La tecnica pittorica del Fondo oro
L’oro è stato il protagonista di molti capolavori della storia dell’arte, realizzati attraverso la tecnica pittorica del Fondo oro, che, diffusasi inizialmente nei mosaici d’età paleocristiana, fu successivamente adoperata nella produzione di dipinti su tavola, miniature e mosaici del periodo bizantino. Tale tecnica, perfettamente descritta nel trattato del 1400 circa di Cennino Cennini, intitolato Libro dell’arte, si basa sulla produzione di piccole e sottili foglie d’oro, che, gli artigiani specializzati del Medioevo, realizzavano martellando le monete, al fine di ottenere sottilissime lamine di metallo. Successivamente, la superficie dell’opera, che era stata predisposta ad accogliere la foglia d’oro, veniva preparata attraverso la stesura di uno strato di bolo, un’argilla rossastra sciolta con acqua e chiara d’uovo. Dopodiché, per fissare l’oro al supporto del dipinto, venivano usati mordenti all'acqua, come l’albume, il miele, la gomma e i succhi vegetali. È bene sottolineare come, durante la realizzazione di questa tecnica, la foglia d’oro venisse applicata per rettangoli, che, successivamente trasferiti su di un pennello, venivano applicati sulla superficie attraverso la pressione delle setole. Infine, l’oro veniva schiacciato e levigato sul supporto con il brunitore, un apposito pennello di pietra d’agata appiattita all'estremità.
Corteo di Teodora, VI secolo. Mosaico, Ravenna: basilica di San Vitale.
Ravenna e l’arte bizantina
Capolavoro contraddistinto dallo sfondo dorato è il magnifico mosaico bizantino intitolato Corteo di Teodora, che, conservato nella basilica di San Vitale a Ravenna, Italia, risale al 520-547 circa. Quest’opera raffigura l’imperatrice Teodora, che, collocata al centro del mosaico, è affiancata, sulla destra, da due figure maschili, e sulla sinistra, da sette figure femminili sovrapposte. All'interno di questo gruppo di persone, soltanto Teodora e i personaggi a lei più adiacenti sono orientati frontalmente al piano del mosaico, mentre gli altri protagonisti sono leggermente scostati da esso. Con riguardo all'abbigliamento, le donne del corteo vestono abiti molto ricchi e gli uomini, molto probabilmente due dignitari, indossano una tunica con sopra una clamide con tablion. L’imperatrice, invece, che è ritratta in una tunica bianca bordata in oro, coperta da una clamide di colore porpora, indossa vistosi gioielli e un copricapo molto elaborato. A proposito delle modalità di raffigurazione dei personaggi, essi, dal corpo prevalentemente asimmetrico, sono stati immortalati in pose rigidamente frontali e stilizzate. In aggiunta, l’assenza di chiaro scuro e le forti linee di contorno danno vita a figure bidimensionali, che sono prive di plasticismo. Inoltre, sempre per quanto concerne le modalità di realizzazione dei personaggi, è bene evidenziare come la figura di Teodora presenti una dimensione maggiore rispetto alle altre, seguendo le leggi della prospettiva gerarchica, che si lega ad un tipo di rappresentazione simbolica, dove si mette in evidenza il lignaggio dei personaggi. Infine, per quanto riguarda lo sfondo dell’opera, quest’ultimo, dorato e bidimensionale, circonda i protagonisti della scena, che hanno i piedi poggiati su di un “tappeto” verde. Inoltre, nell'ambiente sono presenti anche una fontanella, una nicchia coperta da una piccola abside a forma di conchiglia e, in alto sulla destra, un telo a strisce. Tornando al colore oro dello sfondo, questo allude alla spiritualità, mentre il porpora della clamide di Teodora rappresenta il potere conferito agli imperatori. Infatti, questo mosaico, che molto probabilmente non raffigura un evento reale, è da considerarsi come un’opera di propaganda politica.
Duccio di Buoninsegna, Maestà del Duomo di Siena, 1308-11. Tempera su tavola, 214 x 412 cm Siena: Museo dell'Opera Metropolitana del Duomo.
Cimabue, Maestà di Santa Trinità, 1290-1300. Tempera su tavola, 384 x 223 cm. Firenze: Galleria degli Uffizi.
Giotto, Incontro alla Porta d'Oro, 1303-1305. Affresco, 200 × 185 cm. Padova: Cappella degli Scrovegni.
Gustav Klimt, Giuditta, 1901. Olio su tela, 84 × 42 cm. Vienna: Österreichische Galerie Belvedere.
Il fondo oro dal Medioevo in poi…
I capolavori italiani dal Medioevo fino al primo Rinascimento si sono contraddistinti per l’uso della tecnica del Fondo oro, che si legava ad un preciso valore simbolico, volto ad alludere all'irraggiungibile e sacra sfera celeste. Esempio di quanto detto ce l’offrono le opere di due pittori toscani, quali la Maestà del Duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna e la Maestà di Santa Trinità di Cimabue. Successivamente, con l’apporto dell’indagine artistica di Giotto, il fondo oro e gli schematismi bizantineggianti vennero parzialmente abbandonati e la pittura tornò a raffigurare il mondo e, soprattutto, il cielo. Infatti, dal Trecento in poi iniziarono progressivamente ad imporsi sfondi architettonici e paesaggistici, che ridussero gradualmente la percentuale di tavola decorata in oro. Nel Rinascimento, la consapevolezza dell’importanza degli sfondi realistici si affermò definitivamente, tanto che la tecnica del Fondo oro cominciò ad essere meno popolare. Nonostante ciò quest’ultima non scomparve mai del tutto, restando in uso anche nel Cinquecento ed affermandosi maggiormente nelle zone d’influenza della religione ortodossa, dove si diffuse anche il culto delle icone. In epoca moderna, il fondo oro è stato utilizzato da molti artisti, fra i quali, il più famoso è senza dubbio Gustav Klimt.
