e paradossalmente pauperistiche, a fronte di ricchezze mastodontiche accumulate altrettanto insensatamente da un numero sempre più esiguo di individui in preda alla deformazione mentale di misurare il successo del loro esistere condizionandolo all'entità del patrimonio accumulato e persino occultato. Per restare all'arte, alla pittura nel mio specifico, perché non è bene allontanarsi troppo a volo radente in astrattezze teoriche, quando si ragiona d'arte che rimanda, come è per altro da sempre per la pittura, all'oggetto, alla materialità di supporti e colori, posti "in forma" o sia pure "contro forma", assistiamo ad espressioni molteplici senza che però, sia possibile attribuire a tante numerosissime espressioni, quel senso di compiutezza appagante lo spirito se non in rari casi.
Si potrà argomentare che è appunto in rari casi che l'arte si risolve come tale, e si rivela, e sia pure. Rimane tuttavia, l'impossibilità persino teorica, di una pittura che non avendo valori e canoni a cui fare fiducioso riferimento, finisce per cadere inevitabilmente nel racconto intimo, privato, o nella disperazione (unico stato d'animo riconoscibile con facilità da parte di ogni essere umano), impotente di fronte all'assurdo esistenziale senza uscita.
Nel gran galà del trionfo, più mediatico che concreto, dello scientismo tronfio ed invadente oltreché arrogante, la povertà spirituale, unica a non essere destinata a fare voce statistica ISTAT, si tocca con mano proprio in quelle espressioni totalmente fallite che sono le opere o pretese come tali, della contemporaneità. Fenomeno che dovrebbe far riflettere almeno gli artisti, mentre in generale, essi appaiono perfetti ingranaggi di un sistema che non ammette opposizione perché ha inglobato e uniformato persino quella funzione critica riflessiva connaturata all'espressione artistica in quanto tale, che ora appare una povera ritualità bolsa e un po' idiota nella figura dell'artista manager di se stesso e delle proprie carabattole di candida, perversa, insensata inutilità.
Non molto discosta la figura dell'artista da mago ( nel senso di trasformatore fantastico di apparenze), neppure nei secoli d'oro vissuti dalla pittura e che appaiono così lontani, ma oggi, vedere ridicoli personaggi pontificare sulle loro "ricerche" (sic) in fiere e convegni o più banalmente, su internet, ci porta ad accomunarli con naturalezza, non ai maestri della grande arte, quanto ai lettori e pronosticatori di fortune attraverso i tarocchi, ambigue figure la cui credibilità spesso e volentieri, attraversa anticamere in penombra di questure e aule di tribunali. Niente più di manichini intenti a vendere (imperativo categorico su cui non è dato transigere, mai), quei personaggi di legno e cartone vorrebbero convincerci dell'arte sofisticatissima e raffinata raggiunta dalle loro cacatine di piccione. A pensarci bene però, essi riescono bene, in quell' impoetico intento se tutto ciò viene chiamato, con incredibile serietà, "sistema dell'arte contemporanea" attorno al quale ruotano i culi di pavone dei nostri presunti grandi maestri degli ultimi ottanta anni e più. Nel tripudio ed esaltazione di ogni minoranza anche la più improbabile, sessuale, politica, di razza e genere, non è però compresa quella sparuta minoranza di chi come noi si ostina a parlare di filosofia e di spirito, finanche di estetica, senza essere in sacrestia o dalla manicure, e vorrebbe ancora realizzare, sommo delitto, opere durature nel tempo.
Ma perchè? A quale scopo? Si potrebbe rispondere con semplicità, allo stesso modo di Don Giovanni che trovandosi a dover giustificare il proprio gesto di elemosinare un povero chiarì, a scanso di equivoci: "Per l'umanità". Nient'altro. Ma una tale risposta appare ben poco convincente ne convengo, e per di più, incapace di impedire alla fine, che tutto sia nient'altro che merce e dunque acquistabile, con moneta tradizionale o chissà magari già domani, in bitcoin.
