Storia della pittura africana
Ogni qual volta mi sono approcciata alla tematica pittorica, orientandola sul continente africano, mi sono imbattuta in un specifico tipo di documentazione: si partiva dalle origini, ovvero dall’arte rupestre, per poi finire a parlare di sculture, maschere, ceramiche e arte tessile, evitando di proseguire con una narrazione prettamente focalizzata sul principale soggetto d’indagine. Di fatto, si tornava a discutere esaustivamente di pittura soltanto a partire dal periodo coloniale, momento in cui l’arte dell’africa venne occidentalizzata, oppure quando, successivamente, il primitivismo europeo guardò al modello africano. Pertanto proverò a costruire un racconto coerente sull’arte pittorica dell’Africa, esordendo con le prime raffigurazioni di animali, esseri umani e simboli geometrici, datati decine di migliaia di anni fa: le pitture rupestri, realizzate con pigmenti naturali su superfici rocciose, volte a riflettere antiche credenze e pratiche culturali dell’epoca. Sono successivamente degne di nota le pitture murali delle tombe egizie, sempre concepite per alludere alla vita quotidiana, alle divinità o alle credenze sull’aldilà, in questo contesto rese uniche da un uso distintivo del colore e più accurate rappresentazioni anatomiche, intese per dar voce a una sofisticata e ricca cultura. Un altra tappa fondamentale per lo sviluppo del linguaggio pittorico risale all’epoca dell’espansione dell’Impero islamico in Africa, momento il cui le arti adottarono nuovi motivi geometrici e calligrafici, oltre che le peculiari rappresentazioni stilizzate di figure umane e di animali. Se in questo contesto si intersecarono le culture africane e islamiche, successivamente, ovvero durante la colonizzazione europea, venne imposta l’acquisizione di stilemi pittorici occidentali, cosa a cui si opposero i posteriori movimenti per l’indipendenza africana degli anni ‘50 e ‘60, volti a promuovere una rinascita dell’arte, avente come punto di riferimento le più autentiche radici culturali del paese. Esempio di quando detto è stato il linguaggio pittorico adottato dalla scuola Nsukka della Nigeria, che si è prodigata per promuovere una nuova estetica africana, intesa per essere comunque attenta a combinare elementi tradizionali e influenze contemporanee. Infine, giungendo ad oggi, possiamo prendere a modello gli artisti africani di Artmajeur, sempre pronti a dar vita a linguaggi personali, inesorabilmente legati alla loro provenienza culturale, ricca di riferimenti a questioni sociali, politiche e ambientali, intese per trasformare il pennello in un mezzo per esplorare, oppure criticare, la realtà contemporanea. In questo senso la pittura africana è capace di esprimersi secondo molteplici approcci, dando prova della sua duttilità, adottanto linguaggi che vanno dal figurativo all’astratto, passando per l’espressionismo e il realismo. Ora è giunto il momento di presentarvi cinque pittori africani di Artmajeur, che ho selezionato in qualità di rappresentanti del talento di un intero continente!
