Tre innovazioni nello still life fotografico

Tre innovazioni nello still life fotografico

Olimpia Gaia Martinelli | 26 mar 2023 8 minuti di lettura 0 commenti
 

Un tavolino illuminato da una luce soffusa ci ricorda l'inesorabile precarietà delle nostre vite, albergando sulla sua superficie fiori appassiti, teschi e pochi beni di lusso che si riveleranno del tutto inutili una volta varcata la soglia dell'oltretomba...

STILL LIFE N°2 (2021) Fotografia di Séverine Maigre (AERIN m.).

1. Un altro tipo di vanitas...

Un tavolino illuminato da una luce soffusa ci ricorda l’inesorabile precarietà delle nostre vite, ospitando sulla sua superficie dei fiori appassiti, dei teschi e alcuni beni di lussi, che risulteranno alquanto inutili una volta varcata la soglia dell’oltre tomba. Questa descrizione si potrebbe accostare a un numero alto, e quasi indefinito, di vanitas, nature morte con elementi simbolici allusivi al tema della caducità della vita, volti a fungere da memento mori, ovvero un serio ammonimento dell’effimera condizione dell’esistenza umana, almeno, su questa terra. Forse, è possibile da considerarsi una sorta di vanitas, ridotta ai suoi minimi termini e collocata in un contesto ritrattistico alquanto inusuale, quella specie di “bollino”, decorato con un teschio e un osso, che possiamo ammirare disposto sulla fronte di Frida Kahlo, precisamente nel suo autoritratto del 1943, titolato Thinking about death. Questa nuova interpretazione del suddetto genere, adesso integrato nella visione frontale delle fattezze della pittrice, nasce da un periodo estremamente tormentato dell’artista, che messa alla prova da numerose malattie e complicazioni, si sentiva come una condannata alla pena capitale. Ad ogni modo, nell’antica cultura messicana, la morte significa anche rinascere a vita nuova, tanto che la Frida del suddetto capolavoro si circondò di floride piante, simboli di eternità che l’accompagneranno nel suo prossimo e lungo viaggio. Tornando però al concetto di pena capitale, e abbandonando la pittura per il mezzo fotografico, le innovazioni della vanitas continuano nella contemporaneità, mediante l’operato di Mat Collishaw, artista inglese specializzato nell’utilizzo del video e della fotografia, che ha realizzato Last Meal on Death Row, serie di immagini raffiguranti l’ultimo pasto scelto da sette prigionieri del braccio della morte, che sono state ricreate in composizioni di nature morte, le quali, senza fare riferimento ai tipici teschi, offrono una nuova interpretazione e punti di vista sul sopra menzionato genere.

BEAUTYGONE 2 (2023) Fotografia di Edgar Garces.

ETERNA NATURA MORTA... [ ESTRAZIONE 2 ] (2020)Fotografia di Cédric Zuwala.

2. L'esplosione...

BOOOOM! Questo suono, che ci fa pensare subito ad una violenta esplosione, viene, in modo prevalente, associato a opere d’arti figurative, raffiguranti drammatiche e alquanto dettagliate scene, o a capolavori che riprendono il soggetto mediante il più sintetico linguaggio dei fumetti. Volendo illustrare il primo esempio citato, faccio riferimento a Explosion (1917) di George Grosz, che, raffigurando un paesaggio urbano di case distrutte, fiammanti, finestre che vanno in frantumi, copri seminudi, volti in ombra e personaggi abbracciati, ha perseguito l’intento di inscenare gli orrori della prima guerra mondiale. I drammi di quest’ultimo evento vengono interiorizzati mediante l’uso di prospettive multiple e colori intensi, che, accentuando le sensazioni di instabilità e pericolo, ci riportano ad una chiara interpretazione dell’approccio futurista. A proposito invece del mondo dei fumetti, è impossibile non pensare alla ben nota Explosion (1965-66) di Roy Lichtenstein, il cui linguaggio Pop, a partire dal 1962, si è dedicato a prendere in prestito le immagini di esplosioni da fumetti di guerra, al fine di “trasportarle” nei suoi più iconici dipinti. Giungendo al mondo più contemporaneo, il “fenomeno esplosivo”, mediante l’intervento di Ori Gersht,  fotografo israeliano di belle arti, è sbarcato, in modo poco prevedibile, anche nel genere della natura morta, proprio come dimostra la sua serie di opere che, titolata Blow Up, ritrae elaborate composizioni floreali, basate sui dipinti floreali del XIX secolo, e in particolar modo quelli di Henri Fantin-Latour, che vengono catturate da accurati scatti, volti a immortalare nel momento in cui esse saltano in aria. L’esplosione non è però l’unica novità apportata da questa tipologia di natura morta, in quanto le sue conseguenze trasformano i fiori, simbolo della pace per eccellenza, in una sorta di agnelli sacrificali: vittime di un terrore brutale, che, ingiustamente, troppo spesso si scaglia sulle forme di vita più delicate, fragili e inconsapevoli.