Antimo Mascaretti
Dicembre
E' iniziato da qualche giorno, l'ultimo mese dell'anno 2017. Inevitabili dunque, sono le considerazioni riassuntive della mia attività artistica che appaiono notevoli, pur in presenza di un esiguo numero di opere realizzate.
L'anno che sta per finire, posso certo dire, insieme a quello passato,ha significato per me un periodo molto concitato sul piano spirituale, interferito non certo in modo positivo, da altre faccende che pure mi hanno distratto (e continuano a farlo), dalle problematiche che vado affrontando con la mia pittura nell'ultimo lustro. Ad ogni modo, ho realizzato soltanto due sole opere che possono definirsi "nuove", ma ho ridipinto, sull'onda di una raggiunta consapevolezza stilistica finalmente affiorata con chiarezza al livello di coscienza, non meno di trenta opere degli anni più recenti, in alcuni casi apportando correzioni modeste o marginali, in altri riprendedo i dipinti completamente, pur cercando di non alterare lo spirito di quei quadri, cioè non dipingendoli nel nuovo clima spirituale che mi possiede, ma elaborandoli essenzialmente sul piano della forza e completezza formale.Intensa è stata l'attività di approfondimento e di studio, moltissime le letture, estese anche alle letterature che definisco "esistenziali" cioè giornali intimi, diari, testi non resi noti, se non dopo la morte dei loro autori, testi a me sempre congeniali, nel panorama letterario internazionale. Quegli scritti sono per me, attraverso un complesso transfert psicologico, un grande stimolo all'opera pittorica, una sorta di consonanza intima che rimane fondamentale nella mia pittura. Mentre scrivo queste note tuttavia, note interamente autobiografiche e dunque, che potrebbero non essere di alcun interesse per un lettore occasionale, mi viene in mente anche tutto il lavoro "sotterraneo" di diffusione di una certa idea dell'arte, e della pittura, idea non certo in auge, idea sulla quale ho lavorato in quasi tutto l'arco dell'anno, pubblicando su siti, come quello che qui mi ospita, interi studi teorici e di ispirazione filosofica, ed anche note sporadiche a riguardo di lavori di artisti o su alcune esposizioni che mi hanno consentito riflessioni che ho ritenuto potessero interessare anche altri lettori.
Nonostante debba registrare, e certo con rammarico, che i miei sassi (a volte anche macigni), gettati nello stagno spirituale degli eventuali lettori, non abbiano provocato, almeno in apparenza, reazioni o commenti che lascino sperare in una interferenza positiva o almeno in sollecitazioni a riflessioni e scelte, anche ardue, nel campo estetico ed esistenziale, ritengo per questo anno difficile, sia stata proprio quella la parte più rilevante della mia attività. Certo non mi nascondo che nel portare avanti, sia pure con lentezza, il mio ultimo ciclo di pitture che ho chiamato "Verso oriente", mi aspetto grandi novità realizzative per la mia pittura. Per ora, però, con una immagine figurata potrei dire: " Il pozzo si sta di nuovo riempiendo" e proprio attraverso quelle aperture ideali verso altri artisti e lettori, che immagino molto giovani, ai quali spero di essere, nella mia testimonianza, utile in qualche modo.
Devo infatti registrare che, mentre la mia esistenza annoveri sempre meno presenze significative sul piano di un fecondo rapporto intellettuale, e ciò a causa della mia posizione rigorosamente di opposizione a molto di quanto accade in arte e non solo, di contro, la mia esigenza di raggiungere idealmente altri spiriti inquieti e non conformisti, è cresciuta di pari passo. Così, seppure il numero dei lavori eseguiti in progresso per il mio ciclo, si presenti misero, ritengo comunque di poter dire di aver realizzato un lavoro di sicuro interesse, da farmi annoverare quest'anno, che ormai è quasi trascorso, tra quelli spesi bene.
Antimo Mascaretti
Tramonto e/o fine delle gallerie d'arte tradizionali?
