Top 10: Natura morta con fiori

Top 10: Natura morta con fiori

Olimpia Gaia Martinelli | 22 mar 2023 11 minuti di lettura 0 commenti
 

La mia classifica di nature morte con fiori riunisce tutte quelle che, a mio avviso, sono state le opere più iconiche e "commerciali" del suddetto genere, che ho disposto all'interno di una narrazione in ordine decrescente, tesa a culminare nel simbolo per eccellenza della materia...

ROSE (2021) Pittura da Valery Marche.

La mia classifica di nature morte con fiori riunisce tutte quelle, che, secondo me, sono state le opere più iconiche e “commerciali” del suddetto genere, le quali ho provveduto a disporre all’interno di un racconto in ordine decrescente, volto a culminare nel simbolo per eccellenza del soggetto, ovvero in quel capolavoro che nessuno, o quasi, può risparmiarsi dal misconoscere, il quale mi sono permessa di eleggere a iconico manifesto di rappresentanza dei dipinti a “tema floreale” per eccellenza. Prima di passare alla top 10 però è bene entrare, almeno per un attimo, nel contesto storico di appartenenza delle nature morte con fiori, soggetti naturali nati, inizialmente come manifestazione artistica minore rispetto a quella storica, religiosa o mitologica, dalla mano del fiammingo Hans Memling, che, all’incirca nel 1490, pose le basi per la continuazione di un soggetto ormai divenuto imprescindibile, grazie anche al fatto che, nel corso dei secoli, esso ha raggiunto un’intensità e un’originalità estetica assai superiore ad una semplice riproduzione botanica. In aggiunta, dopo il successo riscontato dal genere all’interno dello Stile Liberty, si deve all’avvento del Novecento l’intuizione di non limitarsi a riprodurre i fiori solo così come sono, per coinvolgerli all’interno di assemblages, installazioni, fotografie, etc. Interrompiamo questa lunga, antica e futura storia per dedicarci alle opere che, tra fine Ottocento e anni Duemila, hanno per me rappresentato l’apice del genere, in quanto esse risultano, oltre che tecnicamente e stilisticamente senza precedenti, anche dei veri e propri “prodotti mainstream” altamente contemplati dalle masse.

Murakami con un esemplare della sua serie Flower Ball. @soulr.co

10. Takashi Murakami, Fiore rosa, 2007

Detto sinteticamente e senza fare alcun riferimento ai propositi, alla formazione e alle influenze all’origine dell’opera di Murakami, Flowerball Pink (2007) è una stampa circolare riempita con un intenso e “affollato” schizzo di fiori luminosi, i quali, ciascuno dotato di una faccina sorridente, creano una sensazione di illusoria tridimensionalità, volta ad animare tutta La serie dei Flower Ball, della quale proprio la suddetta stampa fa parte. Aggiungendo in questa sintetica descrizione i dettagli mancanti, i popolari fiori di Murakami, punto fermo della carriera dell’artista come possono essere le Campbell's Soup Can per Warhol, nascono da un’originale reinterpretazione della pittura tradizionale giapponese, in cui i fiori furono di sovente raffigurati. A quest’antica iconografia si aggiunge l’accurata osservazione del mondo dei manga, delle anime e della subcultura giapponese, generatrici di oggetti commerciali, che vengono trasformati in arte da Takashi, mediante la sfumatura dei confini tra consumismo ed arte, atteggiamento che ripropone, ancora una volta, i propositi della Pop art anni Cinquanta. Nonostante tali affinità, i disegni di Murakami superano il mero accostamento tra cultura alta e bassa, in quanto dietro ai suddetti sorrisi luminosi si possono intravedere lacrime nascoste, capaci di dar forma a quel maturo coraggio in grado di celare la sofferenza dietro a una dignitosa manifestazione di serenità. Infatti, proprio a quest’ultima osservazione si lega una dolorosa dichiarazione rilasciata dall’artista al New York Times, in cui egli confessò, che i suoi Fiori sorridenti non sono altro che una muta manifestazione delle emozioni represse, nonché dei traumi, collettivi vissuti dai giapponesi nel momento più drammatico della loro storia: i bombardamenti di Hiroshima-Nagasaki del 1945.