FOTOGRAFIA JEANTURCO NUMERO 1589 (2022) Fotografia di Jean Turco.

3. Nuovi materiali...

Infine, vi riporto all’immagine di una delle più classiche nature morte floreali di sempre: Fiori in un vaso di legno di Jan Brueghel il Vecchio, capolavoro del 1606 circa, volto a fissare in pittura un contenitore nel quale sono stati adagiati una moltitudine di fiori recisi e ordinati per grandezza, tanto che in basso si trovano collocazione i più piccoli esemplari, mentre in alto quelli più grandi. Anche se sin dall’epoca dei greci erano stati ideati i primi fiori artificiali, sapientemente presi in prestito dai costumi orientali, generalmente i pittori del Seicento fiammingo usavano per modelli piante vere, di conseguenza mi domando: cosa succederebbe se i moderni fiori di plastica entrassero nel più classico genere della natura morta? Questa curiosità ci viene ampiamente svelata da Richard Kuiper, fotografo che, ispirato dal Secolo d’Oro olandese, e in particolare dalle collezioni di dipinti dei ricchi mercanti dell’epoca, che commissionavano opere a maestri del calibro di Pieter Claesz, Floris van Dijck, Frans Snyders, Adriaen Coorte e Balthasar van der Ast, cattura nature morte di plastica, denunciando, oltre i cambiamenti di costume, anche la larga diffusione di questo nocivo materiale per il nostro ambiente. L’analisi delle nature morte fotografiche continua, coinvolgendo l’operato di alcuni degli artisti di Artmajeur, quali The Imaginati, Ordo Abkao e Sofia Zelenskaya.

UNA SCARPA COME NATURA MORTA CON FRUTTA (2023) Fotografia di Gli Immaginati.

The Imaginati: Una scarpa come una natura morta con frutti

Cosa c’è d’innovativo nella fotografia di The Imaginati? Per spiegarvelo mi serve Mirò! Il maestro spagnolo realizzò, precisamente nel 1937 e mentre si trovava a Parigi, Natura morta con vecchia scarpa, in cui gli oggetti isolati, raffigurati non in scala, trovano un punto di riferimento spaziale nel bordo posteriore e irregolare del piano su quale appoggiano, che può essere letto come un’approssimativa linea d’orizzonte. A proposito del cromatismo invece, il colore dell’opera appare alquanto acido, altamente saturo e dissonante, avente il fine di catturare, facendo riferimento alle stesse parole dell’artista, una realtà profonda e affascinante. In realtà però, tali cromie apocalittiche nascono dal contesto della guerra civile spagnola, evento che viene sintetizzato e interiorizzato dal forte sentimento di angoscia e di paura dell’artista, tanto che il dipinto viene spesso paragonato all’inquieto Guernica di Picasso. L’opera del 1937 è una delle tante testimonianze di scarpe rappresentate “passivamente” all’interno del genere della natura morta, mentre in A shoe as a still life with fruits, invece, il suddetto oggetto si distingue per il suo ruolo “attivo”, in quanto esso non si limita solo ad apparire per quello che è, ma diventa anche una sorta di contenitore per la frutta, usato alla stregua di una più comune ciotola. Forse, il fatto che la scarpa è alquanto consumata, e probabilmente poco utilizzabile per la sua funzione originaria, giustifica la scelta ecologica dell’artista, volta a non sbarazzarsi del vecchio, per regalargli una nuova funzione vitale. Infine, riporto le stesse dichiarazioni di The Imaginati, secondo il quale la foto rappresenta un mezzo di comunicazione temporale: “Una scarpa come natura morta con frutta è una creazione artistica originale che combina una scarpa da ginnastica moderna con frutta o verdura per creare una composizione simbiotica, un'alchimia tra passato e presente”.  