Che la galleria d'arte come luogo dove sia possibile, (in una particolare atmosfera elitaria, di solito dovuta sia alle personalità del titolare, sia alle frequentazioni abituali degli artisti e degli uomini di cultura), instaurare un rapporto di conoscenza non effimera con le opere d'arte, come fino agli anni '60/'70 dello scorso secolo poteva ancora accadere, oggi non esista più, è un fatto difficilmente contestabile.
Sono mutati i tempi, le frequentazioni, la stessa concezione dell'arte e dei luoghi di esposizione. L'avvento di internet in più, ha finito per assestare forse il colpo di grazia a quel mondo animato da amatori ed appassionati,i prima che mercanti, cultori che, in ogni caso, appartenevano alla colta borghesia benestante la quale, negli stessi anni, iniziava essa stessa, un declino inarrestabile.
Negli ultimi anni si è assistito ad una sorta di mutazione sociale che ha appunto portato alla fine di quel mondo, senza però che si possa affermare che la società abbia avuto un autentico progresso. Sparite le grandi figure del mercanti mecenati, o che comunque puntavano e rischiavano in proprio sulle qualità intuite di certi artisti, ha cominciato ad affermarsi l'idea della galleria come piccola o grande bottega d'esposizioni con l'occhio alle tendenze del mercato che inesorabile, impone scelte e programmazioni, senza lasciar più spazio alla capacità (inesistente per lo più), di capire e scegliere dei gestori. Inoltre esistono altre tipologie di gallerie di second'ordine, che sono praticamente autofinanziate dagli artisti che vi espongono, i quali si sobbarcano le spese di ogni manifestazione. Queste gallerie non si assumono affatto rischi di impresa, anzi, spesso si nascondono, per motivi fiscali, dietro il paravento delle "associazioni culturali".
Sono dunque spariti quei luoghi di prestigio dove si poteva assistere alla crescita progressiva della notorietà e della qualità delle opere di molti artisti, seguiti con particolare affetto dal gallerista.
Non mi risulta che il numero complessivo delle gallerie d'arte sia diminuito negli ultimi anni, ma certo, molte strutture note e famose hanno chiuso i battenti, sostituite da altre gallerie animate da filosofie eterogenee. Esistono oggi persino le gallerie d'arte in franchising, Gli stessi collezionisti, promuovono le loro collezioni organizzando mostre e pubblicando cataloghi, segno che la forza delle gallerie in questo ambito è certamente calata.
La vita media di una galleria d'arte oggi, che non abbia alle spalle finanziatori potenti anche se occulti, è in un pugno di anni. Il più delle volte quell'attività si svolge senza infamie e senza lodi, e forse anche con esborsi di denaro notevoli senza speranza di recupero.
Gallerie e mercanti da qualche anno tentano la via del mercato on-line. Così la Rete già intasata di figure assai dubbie di venditori si accresce di avventori che si alternano tra pronosticatori del gioco del lotto e mercanti di bigiotterie e pentole da cucina. Una sorta di qasba virtuale che supera ogni senso del ridicolo.
