L’arte a strisce: la spiegazione di Barnett Newman, Sean Scully e Agnes Martin

L’arte a strisce: la spiegazione di Barnett Newman, Sean Scully e Agnes Martin

Olimpia Gaia Martinelli | 20 nov 2022 8 minuti di lettura 0 commenti
 

Facendo riferimento alla definizione del dizionario di Google fornita da Oxford Languages, il termine striscia sta ad indicare “la regione di piano compresa fra due rette parallele”, ovvero quel soggetto allungato, che ha spesso rivendicato la sua presenza da protagonista prevalentemente all’interno di opere astratte o minimaliste...

Mimi Eres, Stripes 22/27, 2022. Acrilico su tela, 98 x 113 cm.

Facendo riferimento alla definizione del dizionario di Google fornita da Oxford Languages, il termine striscia sta ad indicare “la regione di piano compresa fra due rette parallele”, ovvero quel soggetto allungato, che ha spesso rivendicato la sua presenza da protagonista prevalentemente all’interno di opere astratte o minimaliste. Infatti, la popolarità delle strisce, la cui presenza è già riscontrabile nelle architetture e nei motivi decorativi delle civiltà più antiche, si è diffusa, in qualità di soggetto autonomo delle composizioni, soltanto a partire dal XX secolo, periodo in cui riscossero grande successo anche le raffigurazioni delle griglie e dei monocromi. Tale ricorrenza è di fatti riscontrabile nell’operato di alcuni maestri, esponenti dell’astrattismo e del minimalismo, che hanno esercitato, o continuano ad operare, tra il Novecento e l’epoca attuale, quali Barnett Newman, Sean Scully e Agnes Martin, dalla cui analisi dell’opera emergerà la loro personale interpretazione dell’uso di questo elemento lineare. A proposito di Barnett Newman, lo scultore e pittore statunitense classe 1905 è stato uno dei principali esponenti del Color Field Painting, una delle correnti dell’Espressionismo Astratto, attraverso la quale egli ha prevalentemente indagato zone variegate di colore separate da linee verticali, volte a originare rapporti armonici di sottile equilibrio, che tendono a dilatare lo spazio. Quanto detto è ben esemplificato dal capolavoro datato 1967, cioè l’acrilico su tela Voice of Fire, opera astratta in cui l’americano ha realizzato tre strisce verticali di uguali dimensioni, in cui le due esterne sono dipinte di blu e quella centrale di rosso. Tale tipologia d’indagine artistica, rientra a pieno negli stilemi dei più celebri maestri dell’Espressionismo astratto, che, come Jackson Pollock, Mark Rothko e molti altri, si sono interrogati su cosa fosse effettivamente la pittura, provando a suscitare emozioni e idee escludendo la tipica tridimensionalità del medium artistico, al fine di promuovere reazioni suscitate esclusivamente dal colore, della pennellata e dalla texture. Per quanto riguarda Sean Scully, invece, il pittore statunitense di origini irlandesi, classe 1945, è noto per i suoi dipinti astratti di sovente caratterizzati da una struttura ritmica di rettangoli colorati, in cui prende il sopravvento una decorazione a fantasia di righe o di scacchi. Esempio di questo approccio all’astrattismo è l’olio del 1999 intitolato Wall of Light Desert Night, che, facente parte della serie Wall of Light, è il frutto dell’ispirazione tratta da un viaggio notturno ch’ebbe luogo nel deserto del Nevada, destinazione scelta da Scully al fine di evadere dal caos della vicina Las Vegas, città in cui egli stava soggiornando. Proprio i colori ammirati in questo arido ecosistema osservato al crepuscolo, sono alla base delle cromie scelte per il sovra menzionato dipinto, dove i rettangoli a strisce blu, grigie e nere, alludono all’avanzare del buio della notte sulla superficie sabbia, finemente rappresentata da tre “mattoncini” di un tenue rosa chiaro. In questo contesto, il fruitore può ben immaginarsi il progressivo trionfo delle tenebre sulla luce, andando a contemplare, insieme all’artista, il pathos che avvolge l’oscurità, intesa come quei più reconditi misteri dell’inconoscibile, volti a far interrogare l’uomo ormai da secoli troppo lontani. In conclusione, terzo “maestro delle strisce” è Agnes Martin, pittrice minimalista statunitense, la cui sperimentazione artistica, a partire dal 1974 sino alla sua morte, si è prevalentemente concentrata sull’indagine delle potenzialità creative di una singola forma, che, come ad esempio per le linee verticali e orizzontali, ella inseriva all’interno di una tela quadrata di dimensioni sempre uguali. Quanto appena descritto è riscontrabile nel dipinto del 1999 intitolato Happy Holiday, opera astratta contraddistinta da un campo pittorico quadrato suddiviso in quattordici strisce orizzontali di uguale larghezza, dove si alternano il colore bianco al rosa pesca, in uno schema di bande delimitato da linee ondeggianti realizzate a matita di grafite. Tale dipinto, come gli altri del medesimo periodo, è stato iniziato con un’imprimitura dell’intera superficie della tela con uno strato di gesso acrilico bianco, che, mai completamente coperto con gli stati di colore successivi, conferisce all’opera un’ampia spazialità visiva e un’unica e vibrante luminosità. In aggiunta, proprio l’unione dell’uso della pittura a una demarcazione imprecisa delle linee a matita, pare ricordare al fruitore, nonché all’artista stesso, di come in realtà la perfezione geometrica non possa esistere in natura, aprendo una lunga riflessione sul connubio tra arte e consapevolezza di ciò che ci circonda.

