Top 10: i nudi più scandalosi dell'arte

Top 10: i nudi più scandalosi dell'arte

Olimpia Gaia Martinelli | 31 mag 2023 13 minuti di lettura 1 commento
 

La mia top ten ha selezionato i migliori capolavori nudi, crudi, sensuali, a volte erotici e, di conseguenza, estremamente "scandalosi", "demoniaci" e talvolta "pericolosi" per gli occhi di quegli spettatori più suscettibili all'esteriorizzazione delle sinuosità di il corpo umano...

DAVID MICHELANGELO HUGO BOSS (2021)Incisione di Tony Rubino.

Contro la censura dell'arte

La mia top ten ha selezionato i migliori capolavori nudi, crudi, sensuali, alle volte erotici e, di conseguenza, estremamente “scandalosi”, “demoniaci” e talvolta “pericolosi”, per gli occhi di quei fruitori più suscettibili all’esternazione delle sinuosità del corpo umano, personaggi che oserei ritenere degni di un salto nel tempo all’epoca del Braghettone, ovvero di Daniele da Volterra (1509-1566), artista che alla fine del Cinquecento si guadagnò proprio il suddetto soprannome, una sorta di Sig. Mutanda quando si traduce letteralmente dall’italiano, in quanto fu chiamato, in seguito al Concilio di Trento, per coprire le nudità del Giudizio Universale di Michelangelo della Cappella Sistina, provvedendo a celarle dietro a braghe e vestiti. Ai signori e alle signore “Braghettone” vorrei fare notare i contenuti, che oggi giorno vengono diffusi sul web e sui social media, canali di comunicazione, in cui ogni minuto si riversano le immagini e i video di fanciulle a cui si intravedono i capezzoli, oppure di figure catturate mentre si cimentano nel più esplicito dei twerking, o colte in micro perizomi in pose alquanto invitanti e ammiccanti. A questo punto, il membro del David, il seno dell’Olympia, i glutei delle bagnanti di Courbet, muti, statuari e soprattuto concepiti soltanto per essere  osservati, contemplati, e non per stimolare il desiderio di iniziare lunghe chat private, vi sembrano tanto dannosi per la nostra società alla deriva? In aggiunta, non si pensa al lungo lavoro che c’è stato dietro l’ideazione e la realizzazione dei suddetti capolavori, nonché al bagaglio storico artistico che essi rappresentano, a maggior ragione proprio se messi a confronto con “l’ignorante” sedere di un’anonima persona qualunque esposto su Instagram. Dopo questo sfogo, vi lascio ai capolavori, sperando che la storia che si cela dietro ad ogni opera vi faccia capire come al di là di un organo genitale, di un seno e di un gluteo, ci sia un valore intellettuale inestimabile, che i posteri meritano di conoscere, in quanto non esiste l’oscenità se ciò che si mette in mostra viene spiegato, contestualizzato, narrato, analizzato e ben raccontato nel suo intento di creazione. Probabilmente, è stata la superficialità della nostra epoca a trasformare i capolavori dell’arte in commerciali e semplici lembi di carne, esposti per suscitare chissà mai quale pensiero erotico, o, il più delle volte, per divenire vuoti testimonial usati al fine invitare ad un mero dispendio di pecunie.

Édouard Manet, Pranzo sull'erba , 1862-1863. Olio su tela, 208×264 cm. Parigi: Museo d'Orsay.

Top 10

10. Édouard Manet, Colazione sull'erba, 1862-1863

Tappatevi gli occhi o voi che siete ancora in tempo, preparatevi ad andare a confessare i vostri peccatti, perché le opere che vanno dalla dieci in poi rappresentano una discesa agli inferi, luogo in cui, come una sorta di Virgilio, ho scelto Manet come primo accompagnatore, figura che mi condurrà nel tragitto che attraversa il purgatorio per giungere all’eterna dannazione, simbolicamente rappresentata dell’opera numero uno! Va bene, scusate, ci ho preso un po' la mano, torno subito seria per aprire questa classifica con la Colazione sull’erba del sopra citato maestro francese, tela in cui trova collocazione una donna nuda seduta di fronte a due uomini benestanti, che vestono abiti scuri. La figura femminile, che rivolge il suo sguardo direttamente allo spettatore, ha assunto una posa rilassata, ignara dello scandalo che la sua presenza suscitò nel pubblico dell’epoca, il quale già sconcertato dalla tecnica pittorica usata dall’artista, intuì subito che la signorina, che non era né una ninfa né una dea, doveva essere una sfrontata prostituta, soggetto bandito all’epoca della realizzazione del dipinto, in quanto la presenza del nudo era giustificabile solo in riferimento alla mitologia o all’allegoria. Infine, è bene rendere noto come per la realizzazione di tale “affronto” Manet prese spunto dal Concerto campestre di Tiziano e, probabilmente, anche ad alcune stampe cinquecentesche di Marcantonio Raimondi tratte dal Giudizio di Paride di Raffaello, fonti d’ispirazione che furono trasformate in una composizione  volutamente straniante e provocante.