Questa assai triste vita delle gallerie d'arte contrasta però, con i risultati del mercato dell'arte che al contrario, registra incrementi notevoli, specie attraverso le grandi case d'asta internazionali. Si tratta però, di un mercato assorbito in gran parte dagli Stati Uniti o da alcuni Paesi emergenti come la Cina. Dalle cifre si evince che in Europa ad esempio, se si eccettuano alcune piazze come Londra, il mercato, nei volumi di affari, rimane decisamente marginale. Questo accade a mio modo di vedere perchè venuta a mancare la funzione culturale in senso elevato, i Paesi europei non sono in grando di gestire un mercato parallelo a quello americano e non riescono a difendere i propri artisti che, nelle aste, puntualmente risultano sottovalutati se paragonati ad artisti, anche mediocri, e sono i più, degli Stati Uniti. La mancanza di una autonomia critica e culturale prima che mercantile, costringe tutti i Paesi a seguire le imposizioni speculative del mercato gestito altrove e con grandissimi profitti. Il danno però è principalmente nella valutazione degli artisti. Ne consegue che tra migliaia di proposte presenti nelle imnnumerevoli fiere d'arte un po' ovunque, non c'è nulla o quasi nulla che valga la pena di vedere e seguire, tutti è riciclato e pedissequamente conformato ai dettami dell'estetica dominante. Nelle fiere, dopo un po' di tempo che ci si aggira tra i vari espositori, si ha subito l'impressione che le marionette siano mosse da fili tirati altrove, e le gallerie sono null'atro che sopravvivenze apparenti dietro le quali c'è un gran vuoto dovuto all'abbassamento del livello culturale generale, dei gestori come degli stessi artisti, anelanti ad un successo di facciata con opere mediocrissime. Tante chiacchiere, anche qui di marketing gestionale, mirabolanti nuove teorie estetiche, ad usum Delphini, e manufatti senza vita né sostanza.
Molti artisti, ed è un fenomeno che va posto in rilievo, stufi da questo stallo ormai incancrenito, tentano la via del mercato diretto tramite la rete, che come si può ben capire, li relega ai margini del mercato che conta.L'arte non è più che una qualunque merce, e conta, come nelle merci, più che la qualità delle singole opere, la pubblicità sapiente che si riesce a creare attorno ad oggetti veramente orribili e senza rilievo. Gli artisti si nascondono dietro cataloghi generali, autentiche, presentazioni di presunti esperti noti come mercenari, e puttanate di questo tipo, perché sanno bene che la loro opere, senza tutta quella costellazione di supporto che tenta di attestare valori che in realtà non si vedono, sono misera cosa. Contano le relazioni, le chiacchiere, le presenze, conta la mitologia della biografia:...Tizio ha fatto questo, ha partecipato a quella mostra, a Documenta, alla Biennale etc. questo dovrebbe bastare per far si che una crosta o una vera escrezione biliare- intestinale debba essere acquistata. Trova acquirenti tutto questo mercato delle vanità? Sembra di sì. Bene, chi compra quella roba se la merita tutta.
Antimo Mascaretti
Lo stagno esiccato
Gòmez Dàvila in "Escolios I 26" ha scritto: " Le frasi sono pietruzze che lo scrittore getta nell'animo del lettore. Il diametro delle onde concentriche che esse formano dipende dalle dimensioni dello stagno"
Ho sempre pensato che la pittura sia qualcosa di molto simile, e al posto delle frasi, i quadri svolgono una funzione identica. Oggi, quando si sente parlare di una pittura, il primo riferimento è sempre al suo valore economico, mentre dovrebbe essere al piacere o al disorientamento che il contatto con un'opera inevitabilmente provoca (se è un'opera riuscita). L'aver perso totalmente la facoltà di sentire nel proprio animo l'incidenza di un'opera d'arte, è forse il segno più chiaro della barbarie ritrovata, attraverso una presunzione insondabile, dalla modernità.
Questo parlare al vento, rende il pittore, l'artista, una persona singolare, poiché a nessun uomo piace istintivamente che gli si ricordi gli aspetti della vita, i più importanti per altro, che non possono essere occultati a lungo da ottimistiche illusioni.
Ciò a mio avviso, spiega bene il prevalere oggi (ma già da lungo tempo), di una pittura (che spesso non è neppure pittura, ma solo un distendersi uniforme di colori o di un solo colore), che rinuncia a parlare direttamente allo spirito e per giri tortuosi e occulti, si avvicina al vuoto come metafora ineliminabile del vivere contemporaneo. Il timore che la propria opera non sia capita, accettata, che la propria pittura non sia circondata che da indifferenza, è lo scoglio più difficile da aggirare per un artista, perché è umano temere l'isolamento, la solitudine, anche nella verità.