INCOMPARABLE (2022)Dipinto di Oluwafemi Afolabi
5 pittori africani di Artmajeur
Oluwafemi Afolabi
Ho sentito un bambino piangere, era disperato, allora mi sono voltata. L’ho subito riconosciuto, egli era nelle braccia della madre, il cui volto era segnato in un ghigno sofferente di pazienza, accompagnato dal dolce gesto di accarezzare la testa del bambino, al fine di consolarlo e farlo finalmente tacere. Ciò che ho descritto è il dipinto “Incomparable” di Oluwafemi Afolabi, che affronta uno dei soggetti più popolari della storia dell’arte, reso iconico dalla moltitudine della Madonne italiane, pronte a tenere i loro figli vicino al petto. Ma c’è qualcosa che non avevo mai visto. Non è solo il vestito della donna a riportare una particolare fantasia, ma anche la stessa pelle verde dei soggetti dipinti, in cui si realizza la ripetizione compulsiva delle fattezze di alcuni pipistrelli. Allora, al fine di comprendere quando vediamo, sarà necessario introdurre il pittore e il suo punto di vista: Oluwafemi Afolabi, artista nigeriano laureato in pittura, grafica e arti applicate, intende il ritratto come un genere nel quale fare emergere il suo più tipico simbolismo animale, che si realizza nella specie dei pipistrelli chirotteri. É risaputo come questi ultimi, in alcune civiltà africane, siano intesi, per la loro capacità di vedere al buio, come esseri capaci di incarnare la mente e le anime dei morti. In aggiunta, essi sono a loro agio, sia in cielo, che interra, dimostrandosi ambivalenti, proprio come è stata anche la madre dell’artista, che fu in grado di ricoprire anche la figura di un padre-marito prematuramente scomparso. Ad ogni modo, i messaggi lanciati dal pennello del pittore di Artmajeur sono molteplici, in quanto egli intende l’arte non solo come mezzo per celebrare la natura o la storia della sua famiglia, ma anche per raccontare le vicende della sua comunità, attirando in special modo l’attenzione sulla dimensione femminile, dalla quale emerge la bellezza, la lotta, l’amore per i bambini e le coinvolgenti relazioni emotive.
EWA VI (2024Dipinto di Pelumi Fasasi
Pelumi Fasasi
Oggi la gravità è scomparsa, ne hanno parlato tutti al telegiornale. I primi effetti sono riscontrabili nell’acconciatura della modella di Ewa VI, soggetto raffigurato dall’artista nigeriano Pelumi Fasasi! Ironia a parte, l’opera figurativa in questione, intesa per immortalare una donna di spalle, che attira l’attenzione per i suoi studiati e alti capelli, è da leggersi all’interno di un corpus di ritratti femminili, concepiti per valorizzare la bellezza delle donne africane, oltre che la fantasia delle loro chiome. Nello specifico, quest’ultime sono realizzate, come anche la pelle dei soggetti raffigurati, a matita, mentre la pittura si palesa nelle vesti e nello sfondo. A proposito di Pelumi, giovane artista diplomato in Belle Arti, le sua tecnica pittorica, volta principalmente ad incorporare carta e tela e quindi anche carboncino e acrilico, persegue il fine di aggiungere profondità e dimensione al suo lavoro, pervaso da costanti richiami alle sue radici culturali. Sicuramente egli predilige esercitare la sua arte nel suddetto genere del ritratto, perché esso gli dà la possibilità di lavorare a contatto con i modelli, che, insieme all’artista, costruiscono un racconto realistico e autentico, inteso per coinvolgere lo spettatore nella più autentica identità della cultura africana.
MIRACLE I (2023)Dipinto di Ganiyat Abdulazeez
Ganiyat Abdulazeez
L’interpretazione del ritratto di Abdulazeez, “Miracle I”, pare invertire quella del sopra indagato “Incomparable” di Oluwafemi Afolabi, in quanto, adesso, non è più la pelle ad essere “decorata”, ma i capelli della donna ritratta, che ospitano molteplici esemplari di pianta del corallo. Di fatto, la raffigurazione del vegetale, anche in questo caso da intendersi come una presenza simbolica, vuole rendere omaggio alle proprietà curative della stessa pianta, dando metaforicamente voce alla resilienza e alla vitalità presente all’interno del mondo naturale. Di conseguenza, pare quasi evidente come l’artista voglia forse curare i suoi modelli, applicando sulla loro pelle la suddetta benefica pianta, presenza vegetale che è stata altresì onnipresente nell’infanzia Ganiyat Abdulazeez. Proprio quest’ultimo particolare temporale colloca la sua arte in una dimensione a metà strada tra la contemporaneità e il mondo dei ricordi. Ad ogni modo, in entrambi i luoghi, è certo che si realizza una relazione di tipo simbiotico tra uomo e natura, pronta a trasformare il genere del ritratto in una narrazione figurativa intesa per intrecciare mondo vegetale, volontà di guarigione e memoria. Tornando a Miracle I, la figura di una donna dalla pelle verde, posatasi davanti ad uno sfondo espressionista dai colori vivaci, si propone allo spettatore fissandolo. Forse ella vuole dimostrargli come la presenza curativa delle piante sulla sua testa abbia lavorato in favore della sua consapevolezza, rendendola estremamente sicura di se, e quindi capace di incrociare lo sguardo di ogni fruitore.