Édouard Manet, Olympia , 1863. Olio su tela, cm 130,5×190. Parigi: Museo d'Orsay.

9. Édouard Manet, Olympia, 1863

Alla numero nove, probabilmente collocata nel girone del purgatorio dei lussuriosi, oggi forse popolato anche dai guardoni dei sensuali sopra menzionati video di Instagram, trova collocazione un altro capolavoro raffigurante una provocatoria prostituta: l’Olympia di Manet. Il dipinto, che raffigura una donna priva di abiti distesa su di un letto, intenta a rivolgere, senza rivelare emozione alcuna, lo sguardo verso il fruitore, propone ancora un’altra inedita interpretazione del nudo femminile, che, diretta e priva di compromessi, sfidò la morale borghese della sua epoca. In aggiunta, all’immagine fredda e realista della suddetta cortigiana si aggiunge anche un ulteriore sorta di “profanazione” della tradizione, in quanto la posa da lei assunta era per lo più quella attribuita dalla tradizione classica alla figura di Venere, adesso trasformata in una cruda associazione al meretricio. Per di più, mai più fu azzeccata la scelta del titolo del dipinto, in quanto il nome Olympia era di gran lunga comune tra le cortigiane ottocentesche, da associarsi anche alla presenza del gatto nero, simbolo erotico legato alla sessualità femminile, e al soggetto della serva, che è intenta a porgere alla modella proprio il regalo floreale di un suo cliente. Infine, anche il letto sfatto e la sensuale orchidea fra i capelli, nonché i gioielli indossati senza troppa raffinatezza, indicano che la giovane viveva un intesa “vita pubblica”.

Francisco Goya, La maja desnuda, 1790-1800. Olio su tela, cm 97×190. Museo del Prado, Madrid.

8. Francisco Goya, La maja desnuda, 1790-1800

Dalla Francia giungiamo alla Spagna, sempre perseguendo l’intento di coinvolgere, istruire e “converitire” i  “Braghettone” di tutto il mondo, questa volta portando ad esempio la Maja desnuda di Francisco Goya, tela che ritrae una giovane donna nuda, che, con fare estremamente sicuro di sé e senza alcun minimo pudore, incrocia lo sguardo dello spettatore, mentre è distesa con il capo a sinistra dell’opera e le mani incrociate dietro la nuca, per evidenziare la sporgenza dei seni. Adesso vi chiederete, e se non l’avete fatto lo faccio io per voi, perché la Maya è alla posizione numero 8, risultando quindi più scandalosa dell’Olympia? La risposta stà tutta nel pube, in quanto l’opera del maestro spagnola mostra, in modo alquanto inedito per l’epoca, i peli dell’inguine e la linea nigra, ovvero quella sottile striscia di pelle, che unisce il monte di Venere all’ombellico. A questo punto è necessario introdurre al contesto di realizzazione della tela, ovvero la Spagna del XVIII, paese in cui i dipinti di nudo vennero banditi, poiché contrari alla dottrina cristiana, tanto che molti furono bruciati su ordine dell’Inquisizione. Nonostante ciò, il committente dell’opera, ovvero il temerario Manuel Godoy, militare e politico spagnolo, possedeva una ricca collezione di capolavori di tale genere, anche se la Maya Desnuda, forse l’opera più esplicita tra queste, fu esposta solamente mediante un meccanismo di sovrapposizione, secondo il quale ai più bigotti veniva mostrata solo la versione vestita del medesimo soggetto, raffigurato dal poco successivo dipinto della Maja Vestida.

Amedeo Modigliani, Nu couché , 1917. Olio su tela, 60 cm × 92 cm. Collezione privata di Liu Yiqian.

7. Amedeo Modigliani, Nu couché , 1917

Immaginatevi a Parigi nel dicembre 1917, mentre state aspettando al freddo, forse in fila, tra la moltitudine di persone, che si sono accalcate per assistere alla prima mostra personale di Modigliani, la quale, tenutasi presso la Galleria della mercante d’arte Berthe Weill, si interruppe bruscamente e prematuramente a causa di una funesta irruzione della polizia, avente lo scopo di rimuovere alcune opere esposte e considerate di oltreggio al pudore. Ecco, tra tutti i dipinti che si trovarono all’evento, e sul quale ricadette la suddetta accusa, potevate scorgere anche la rappresentazione di una giovane donna dai capelli scuri e dal trucco marcato, che, sdraiata languidamente su di un letto rosso, rivolgeva il suo sguardo cieco verso lo spettatore: sto parlando del Nudo sdraiato del 1917. Proprio come per il sopra menzionato esempio della Maja Desnuda, anche per il capolavoro parigino, l’oggetto dello scandalo in questione risiedette, ancora una volta, nella presenza della peluria, che, in questa occasione, si fece visibile non solo nel pube, ma anche nelle ascelle dell’effigiata, raffigurante, probabilmente, la compagna dell’artista Jeanne Hébuterne, oppure Elvira La Quique, la celebre prostituta, cantante e modella di Montparnasse.