Molti artisti contemporanei sono dediti a raffinate quanto insulse circumnavigazioni attorno a concetti rarefatti che però, non colgono l'essenza né dell'arte, né dell'esistenza. E' un arte, quella in auge, adatta ad un vivere in superficie dell'uomo contemporaneo, che pur tra tragedie immani, pretenderebbe per sé un edonismo applicabile alla sua piccola cerchia di altrettanto piccoli affetti.Una penosissima pretesa destinata comunque a fallire, figuriamoci se il circondarsi di oggetti intellettualmente onanistici, in qualche modo arredo coerente a quella pretesa edonistica aberrante, possa di per sé costituire un riflesso di elevazione culturale.
Ma come spesso accade oggi, sono le cose del tutto inutili che hanno facile diffusione, e questo genere di arte non fa eccezione. Per gli artisti che non reputino possibile adattarsi a quell'empirismo cinico, consigliabile qualora aspirino ad un facile "successo" (idolo dorato destinato ad imputridire con i beneficiati del suo tocco effimero e spesso oltraggioso), non c'è via d'uscita: li aspettano anni di amarezze e progressive disillusioni.
Qualcuno dirà che è il nostro essere ancora pervicacemente legati ad un concetto d'arte "umanistico" che ci conduce in simili strettoie senza uscita. Il non aver compreso in sostanza, (o il non voler comprendere), che l'arte oggi, è linguaggio che si rivela in segni di cui si è però perso il valore semantico, ma a nessuno importa granchè.
Attonito, il neo-borghese, o chi ha, in ogni caso, la possibilità economica di "investire" cifre spesso esorbitanti, si circonda dei feticci di una modernità in apparenza onnipotente. Si sforza, in nostro buon borghese, di intuire quelle intenzioni creative, si ostina a farsi spiegare dai guru esperti in esegesi dell'arte contemporanea, possibilmente in lingue conosciute ancora come idonee alla comunicazione, il mistero che, immagina, si nasconda da qualche parte in quelle cianfrusaglie.Non rammenta, il nostro buon amico, che il mistero fecondante, l'epifania, che un tempo dava senso all'esistenza e dunque anche alle espressioni artistiche, pur nei limiti temporali di una vita, sempre troppo brevi, ha da tempo abbandonato la sua vita come quella di tutti, e che intorno, tra il luccichìo dell'oro o della bigiotteria, non ha che disperazione e sentore di minacce incombenti.
Lo stagno della metafora di Dàvila, non solo ha dimensioni minime, ma è addirittura ormai esiccato. La desertificazione dell'anima è iniziata molto tempo prima di quella di immense radure che oggi possiamo constatare.
Non credo in verità, ci si debba illudere troppo circa il prissimo futuro.
Antimo Mascaretti
La notte dell'ultimo giorno dell'anno
Ammettiamolo, se si trascorre appena qualche minuto su uno dei tanti social network si ha immediatamente l'impressione, molto sgradevole, che la vita è stata trasformata, nella sua globalità, in una sorta di infinita "notte dell'ultimo dell'anno" dove pare ci sia l'obbligo di mostrarsi allegri e sorridenti, nonché propensi obbligatoriamente al divertimento. Quella che era una stupidità, un conformismo già insopportabile ed incomprensibile per la notte dell'ultimo giorno dell'anno, in genere la notte più malinconica dell'anno nel cuore di ciascuno, per una sorta di inconscia riflessione sul trascorrere veloce degli anni e di conseguenza, della vita, è stata estesa ad ogni più insignificante manifestazione di esistenza, dei nostri "eroi" della Rete, tutti dediti, a mostrare le loro facce sorridenti, un po' ebeti,un po' belluine, di fronte alle fotocamere degli smartphones. Io che navigo invece, in direzione contraria, sulla rotta cioè, della assoluta proibizione di lasciarmi fotografare anche per una qualunque foto ricordo in famiglia, non sono certo un tenero giudice di questi fenomeni in internet. Ritengo tuttavia, la mia decisione, un atto di ribellione romantico, un tentativo, forse disperato, di sottrarre il mio essere alla coincidenza con il puro esistere.