Nataliia Sydorova, Two red strips, 2019. Olio su tela, 100 x 80 cm.

Thomas Kausel, Geometrische abstraktion blue and blue, 2022. Olio / acrilico su legno, 40 x 40 cm.

La striscia: la linea nell’Astrattismo e nel Minimalismo

Facendo un secondo riferimento alla suddetta definizione di striscia, è possibile notare come sia in essa contenuta la parola retta, termine volto ad indicare una particolare linea distinta dalla peculiarità di non cambiare mai direzione. Di conseguenza, la storia della striscia nell’arte è ripercorribile anche facendo esplicito riferimento a quella della linea, suo elemento costitutivo per eccellenza che, a partire dal Novecento, ha riscosso un discreto successo nel mondo creativo, come dimostrano gli esempi dell’Astrattismo lirico, dell’Astrattismo geometrico e del Minimalismo. A proposito del primo movimento, tale linguaggio astratto, sviluppato dal pittore e musicista russo Vasilij Kandinskij e altri artisti, tra i quali lo svizzero Paul Klee, individua nella linea uno degli elementi essenziali della forma, nonché l’unica entità in grado di generare una superficie in funzione del suo addensamento. Opera che dimostra quanto detto, è Transverse Line di Wassily Kandinsky, in cui è proprio l’orientamento delle linee a determinare il titolo del capolavoro, in cui la disposizione delle forme e dei colori evoca sentimenti di ottimismo e di felicità. Per quanto riguarda l’esempio dell’astrattismo geometrico, invece, è impossibile non fare riferimento all’operato di Piet Mondrian, i cui stilemi prevedono l’utilizzo di pochi e semplici elementi del linguaggio visivo, quali le linee verticali e orizzontali incociate in modo ortogonale, che si dispongono su di uno sfondo bianco contraddistinto dall’uso dei colori primari giallo, rosso e blu. Infine, per quanto riguarda il minimalismo, anche in questo caso la linea diviene protagonista di un linguaggio volto a rappresentare un radicale cambiamento nel clima artistico, caratterizzato da un processo di semplificazione della realtà, basato sulla sua riduzione alle strutture geometriche più elementari. A tali modalità d’interpretazione prettamente novecentesche della linea, “madre” delle strisce, si aggiungono i punti di vista a righe degli artisti di Artmajeur, quali, ad esempio quelli di Carla Sá Fernandes, Robert Van Den Herik e Natalie Levkovska.

Tehos, Tehos - automn leaves, 2021. Collage su tela, 100 x100 cm.

Ronald Hunter, Yellow panels, 2022. Acrilico su tela, 60 x 150 cm.

Carla Sá Fernandes, The emotional creation #364, 2022. Acrilico su tela, 90 x 180 cm.