ANKARA REVERIE: AS I WAIT PATIENTLY (2023)Dipinto di Babatunde Bakare
Babatunde Bakare
“Ankara reverie: as I wait patiently” è un ritratto di Bakare, che prende forma all’interno di una stanza spoglia, dover si palesa solo la presenza di un tavolo, volto ad ospitare un piccolo vaso di fiori, che si staglia su di una parete viola, intesa per abbinarsi al fantasioso vestito in Ankara della modella. L’effigiata presenta dei tratti alquanto fantasiosi, secondo i quali il naso deforme si abbina ad occhi sproporzionatamente grandi. Nonostante le stranezze, tutto ciò che è stato appena descritto presenta una ben precisa ragion d’essere… Di fatto, partendo dall’Ankara, il tessuto africano appare spesso nelle opere dell’artista di Artmajeur, denotando una finalità ben precisa: valorizzare l’identità e promuovere l’apprezzamento culturale del paese di provenienza del pittore. Il suo operato è infatti da intendersi come un veicolo di circolazione della tradizione africana, capace di costruire un dialogo tra patrimonio, identità e interconnessione della società, al fine di condurre il fruitore in un viaggio visivo all’insegna della diversità e della ricchezza di usi e costumi. Per quanto riguarda le peculiarità dei tratti somatici sopra menzionati, invece, gli occhi, considerati essere lo specchio dell’anima, sono volutamente grandi, al fine di permettere di essere ben letti nelle loro emozioni, oltre che nelle loro esperienze interiori. Questo soddisfa i propositi del pittore classe 1992, che intende la condivisione dell’emotività come curativa e necessaria, poiché, quando si dialoga col prossimo, ci si rende conto di non essere i soli a provare determinati sentimenti.
TERRE NATALE (2024)Dipinto di Valentin Cyrille Evegue
Valentin Cyrille Evegue
"Terre Natale" è l'opera che ho scelto per sintetizzare il lavoro di Valentin Cyrille Evegue, pittore camerunese classe 1998, i cui ritratti, su sfondo principalmente blu, sono intesi per richiamare il colore della pelle dei suoi modelli parzialmente realistici. In questo caso ad essere raffigurato è stato un ragazzo dal giacchetto fosforescente, che appoggia uno dei suo gomiti su di un muretto posto in un contesto verde, floreale e rigoglioso, dove il cielo occupa per gran parte lo sfondo. Il tutto è stato concepito nelle modalità in cui l'artista intende il genere del ritratto, ovvero come un mezzo per esplorare l'umanità e, allo stesso tempo, l'individualità. Tale dualismo sintetizza le modalità dell'esistenza, che vengono sviscerate mediante l'interesse presentato, sia verso i legami di amore e di amicizia, che nei confronti di visioni più solitarie e introspettive del mondo. Ne consegue che la condizione umana viene rivelata nella sua totalità, superando anche le differenze di razza, etnia o genere, per analizzare le esperienze universali di gioia, dolore, fragilità e vulnerabilità, che ci rendono tutti fratelli. In sintesi, l'operato dell'artista autodidatta può essere così definito: Valentin Cyrille Evegue, con ogni sua pennellata, cerca di trasmettere le profonde complessità dell'esistenza umana, coinvolgendo gli spettatori a riflettere sulle domande che da sempre accompagnano il nostro genere, dando vita a un concetto di umanità condivisa.