So bene che per la massa, da tempo questa essenziale distinzione non esiste più, ma, che posso farci, sarò certamente ritenuto uno snob, ma non mi va di accomunarmi a quella gente, in certe espressioni veramente ridicole di sottocultura, in certe "americanate" ormai dilaganti in ogni continente, che reputo estremamente dannose. In realtà, il mio è un consapevole tentativo di resistere all'omologazione persino virtuale dell'esistenza di ognuno, dopo che si è proceduto ad una triste omologazione reale di abitudini e comportamenti, annullando ogni vitale diversità, tra popoli, nazioni, etnie, distruggendo credenze, antichi rituali, tradizioni identificanti in cambio di nulla, ma un nulla per molti economicamente redditizio.
Non potremo più riconquistare ciò che questa disumana forma di inciviltà distruttiva ci ha imposto in nome di un finto "sviluppo" che si sta rivelando finalmente la più grande catastrofe planetaria di tutti i tempi. E sia. ma in questo caso, in attesa della fine, ci si potrà ancora sottrarre, nel nostro spirito se non altro, a questa continua, impudica, profanazione di atti e gesti ed immagini della propria intimità? Io credo di sì. Naturalmente occorre volerlo.
Antimo Mascaretti
Creazione artistica e comunicazione
Di sicuro la fotografia, in quanto opera di creazione (i cui confini con la fotografia di ricorrenza, burocratica, di routine, erano già molto difficili da identificare), è stata la prima forma espressiva artistica ad essere investita dallo tzunami digitale, e questo sia nella stessa tecnica fotografica, con la scomparsa totale delle vecchie procedure di stampa, sia per l'abbassamento delle difficoltà inerenti l'uso del mezzo (la macchina fotografica), reso del tutto automatizzato e a controllo elettronico.
Cosa ha portato questa sorta di rivoluzione nel mondo della fotografia? intanto ha generato una progressiva scomparsa della figura del fotografo professionale, che fino agli anni '50/60 dello scorso secolo, era specialmente nei piccoli paesi, una figura importante quasi quanto il medico condotto. Insomma, la professione si è trasformata, perdendo importanza e connotazioni. Oggi il fotografo di moda è ancora molto utilizzato ma certamente un maniera drasticamente diversa ed inferiore di quanto accadeva un tempo. Molti fotografi si sono intanto dedicati alla vera e propria creazione artistica, ed anche la fotografia ha iniziato, specie oltre oceano, ad avere un vero mercato come opera d'arte. Parallelamente sulla Rete si può vedere come milioni di persone si siano trasformate di colpo in autori di fotografie. ma ciò che è più importante notare è che in questa sorta di democrazia tecnica diffusa attraverso la semplificazione fotografica, viaggia una minaccia: Tutti possono essere fotografi (e si sottintende al livello di qualità professionale), dunque la distinzione tra dilettante e professionista non ha più ragione di essere. Ciò porta a svalutare di fatto, il lavoro di un bravo professionista, con la conseguenza del tendenziale rifiuto a considerare necessaria una adeguata remunerazione di quel lavoro. Tutto questo sta accadendo per qualsiasi altra espressione creativa, anche in pittura, dove però, non si è certo abbassata la difficoltà tecnica, ma si è provveduto ad azzerare ogni canone di riferimento alla qualità. La tendenza della Rete ad una violazione continua delle regole del "diritto d'autore", con tutte le relative codificazioni giuridiche a difesa delle "opere di ingegno", è ignorata totalmente. Tutto ciò in nome di una presunta quanto molto virtuale, e perciò inesistente, democrazia creativa, che altro non è che appiattimento dilettantesco ad un gusto mediocre generato dall'imitazione continua di espressioni già viste, e nell'appropriarsi, per quanto è possibile, delle intuizioni di pochi veri creatori.