Scultura floreale di Yayoi Kusama. @kusama_archive

9. Yayoi Kusama, Pronto a sbocciare al mattino, 1989

Anche in questo caso non si smentisce! Yayoi Kusama, artista giapponese contemporanea, estremamente nota per l'uso compulsivo di fitte fantasie di pois, decorazioni dovute alla sua ispirazione, inesorabilmente tratta dalle drammatiche e rotonde allucinazioni di cui l’artista soffre fin dall’infanzia, non ci coglie di sorpresa quando sceglie di riproporre il suo più caro motivo anche per dar vita ad un ripetitivo sfondo rosso, volto a concretizzarsi nei pallini che circondano i due fiori, volti a stagliarsi in primo piano. Se l’ossessione appena rivelata, manifestatasi in questo caso mediante la raffigurazione del mondo dei fiori vi ha stupito, allora non conoscete bene l’operato dell’artista giapponese, che in altre occasioni si è avvicinata, sempre in modo compulsivo, al mondo floreale, proprio come quanto, ad esempio, durante la Triennale della National Gallery of Victoria (Melbourne, 2018), ella ha permesso ai visitatori di posizionare, in maniera libera, moltitudini di gerbere su tutte le superfici disponibili di una stanza. Tale opera, titolata Flower Obsession, trova spiegazione, ancora una volta, mediante la ripetizione delle sopra citate visioni, anche se, questo particolare caso, è l’artista stessa a rivelarci l’origine dell’installazione: “Tutto è iniziato con un’allucinazione. Un giorno da bambina, dopo aver osservato un motivo di fiori rossi sulla tovaglia, ho alzato lo sguardo e il soffitto, le finestre e le colonne mi sembravano intonacate con lo stesso motivo floreale rosso. Ho visto l’intera stanza, tutto il mio corpo e universo coperto di fiori rossi, e in quell’istante la mia anima è stata cancellata … Quella non era un’illusione, ma la realtà stessa”.

Andy Warhol, Fiori, 1964.

8. Andy Warhol, Fiori, 1964

Prima del 1964, in maniera alquanto incredibile, il repertorio di Warhol mancava, quasi imperdonabilmente, dell’approccio ad un soggetto principalmente naturalista, quale, ad esempio, quello dei fiori! Come aveva potuto l’artista di Pittsburgh scordarsi di un genere così ricorrente nella storia dell’arte, magari da trasformare in un ripetitivo oggetto di consumo da proporre compulsivamente alle masse? In realtà Andy non presentò mai un autonomo interesse per il soggetto sopra indicato, tanto che la sua analisi fu spinta dall’intervento di Henry Geldzahler, curatore d’arte contemporanea, che spinse Warhol, durante il World’s Fair di New York del ’64, ad arricchire la sua produzione con l’elemento naturale per eccellenza. Alla fine però Andy divenne intimo di tale soggetto, in particolare dell’Ibisco, che, realizzato in uno stile volto ad unire tecniche impressioniste ed astratte, perseguì l’intento di dar voce all’anima più intima dell’artista e forse, anche quella meno esposta e controversa, in quanto di sovente celata dalle apparenze del racconto consumista. Fino a qui tutto bene, tanto che Warhol interpretò molteplici volte il soggetto, ma un giorno venne a galla l’amara verità: Le serigrafie "Flowers" riprendono chiaramente l'immagine di fiori di Ibisco delle fotografie di Patricia Caulfield, artista che, non interpellata da Warhol, passo direttamente alle vie legali!

7. Roy Lichtenstein, Fiori neri, 1961

Siamo giunti alla settima posizione, occupata da uno dei principali artisti della Pop art, insieme a quello appena sopra discusso: sto parlando di Roy Lichtenstein, noto per le sue opere ispirate alle stampe di giornali e fumetti, in particolar modo quelle, che, realizzate mediante il punto Ben-Day, illustravano la vita dell’epoca, passando alla storia, soprattutto, attraverso capolavori come Whaam! (1963), nonché quelli raffiguranti belle signorine bionde, le quali, piuttosto accondiscendenti, arrivavano quasi a piangere e a sorridere a comando. In questa produzione, in cui possiamo inserire anche opere aventi come soggetto Paperino e Topolino, oltre a remake di noti capolavori, chi avrebbe mai detto di poter trovare anche alcune nature morte floreali? A questo punto introduco Black Flowers, opera che, nonostante sia datata 1961, ovvero da collocarsi all’inizio della carriera dell’artista, riporta già alcuni degli stilemi più maturi di Lichtenstein, che, indelebilmente segnati dal mondo dei fumetti, arrivano,  in questo caso, a sovvertire la bellezza cromatica dei fiori, per catturarli in un poco comune bianco e nero, volto ad ergersi al di sopra di un vaso a forma di colonna scanalata, dettaglio che rende possibile l’unione tra il mondo classico e quello delle riviste.