Carla Sá Fernandes: The emotional creation #364

Le strisce colorate realizzate in acrilico su tela da Carla Sá Fernandes perseguono l’intento, come da titolo, di alludere alla sfera emozionale, portando alla luce tutte quelle sensazioni intuitive, viscerali, spontanee, intense ed esplosive, che spesso siamo costretti a celare dietro a un più pratico e ragionevole senso del dovere. In aggiunta, tale interpretazione dell’opera potrebbe essere arricchita dall’attento studio della storia dell’arte, che rende possibile l’associazione di The emotional creation #364 a Achæan, capolavoro di Bridget Louise Riley datato 1981. Proprio l’opera di quest’ultima pittrice inglese, una delle principali esponenti dell’Op art, rappresenta, come l’acrilico dell’artista di Artmajeur, una composizione di strisce, che concorrono a definire la struttura del dipinto. Nel caso del 1981 però, la Riley ha sviluppato una sua personale tavolozza cromatica, totalmente ispirata ai colori delle antiche pitture tombali egizie, che visitò in un viaggio datato 1979. Infine, sempre a dimostrazione della rilevanza delle strisce nell’operato dell’artista inglese, è importante menzionare la mostra del 2014 intitolata Bridget Riley: The Stripe Paintings, evento, che, avente luogo presso la David Zwirner gallery (Londra), fu ideato proprio con l’intento di mettere in luce la dedizione della Riley all'interazione tra forma e colore, proprio attraverso l’uso di elementari linee. 

Robert Van Den Herik, On the way home, 2022. Olio su legno, 80 x 80 cm. 

Robert Van Den Herik: On the way home

Le colonne di varia altezza, decorate con strisce bianche e nere e disposte con finalità prettamente ornamentale nel paesaggio desertico di un misterioso pianeta del sistema solare, rappresentano, insieme all’assenza di forme di vita umana, il simbolo di un mondo prima colonizzato e poi abbandonato dall’uomo, il quale ha portato nell’universo stilemi chiaramente riconducibile all’operato di Daniel Buren, artista concettuale, pittore e scultore francese classe 1938. In particolare mi riferisco all’opera Les Deux Plateaux di quest’ultimo, che, più comunemente nota come Colonnes de Buren, è un'installazione artistica del 1985-1986, disposta nel cortile interno del Palais Royal di Parigi (Francia). Tale “aggiunta” a quest’ultimo edificio costruito nel 1624 per desiderio del cardinale Richelieu, si deve alla volontà dell’ex ministro della Cultura francese Jack Lang, che decise di abbellire il cortile del palazzo, precedentemente destinato a parcheggio, con un’opera commissionata a Buren. Proprio la realizzazione di quest’ultima generò un acceso dibattito sull’integrazione tra arte antica e moderna, riflessione, che, nel caso dell’opera di Robert Van Den Herik, potrebbe estendersi addirittura alla “fusione” tra arte antica, arte moderna e paesaggio, invitando lo spettatore ad immaginarsi il rapporto tra estro creativo e nuovi mondi da “colonizzare”. 

Natalie Levkovska, Let's dance!, 2022. Disegno / guazzo / matita su carta, 72 x 52 cm.

Natalie Levkovska: Let’s dance!

L’opera di Levkovska include, nel linguaggio delle arti figurative, un must del mondo della moda, quale l’abito a righe! Proprio tale tipologia di vestiario è in grado di raccontare una storia ricca e piena di contrasti, nella quale le strisce assumono, sia un ruolo positivo, che negativo. Infatti, durante il medioevo esse furono prettamente associate alle fattezze delle uniformi dei carcerati, cosa che le fece percepire dall’opinione pubblica come evidenti segni di trasgressione. Successivamente, e più precisamente durante la rivoluzione francese, gli abiti a righe, indossati dai sanculotti, divennero il più puro simbolo dello sconvolgimento politico. In modo “similare”, l’associazione delle strisce ad un messaggio politico si ripeté nel 1777, quando le righe della neonata bandiera americana stavano ad incarnare l’idea di libertà. A partire dal 1858 circa, invece, le righe divennero estremamente popolari anche nella marina, poiché, nel medesimo anno, esse furono scelte come fantasia dell’uniforme ufficiale dei marinai francesi. Fu però soltanto a partire dal XX secolo, che le strisce divennero più puramente decorative e meno “simboliche”, grazie all’operato di Coco Chanel, Adidas, Sonia Rykiel, Tommy Hilfiger, Jean Paul Gaultier, e molti altri, che le trasformarono in un classico dell’abbigliamento, adattabile a qualsiasi tipo di occasione.


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