La comunicazione, questa stupida ossessione della massa che non ha nulla in realtà da cominicare se non il suo puro esistere, documentato in maniera pletorica, sostituisce di fatto ciò che è la inimitabile creazione artistica individuale, almeno nel maremagnum di internet.
Le conseguenze di tutto questo vasto fenomeno? Sono ancora imprevedibili. Certamente la difesa giuridica del diritto d'autore, a tutti i livelli, sarebbe auspicabile venisse rafforzata, seppure risulterà molto problematico poterlo fare in pratica, perché è ben difficile controllare le violazioni infinite ad esempio, del diritto di riprofuzione, per le opere d'arte.
In Rete, il fatto stesso che un autore abbia introdotto foto o testi di iniziativa propria, e per motivi di mera promozione, viene considerato alla stregua di un diritto acquisito di riproduzione di quelle opere, in altri contesti e senza alcuna autorizzazione. Tutti gli idioti, non bisogna mai dimenticarlo, sono attivi da tempo nella Rete e con grande voglia di nuocere e diffamare. Rimane però un'unico frontiera che reputo invalicabile (a dispetto dei tanti comunismi giustificativi delle appropriazioni illegali), la frontiera del possesso dell'opera d'arte. Di quel'opera unica che Benjamin considerava finita per via della sua riproducibilità tecnica.
Perchè alla fine, tra milioni di riproduzioni di immagini digitali, qualcuno dovrà pure possedere concretamente l'oggetto d'arte in questione, ed il possesso (e la ricerca del possesso ad ogni costo), sarà la distinzione netta tra il virtuale (tanto scioccamente enfatizzato), e la realtà.
Certo nel caso della fotografia, dove l'originale e la copia non hanno di fatto, distinzione, l'operazione di possedere un originale sarà una operazione molto discutibile ed incerta. Inoltre gli stessi artisti, e non solo i fotografi, dovrebbero sottrarsi alle convenzioni paradossali in auge, come nel caso della scultura, dove una vera e propria mistificazione di origine meramente commerciale, permette, su opere riprodotte meccanicamente, cioè con procedure elaborate solo sul progetto dell'opera, senza alcun intervento reale dell'artista, di ritenere opere uniche, "sculture" (sic), fino a nove esemplari(!).
L'identificazione sempre più puntuale della comunicazione con lo stesso atto creativo, non potrà in ogni caso, che svalutare l'opera, cioè l'oggetto della creazione, che finirà per essere totalmente identificato con la pubblicità di e su un determinato autore od artista.
Un segno molto indicativo di un futuro, ricco infinitamente di creatori ma molto povero di autentiche opere d'arte degne di questo nome.
Un futuro che a me pare già iniziato. Agli artisti rimane il compito di tutelare la loro diversità, non sottovalutando le insidie che la Rete procura alle loro creazioni. Ma si tratterà, in ogni caso, di una battaglia lunga e dall'esito incerto.
Antimo Mascaretti
Der Jùngste Tag
Più di un secolo fa, l'editore Kurt Wolff pubblicava la collana "Der Jùngste Tag", "il giorno del giudizio".
Perché rievoco questo avvenimento in relazione alla mia pittura ma più in generale all'arte? Perché è di quella parola, il giudizio, che ogni artista è affascinato ed insieme atterrito. Ma non c' è cosa più rara nel nostro mondo attuale, sempre più digitalizzato, che il giudizio sull'opera d'arte. Che si tratti di quadri, di libri, di espressioni d'arte più genericamente riferite, tutte si sussuegono secondo presentazioni ammiccanti di "esperti", di risvolti di copertine patinate, di introduzioni ed eventi. tutte sono presentate come la nuova espressione rara, inusitata, geniale, intelligentissima e raffinata, di cui si era sempre sentito il bisogno e la mancanza, e poi, dopo un tempo estremamente breve, per le mostre l'effimero spazio tra la vernice e la chiusura, per i libri, se va bene, l'arco di una stagione letteraria (cioè pochi mesi), tutto cade nel nulla eterno che ingoia gli effimeri talenti, i geniali, e le creazioni sostenute in realtà, solo dalla pubblicità retorica di accompagnamento dell'evento.