PRINCESS (2018) Fotografia di Ordo Abkao.

Ordo Abkao: Principessa

I resti di una principessa di T-rex, o di un qualsiasi altro esemplare di dinosauro che sia, appaiono come l’unico e frontale protagonista dell’ironica fotografia di Abkao, capace di attribuire i più alti titoli nobiliari ad un animale morto ancora prima della nascita dell’uomo e, di conseguenza, di questi ultimi “riconoscimenti” sociali. Un simile umorismo “preistorico” è riscontrabile, questa volta in scultura, in Felix di Maurizio Cattelan, scheletro creato per l’MCA (Sydney), che, ispirato dalla popolarità del Tyrannosaurus rex esposto al Field Museum (Chicago), ha voluto reinterpretare la sua figura minacciosa e gigantesca in una versione di più simpatico e “affabile” gatto domestico, perseguendo l’intento di sfidare la percezione del soggetto, mettendo in discussione le preimpostate nozioni di artefatto e di mostra. A proposito del nome della scultura, invece, esso è stato ispirato dal noto personaggio dei cartoni animati Felix the Cat, rievocato al fine di coinvolgere nel racconto museale contemporaneo anche il pubblico dei più giovani. Tornando all’artista di Artmajeur, invece, la sua vanitas, nel rispetto delle più fedeli sembianze del predatore, si distacca da un intento prettamente percettivo, dimostrando, piuttosto, come nel giorno della nostra dipartita ogni titolo onorifico guadagnato in vita risulterà alquanto inutile.

PRIMAVERA (2021) Fotografia di Sofia Zelenskaya.

Sofia Zelenskaya: Primavera

Sofia Zelenskaya è una fotografa russa specializzata nella rappresentazione della figura femminile, tanto che le sue opere, incentrate soprattutto sulle tematiche muliebri, di sovente indagate nella versione del nudo, sono caratterizzate da una luce nuova e visionaria, quasi rivelatrice di punti di vista ancora sconosciuti all’occhio umano. Di fatto, la fotografia Spring accosta, in modo alquanto inedito, un primo piano femminile a un ritratto floreale, fondendo due generi in un racconto, che pare narrare l’affinità tra la delicatezza della donna e quella di una particolare pianta, che si separa in due frammenti proprio nella parte più inferiore dello zigomo della modella. Un “analogo” profilo di donna appare anche in un noto capolavoro della storia dell’arte, che, ancora una volta, ha affiancato la presenza femminile al genere della natura morta: sto parlando di Still Life with a Figure (1940) di Balthus, dipinto ad olio dominato da una composizione di nature morte disposte su di un tavolo, in cui, all’estrema destra, si colloca la presenza di una giovane ed enigmatica figura femminile, tagliata bruscamente sul bordo destro dell’immagine, in modo che ne siano visibili soltanto la testa, le mani e una manica del suo abito. Pertanto, nonostante l’opera del maestro polacco non implichi la “fusione” fisica tra donna e natura, essa, come quella dell’artista di Artmajeur, ci fornisce una studiata prospettiva del corpo femminile, il quale viene usato per mostrare ed introdurre, come una sorta di valletta, le peculiarità dei fiori, della frutta, etc.

 

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