Alena Masterkova, Icon of our lady of tenderness, 2007. Mosaico su legno, 82 x 62 cm.
Alena Masterkova: Icon of our lady of tenderness
Il colore oro, usato per sfondi o dettagli, contraddistingue anche molte opere realizzate dagli artisti di Artmajeur, che, talvolta, si sono ispirati ai grandi capolavori della storia dell’arte, mentre, in altri casi, hanno innovativamente utilizzato questa preziosa e luminosa nuance. Un mosaico, che, contraddistinto dall'uso di smalti dorati, ha tratto probabilmente ispirazione dalle madonne con il bambino delle icone ortodosse, è stato realizzato dall'artista russa Alena Masterkova. A tal riguardo, è bene mettere in luce come, le icone, che divennero popolari in Russia nel 988 circa, si diffusero sotto l’influenza dell’arte bizantina, trasformandosi in una vera e propria scuola del genere. L'iconografia di questo periodo seguì fedelmente regole e generi propri e ammessi dall'arte bizantina , mentre a partire dal XVII secolo, essa subì l’influenzata dei dipinti e delle incisioni dell'Europa cattolica e protestante, iniziando a distinguersi per una raffigurazione meno bidimensionale e statica, ma più naturalistica e tridimensionale. L’opera di Masterkova, si rifà chiaramente alla tradizione bizantina, poiché è contraddistinta da figure ieratiche e bidimensionali, che, classicamente incorniciate, emanano un intensa energia spirituale.
Danco, Allegoria a Gustav Klimt I, 2020. Olio su tela di lino, 70 x 50 cm.
Danco: Allegoria a Gustav Klimt I
L’opera di Danco, artista di Artmajeur, rappresenta un altro omaggio alla storia dell’arte, poiché raffigura una moderna ed originalissima reinterpretazione della Giuditta di Gustave Klimt. Infatti, come nell'opera del maestro austriaco, il volto della ragazza dipinta da Danco è incorniciato da una fitta chioma di voluminosi capelli neri, che, però, in questo caso, sono stati decorati con disegni dorati. Inoltre, mentre nello sfondo di Klimt trionfano l’oro e il nero, che insieme compongono alcuni alberi da frutto, nell'opera dell’artista di Artmajeur troviamo una decorazione astratta in cui prevalgono il bronzo, realizzato attraverso l’uso delle foglie, e il rosso. All'interno dei due dipinti, altri preziosi dettagli si trovano nella collana e nel vestito, che, nell'opera di Danco, non lascia intravedere nessuna nudità. Inoltre, nel dipinto dell’artista di Artmajeur viene a mancare anche la testa di Oloferne, cosicché il quadro cessa di raccontare la popolare storia di Giuditta, che, simbolo della forza femminile e dello spirito del sacrificio, è stata ritratta in molti capolavori. Di conseguenza, l’opera di Danco diventa una mera celebrazione della moderna bellezza femminile immersa nei riflessi del bronzo. Infine, nonostante tutte queste differenze, in entrambi i dipinti la protagonista diventa simbolo di una figura femminile sensuale, che guarda con decisione di fronte a sé, verso l’osservatore, con un’espressione quasi di sfida.
Kamil Zaitz, Gold mind, 2021. Acciaio inossidabile, Metalli e Filo, 40 x 17 x 17 cm.
Kamil Zaitz: Gold mind
Il teschio, soggetto dell’opera dell’artista di Artmajeur, Zaitz, è stato spesso raffigurato nei più noti capolavori della storia dell’arte, in qualità di simbolo della vanitas. L’espressione latina vanitas vanitatum, che derivata da vanus e significa caduco, indica in pittura una tipologia di natura morta caratterizzata dalla presenza di oggetti, che sono indicatori simbolici della precarietà dell’esistenza, dell’inesorabilità del trascorrere del tempo e della natura effimera dei beni mondani. Questa iconografia, d’intento moraleggiante, si sviluppò durante il Medioevo, quando la Chiesta aveva elevato un severo monito, ricordando come le ricchezze accumulate in terra, prive di valore, conducessero alla dannazione. Di conseguenza, al fine di persuadere i peccatori alla redenzione, gli ecclesiastici avevano sollecitato la rappresentazione pittorica di merci di lusso, accompagnate da oggetti che alludevano alla morte. L’opera di Zaitz rappresenta, molto probabilmente, questa tradizione figurativa in modo personalissimo ed innovativo, realizzando il teschio, che è simbolo della vanitas per eccellenza, in acciaio colorato d’oro, nuance indissolubilmente legata all'eterna ed irraggiungibile sacra sfera celeste. Di conseguenza, la scultura dell’artista di Artmajeur pare un vero e proprio ossimoro, in cui si uniscono la vita eterna e la morte.