Non occorre affannarsi a cercare. Non si troverà mai, in simili operazioni, un giudizio sulla qualità di tutte queste manifestazioni. un giudizio intendo, veramente motivato. Il giudizio così inteso, presuppone distinzione, cioè analisi critica, raffronti, valutazioni dettagliate, cose di cui pare siamo rimasti in pochi a ritenerle imprescindibili per la nostra opera creativa. Per restare al solo campo della pittura, artisti, tutti dolorosamente molto simili, e altrettanto pleonastici e noiosi, si sussuegono nelle infinite esposizioni e peggio, nelle innumerevoli fiere d'arte. Nessuno si sogna di esprimere valutazioni concrete, su quanto si vede in ogni dove, un giudizio, appunto, che azzardi una vera valutazione, che attesti un valore concreto.
Quando ho iniziato ad esporre le mie opere, dopo che, per almeno quindici anni, le mie prime prove erano restate segretissime a tutti, questo fenomeno di una progressiva assenza di giudizio, con il conseguente, parallelo trionfo dell'indifferenza, era appena iniziato. Le prime avvisaglie si potevano già notare nelle terze pagine dei giornali quotidiani, dove le mostre venivano recensite, in maniera asettica, senza infamie e senza lodi.
Con la presunta democratizzazione totale, ridicola ed esecrabile, della Rete, siamo definitivamente sprofondati nel magma dell'indifferenziato, dell'intercambiabile. Da ciò mi sento idiosincratico. Non tanto per la valutazione dello strumento in sé, la rete, quando piuttosto dell'ottundimento in negativo che ha prodotto e continua incessantemente a produrre.
A mio modo di vedere, nel mio drastico e netto giudizio, la pittura (ma ciò vale per l'arte in genere), non ha bisogno di comunità virtuali, di programmi che permettono variazioni fantastiche di ciò che si vede riprodotto sulla tela, e cose di questo genere che di solito invece esaltano gli adoratori del digitale, invece, quell'antico mezzo abbisogna di un rapporto irrinunciabile di incontro profondo, intimo, tra singoli: l'artista e colui che si imbatte, più o meno fortuitamente, con una determinata opera, e sente di doverla comprendere perchè consustanziale con la propria esistenza.
Probabilmente dipende anche da questa situazione che da qualche tempo si è creata un po' ovunque, ma particolarmente nella Rete, la mia scarsa voglia di esporre ancora le mie opere. E' progressivamente andata persa in me, la speranza di quell'incontro tra singole personalità, tra uomini soli.
Se aggiungo la mia strenua convinzione che di un pittore occorrerebbe conoscere( e quindi valutare e se possibile possedere, sia pure paradossalmente), non un singolo quadro, ma l'intero susseguirsi di opere in anni e anni, come se un unico ininterrotto discorso fosse stato iniziato in un tempo ormai indefinito per poi continuare in variazioni e scarti improvvisi, in ritorni, e in audaci nuovi percorsi inusitati, fino ad esaurirsi, quando l'artista sente che non ha più nulla da notare attraverso lo strumento del pennello, non solo l'esposizione di un congruo numero di opere (che non sia almeno un tentativo di retrospettiva), ha più senso, ma neppure il possederlo, quale collezionista o amatore, quel quadro, quell'opera, mi appare gesto significativo, operazione sensata.
Così come chi nel corso di una accesa discussione, attende dapprima il momento più idoneo per intervenire e alla fine, per una atavica sfiducia nella possibilità di comprendersi davvero tramite la parola, rinuncia, allo stesso modo io, anelante il giudizio, alla fine anche il giudizio sommario, ideologico, di parte, apprezzato come sempre meglio che l'indifferenziato silenzio, cedo sempre più alla tentazione di appartarmi, che in fondo è stata maniera costitutiva di tutta la mia esperienza artistica (e potrei certo dire, non solo di quella).
Antimo Mascaretti