Edvard Munch, La pubertà , 1894-95. Olio su tela, 151,5 cm × 110 cm. Galleria Nazionale, Oslo.

6. Edvard Munch, Pubertà , 1894-95

Se al giorno d’oggi venisse rappresentata una figura nuda, la cui fanciullezza è colta in quell’età che si presenta vicino alla puberta, esploderebbero probabilmente le peggiori accuse verso l’artefice, che verrebbe quasi sicuramente additato come un perverso amante di minorenni. In realtà, il capolavoro a tema di Munch, che non va assolutamente interpretato con la suddetta malizia, mette di fronte il fruitore ad un cambiamento fisico evidente, volto a coinvolgere tutta l’umanità in quel periodo di transizione, che lega l'infanzia all'età adulta. Di fatto, Pubertà raffigura una ragazzina nell’intimità della sua cameretta, che pare imbarazzata di fronte al nostro stesso  sguardo, capace di cogliere l’immaturità del suo fisico, che, celato nel pube, ma palesatosi nei piccoli e immaturi seni, deve ancora svilupparsi totalmente. Allo stesso tempo, tale corpo acerbo proietta, grazie alla luce che proviene dalla sinistra del supporto, un’ombra inquietante e minacciosa, che, collocata sul lato destro della cameretta, pare presagire l’avvenire drammatico dell’effigiata, oppure esternare il suo stato interiore consapevolmente tormentato. Parrebbe, che allo stesso modo in cui ogni bambina sa già che diventerà una donna, ella prevede la potenza della sua futura sessualità, capace di rendere sofferente gli uomini, che prima ne trarranno piacere e poi dolore e disperazione.  

5. Egon Schiele, Giovane donna nuda in piedi con calze color arancio, 1914

“Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco”. Se le parole di Schiele vi hanno smascherato nella vostra maliziosa identità, allora, da buon gustai che siete, vi invito a contemplare nella solitudine il suo esplicito Standing Young Female Nude with Orange Coloured Stockings (1914). Oppure, se come me, e come il suddetto maestro, ne riconoscete il valore artistico, degna di nota è la sua descrizione, pronta a sintetizzare come il corpo eretto e fiero di una donna, che, non ci degna minimamente del suo sguardo, si presenti in calze autoreggenti arancioni, generando la visione di una figura forse sola, malinconica e abbandonata, a prima vista grottesca e sfavorevole. Allo stesso tempo, tale modalità di raffigurazione riflette la più tipica adorazione del genere femminile da parte del maestro, che di sovente ha esulato dal raffigurare donne dall’atteggiamento passivo, per immortalarle in pose dirette, alquanto immodeste, spesso intrecciate e provocatorie, che, come disse Schiele stesso, restano pur “sempre opere d’arte”, ovvero, capolavori da contemplare nel loro valore storico-artistico, piuttosto che tramite fantasiose associazioni a luci rosse, che, come fece Circe con i compagni di Ulisse, trasformano gli uomini in porci.   

Gustave Courbet, Il sonno, 1866. Olio su tela, 135×200 cm. Petit Palais, Parigi.

4. Gustave Courbet, Il sonno, 1866

Livello di malizia arrivati alla numero 4: altissimo! Forse potremmo già iniziare a sentire le sette trombe suonate dagli angeli dell’Apocalisse del Dürer, mentre prendono luogo le devastazioni del pianeta terra, regno di maliziose e lussuriose creature, avide contemplatrici di opere d’arte erotiche come il Sonno di Courbet, olio su tela in cui sono raffigurate due donne, che, allacciate in un abbraccio sensuale, giacciono su di letto sfatto, proprio come se avessero appena terminato un’amplesso amoroso. Il dipinto in questione, che per il suo soggetto esclusivamente femminile desta ancora oggi stupore, se non per alcuni addirittura scalpore, è scampato dalla violenza dei più puritani, poiché fu realizzato per la collezione privata del diplomatico turco Khalil Bey. In effetti,  il Sonno fu esposto al pubblico per la prima volta solamente nel 1988, ovvero in occasione di una mostra newyorkese dedicata al maestro francese. Infine, un’ultima curiosità: la modella mora del dipinto è Joanna Hiffernan, ragazza che all’epoca della realizzazione del capolavoro posò anche per La ragazza in bianco di James Whistler.  