  Georgia O'Keeffe, Red Canna, 1924. Olio, 73,7 x 45,7 cm.

6. Georgia O'Keeffe, Canna rossa, 1924

Era proprio impossibile non includere in questa top 10 l'opera della O'Keeffe, artista americana nota soprattutto per i suoi dipinti di fiori, che realizzati in primo piano o su larga scala, rappresentano alcuni dei suoi capolavori più noti, datati dalla metà degli anni Venti agli anni Cinquanta. All'interno di questa vasta produzione floreale, ho voluto scegliere come opera rappresentativa Red Canna (1924), una tela raffigurante un giglio di canna "ingrandito", e quindi visto da vicino, la cui prospettiva persegue l'intento di farci conoscere e apprezzare la bellezza, la ricchezza e la delicatezza di un fiore aperto, interpretabile, in modo parallelo, erotico e sensuale con la visione ravvicinata della parte più nascosta della femminilità, una "dimensione" spesso riconosciuta dagli osservatori all'interno di gran parte del repertorio floreale della O'Keeffe. In realtà, la malizia sta proprio nell'occhio di chi guarda, poiché la pittrice dichiarò impetuosamente che la sua opera era stata letteralmente fraintesa, diventando il simbolo di un'interpretazione maschilista, formulata da una critica d'arte prevalentemente maschile, che aveva perpetuato una concezione sessuale del suo lavoro che era in realtà molto diversa dalle sue intenzioni originali.

Henri Matisse, Rose spray davanti alla finestra, 1925. Olio su tela, 80×65 cm. Collezione privata. @dipinti_i_love .

5. Henri Matisse, Fiori, 1907

Matisse, esponente di spicco dei Fauves, si è distinto, come del resto gli altri portavoce di quest’ultima corrente artistica, per la divulgazione di forme semplificate, l'abolizione della prospettiva e del chiaroscuro, nonché l'uso di colori vivaci, innaturali e puri. La natura morta floreale Flowers, datata 1907, dalle cromie meno “aggressive” e leggermente più “naturalistiche” delle sopra menzionate, conta, più che lo stupore trasmesso da tonalità vibranti, del movimento della pennellata altamente espressiva, volta a costruire forme piatte e grafiche, che si accostano alla tematica più “classica” della natura morta. Se questa è la descrizione che vale per Flowers (1907) è bene mettere in luce come, all’interno della lunga carriera dell’artista, egli tornò ripetutamente sulla tematica dei fiori, interpretandoli all’interno di contesti più o meno sviluppati, inclusivi di scene d’interni e di paesaggi, come, ad esempio, Purple Robe and Anemones (1937) e Interior with Dog (1934).

Katsushika Hokusai, Ciuffolotto su ciliegio piangente, 1840.

4. Katsushika Hokusai, Ciuffolotto su ciliegio piangente, 1840

“Un singolo uccello si bagna / le piume e vola via: / ciliegio del mattino": questa è la traduzione dell’iscrizione presente sulla stampa Bullfinch on Weeping Cherry (1840), la quale riporta le diciassette sillabe attribuibili a Bunrai'an Setsuman, poeta haiku del Setsumon, scuola a cui Hokusai era associato e fece riferimento anche per il testo riportato sul dipinto Pines and Mt Fuji. A proposito del ciliegio in fiore, menzionato dalla stessa citazione, è questo il protagonista indiscusso dell’opera, che, tra fiori e boccioli, si presenta insieme a un ciuffolotto, voltatile che in Giappone è la nota figura di spicco di una cerimonia che si svolge ogni Capodanno nei santuari Tenjin. In questa occasione ci si deve recare nel luogo sacro muniti del ciuffolotto di legno dell’anno precedente, al fine di sostituirlo con quello del nuovo corso, che, benedetto, proteggerà il padrone dalle disgrazie dell’anno successivo. Il benevolo animale, invece, realisticamente realizzato nella stampa di Hokusai, è sicuramente un esemplare maschio, proprio come si evince dalla marcatura rosa, che si estende dalla guancia alla gola del pennuto. Infine, i fiori, il blu di prussia, il volatile e le iscrizioni formano un tutt’uno armonico, capace di narrarci della più alta tradizione artistica, nonché delle usanze e della cultura, del Giappone.

Gustav Klimt, Il girasole , 1906 - 1907. Olio su tela, 110 x 110 cm. Collezione privata.

3. Gustav Klimt, Girasole, 1906

Scordatevi Il bacio (1908), La Giuditta (1901) e Le tre età della donna (1905), opere che ci hanno fatto pensare che Klimt fosse forse più abile, e sicuramente più interessato, a ritrarre la figura umana, piuttosto che la natura, o la natura morta. Se la prima ipotesi è sicuramente errata, dato l’ecclettismo dell’artefice, la seconda pare essere alquanto plausibile, in quanto il Girasole del 1906 risulta essere un soggetto insolitamente privo del più tipico elemento antropomorfo. Ad ogni modo, i suddetti fiori di Klimt sembrano essere molto simili agli esseri umani, poiché stanno eretti in un giardino, dove vivono, risultando ancora lontani dall’essere rilegati nello spazio di un vaso insieme a frutta e altri esemplari floreali moribondi. Per questo motivo, se proprio vogliamo essere puntuali, il capolavoro, più che rientrare totalmente nel genere della natura morta, parrebbe alquanto affine a quello paesaggistico, all’interno del quale i girasoli assumono le movenze dei protagonisti dei capolavori sopra menzionati, in particolar modo, riecheggiando la stretta degli amanti de Il bacio con le loro foglie unite in un simile abbraccio.

Claude Monet , Ninfee , 1919. New York: Metropolitan Museum of Art.

2. Claude Monet, Laghetto delle ninfee, armonia verde, 1899

Sempre a metà strada tra “natura morta” e paesaggio si colloca la lunga serie delle ninfee di Monet, le quali, pur collocandosi all’aperto e ancora in vita, diventano dei modelli alla stregua dei vasi, della frutta e delle composizioni floreali più “casalinghe”. Questo ciclo di dipinti, di oltre 250 opere, realizzate tra il 1890 e il 1926, racconta in realtà il distacco del maestro da alcune delle peculiarità del movimento ch’egli stesso rappresentò in prima persona: l’Impressionismo. Infatti, se una delle peculiarità di quest’ultimo fu quella di dipingere “en plein air”, al fine di fissare in una sola immagine, realizzata abbastanza di getto, l’impressione di un preciso momento, il maestro venne meno a questo modo di lavorare per due motivi: la grandezza delle sue ultime tele e la stagione invernale. A proposito del primo, i grandi supporti erano rigorosamente conservati nel suo atelier, luogo in cui egli riusciva a frammentare le sue impressioni catturate dal vivo, per poi ricomporle in una sequenza di attimi coerenti. Per quanto riguarda la stagione invernale, invece, il freddo faceva sì che l’artista, grazie all’aiuto dei cavalletti mobili, potesse iniziare la sua opera fuori per poi terminarla nel suo studio, dove riusciva ad un’abile visione d’insieme.

Vincent van Gogh, Girasoli , 1889. Olio su tela, 95 x 73 cm. Amsterdam: Museo Van Gogh.

1. Vincent Van Gogh, Girasoli, 1889

E il vincitore è: Vincent! Devo dire la verità, ho sempre avuto un debole per gli spiriti tormentati, ma in questo caso i suoi girasoli rappresentano davvero un capolavoro di natura morta imprescindibile per la storia dell’arte, in quanto realizzano la perfetta sintesi tra realtà esteriore e mondo interiore dell’artista. Infatti, il dipinto, raffigurante un mazzo di girasoli raccolto in un vaso panciuto ed esposto su di un piano, precisamente contro una parete chiara, è un noto esempio della sperimentazione figurativa di un maestro, che viveva la pittura come una terapia esistenziale quotidiana, ovvero, sia una ricerca artistica, che un filtro con il quale affrontare la realtà. In aggiunta, la serie dei girasoli fu realizzata con l’intenzione di esprimere gratitudine verso l’amico e collega Paul Gauguin, tanto che essa fa concepita per decorare la stanza che Vincent gli allestì ad Arles, nella Casa Gialla, dove il francese l’aveva raggiunto. Addirittura, il maestro olandese amava talmente questo fiore, che arrivò ad immedesimarvisi, fino a definirlo: “completamente Vincent”. Infine, è importante anche notare come i girasoli posti nei vasi da Van Gogh siano, alle volte, come rivelato al fratello Theo, quattordici o quindici, al fine di fare riferimento ai numeri degli apostoli di Cristo sommati alle figure di Theo e Paul Gauguin, ai quali si poteva aggiungere anche la presenza dello stesso Vincent.


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