Niki de Saint Phalle, Hon, 1966

3. Niki de Saint Phalle, Hon, 1966

Alla posizione numero tre della nostra classifica troviamo, invece, Niki de Saint Phalle (1930-2002), pittrice, scultrice, regista e realizzatrice di plastici francese, che nel 1966 ha realizzato, per la grande sala del Moderna Museet di Stoccolma, la Hon, ovvero una scultura di un enorme Nana, che giace sul dorso con le gambe piegate e aperte, dalle quali lo spettatore deve passare attraverso, entrando proprio dal sesso, per trovare svaghi di vario genere, che sono collocati all’interno di differenti parti del corpo dell’opera. Tale percorso si presenta alla stregua di una grande dea della fertilità da esplorare, che è pronta ad accogliere, per poi partorire, i visitatori che la attraversano. A sottolineare la natura non pornografica di quanto appena descritto è il fatto che la Nana rappresenta una materna donna incinta, che, colorata con cromie squillanti, ricorda le vivaci tinte, che adornano le uova di Pasqua. Al contrario delle opere sopra menzionate, l’illuminata e aperta mentalità Svedese della fine degli anni Sessanta fece si che l’opera, pur rappresentando un certo shock ed essendo esposta solo per tre mesi, fu accolta senza nessuna protesta, tanto che intere famiglie accorsero a vederla portando con loro i figli.  

Gustave Courbet, L'origine del mondo , 1866. Olio su tela, 46×55 cm. Museo d'Orsay, Parigi.

2. Gustave Courbet, L'origine del mondo, 1866

Gustave Courbet, L’Origine del mondo (1866): davanti ai nostri occhi si palesa “l’osceno” primo piano della zona pubica di un torso femminile, che si estende dalle cosce al seno,  per trovare collocazione su di un lenzuolo “stropicciato”, che ci fa pensare all’intimità di una camera da letto. A questo punto appare necessario mettere in chiaro come non sia di per sé il soggetto ad aver destato scalpore, ma la tecnica di esecuzione dell’opera, che ha reso la tematica trattata estremamente realistica e quasi anatomica, senza ricorrere ad artifici stilistici storici o classici per rappresentare quella che, come da titolo, è in effetti l’origine del nostro mondo. Di conseguenza, è impossibile considerare l’olio come un’immagine pornografica, in quanto essa, piuttosto, rappresenta un capolavoro dell’amplesso pittorico, concretizzatosi mediante lo studio della tradizione figurativa italiana del tonalismo, che ha originato un crudo realismo capace di suscitare disagio anche oggigiorno, epoca in cui una provocazione di ben 157 anni fa risulta essere ancora attuale. Ad ogni modo Courbet non agì da solo, in quanto proprio ai suoi tempi iniziarono a diffondersi le prime fotografie erotiche, realizzate, ad esempio, dal francese Auguste Belloc, il quale utilizzò inquadrature simili a quelle care al pittore. Sono sicura che adesso andrete a cercare le fotografie di Belloc su Google, buona visione!

DAVID (2022)Dipinto di Kosta Morr .

1. Michelangelo, David, 1501-1504

Il marmoreo David del 1501-1504 presenta un postura fiera e stante, mentre rivolge la testa verso sinistra, sembrando intento a guardare un punto lontano, probabilmente rimuginando sul compimento del gesto bellico, ch’egli dovrà rivolgere contro il gigante Golia. É nel rispetto della tradizione greca che Michelangelo ha deciso di rappresentare questo statico momento, in quanto gli eroi classici, possenti e muscolosi, venivano generalmente immortalati nell’istante prima dell’azione, ovvero in una sorta di fermo immagine, che, in questo particolare contesto, apporta un’accumulo di tensione, che si scaricherà soltanto nel momento dell’effettiva uccisione. A questo punto lo so che ci siete rimasti male, perché pensavate che alla numero uno ci fosse effettivamente un’opera di gran lunga più “oscena” di questa, ma in realtà, così facendo, ho raggiunto il mio scopo: oppormi alla contemporanea ondata di censura! Di fatto, proprio il David di Michelangelo, in questa conclusione smascherato nel suo valore artistico, piuttosto che nella sua esigua oscenità, è stato di recente protagonista di atti di censura, resi ufficiali e tristemente virali da alcuni casi eclatanti, quali, ad esempio, quelli avvenuti in Florida e a Glasgow. A questo punto vi rimando all’introduzione, temendo di una censura, più che dell’osceno, della cultura figurativa, fonte di nutrimento inesauribile per l’estro, tanto che proprio Michelangelo, per il suo David, si rifece al più antico  e nudo Doriforo di Policleto. Adesso: a chi guardarenno gli artisti del futuro, se i grandi modelli verrano ingiustamente censurati?

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