Giuseppe Mannino
Conosco e apprezzo da anni, ormai, la passione e l'impegno civile che lo anima,
sia nella sua attività politica e istituzionale che nel suo cammino artistico.
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Biografia
Conosco e apprezzo da anni, ormai, la passione e l'impegno civile che lo anima,
sia nella sua attività politica e istituzionale che nel suo cammino artistico.
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Nazionalità:
ITALIA
- Data di nascita : data sconosciuta
- Domini artistici:
- Gruppi: Artisti Italiani Contemporanei
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biografia
Giuseppe (Pippo) MANNINO è nato a Graniti (Messina) nella valle dell’Alcantara.
Finito il liceo classico, si è trasferito a Roma, iscrivendosi all’Università “La Sapienza”, conseguendo la laurea in Giurisprudenza.
Avvocato, giornalista pubblicista, poeta, pittore e scultore, autore di numerosi saggi e pubblicazioni, Mannino ha pubblicato “Dossier Equo Canone” (1978); “La casa sparlata” (1985); “Insalata d’Arancia” (2000); “Noi Siciliani “(2001); “Pensieri Dipinti” (2001): “Pane e Olio” (2002), con prefazione di Aldo Forbice e Marco Nereo Rotelli; “Giocatore di Sogni” (2003) con prefazione di Luigi Reina; "Quant’è Buona la Cipolla" (2004) con prefazione di Carlo Lizzani; "Orgia di Serpi" (2005) con prefazione di Corrado Calabrò e “Foibe: la forma della memoria” (2006), che ha accompagnato la mostra tenutasi a Berlino, all’Istituto Italiano di Cultura dall’8 febbraio al 14 marzo 2006.
Suoi i testi della “Mass for peace”, la Cantata per la pace, insieme a quelli di Papa Woityla e Salvatore Quasimodo, con musiche di Ada Gentile, per il concerto di chiusura del Giubileo del duemila. L’opera è rappresentata in tutto il mondo.
Nel 1962, mentre studiava all’Università , è stato assunto alla SIP – TETI con la qualifica di operaio telefonico e qui ha svolto attività sindacale.
Nel 1968 iniziava l’attività politica, iscrivendosi al PSI, ricoprendo incarichi a vari livelli, restando tuttavia in una posizione autonoma.
Nel 1975 è stato uno dei fondatori dell’UPPI – Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, di cui è stato Segretario Generale per oltre dieci anni, contribuendo alla riforma delle locazioni.
Nel 1988 ha fatto parte della Commissione ministeriale per la riforma dell’equo canone.
Dal 1986 al 1994 è stato membro della Commissione governativa di controllo sugli atti della Regione Lazio.
Nel novembre 1997 è stato eletto consigliere comunale di Roma nella Lista Civica “Per Roma con Rutelli” e quindi Vice Presidente del Consiglio e membro della Commissione Consiliare Cultura, con il record di presenze nelle sedute consiliari.
E’ stato portavoce della Lista Civica “Roma per Veltroni”, di cui è stato uno dei promotori e con tale lista, che ha conseguito un eccezionale risultato, è stato rieletto consigliere comunale e quindi Presidente del Consiglio Comunale, nel giugno 2001.
Durante gli anni della sua Presidenza consiliare ha risolto problemi annosi di cittadini romani, in alcuni casi senza averli neppure conosciuti di persona. Tra i più presenti in Consiglio Comunale.
E’ stato capolista al Senato per “I Socialisti” nelle elezioni politiche del 2006, contribuendo con tale lista, con circa 130.000 voti, alla vittoria del centro-sinistra.
E’ un punto di riferimento per la cultura ed è, soprattutto, un punto di ascolto: infatti, come afferma chi lo ha seguito nel suo lavoro, “per 5 anni ha più ascoltato che parlato”

ciritica di PAOLO BORZI
ORGIA DI SERPI O DEI “NUOVI AFORISMI DI DIONISIO”
“…quel che era un gioco è diventata una cosa seria…” rivela Giuseppe “Pippo” Mannino nella nota finale del suo “Orgia di serpi” (edizioni Lepisma con prefazione di C.Calabrò); e se volessimo aiutarlo a capire fino a che punto, potremmo ad esempio dire che egli nel suo volumetto rasenta l’aforisma sapienziale, illustra con confessata quanto ispirata involontarietà la natura misteriosa e, di più, misteriosofica di un Mediterraneo arcaico ricostruito e non solo – come sovente accade – mellifluamente vagheggiato; frusta la carta e l’attenzione del lettore con le sue serpi, agitate e attorcigliate da una scossa nata da cose e idee come in un contatto tra poli elettrici.
In tema di “aforismi sapienziali”, incastonati nelle liriche quando queste addirittura non hanno intieramente un tono “orfico” (come in “Sette vite in una” e “Un giorno tornerò”), si può dire che Mannino risolve la “ambivalenza del dionisiaco” come Dino Campana: il vagabondo di Marrani si definì “ultimo Germano in Italia” e in quanto in pieno italiano avvicinò meglio dei suoi predecessori, in pieno teutonici, detta ambivalenza; laddove viaggiatori pre e post goethiani della secolare parabola romantica hanno prediletto, spesso contrapponendoli, chi l’aspetto spiritualistico e chi quello vitalistico dell’antichità mediterranea.
Come già Campana anche Mannino opera una fusione di queste due generalizzazioni, dando da una parte ragione alla critica storico religiosa, che vuole vitalismo “folklorico” e dottrine anticosmiche di “segretezza e purificazione” come due volti della stessa medaglia; e dall’altra singolare espressione a quel sentimento della “caducità lussureggiante” che anima la poetica o semplicemente la interiorità profonda di chi in “Etruria” -come per contiguità geografica capita al sottoscritto - o “Magna Grecia” – ma il discorso vale per altre sponde del Nostro Mare- attinge, in personali siti d’Antichità, a una sorgente sempre nuova e attuale di sostentamento.
Per un siciliano che ha “mietuto zappettato e costruito muri a secco” nella terra natale è possibile far coincidere questo senso vitale e attuale dell’ “antico” con personali ricordi d’infanzia, consentendo sulla scrittura del Mannino due grandi letture: quella essoterica, più schiettamente poetica e ben illustrata nella magistrale prefazione del Calabrò; e quella esoterica, per la precisione, che solo una spontaneità illuminata può dare, con cui si susseguono i passaggi “orfici”, sulla terra prima innalzata e poi abbassata a “mezzo di trasporto” per le anime (in Dubbi con una sola certezza”), sulla via iniziatica di “Sette vite in una” (“Quella strada l’ho percorsa per poco e per quieto vivere, ma l’ho subito abbandonata per sentieri impervi per boschi e valli.”), sull’Età dell’Oro (quella che ristabilirebbe il poeta “se fosse il Creatore”), sulla morte, fisica ma con ovvie valenze rituali, come generatrice di Vita (in “Un giorno tornerò”).
L’ultimo aspetto accomuna molto il cristianesimo anche normativo coi “Misteri” che lo hanno preceduto, e spinge Mannino a confrontarsi con la Bibbia, già calamitata nel testo per associazione con serpi tanto archetipali quanto concretamente ruzzolanti tra le pagine. Il racconto biblico dell’Eden e del Peccato Originario ha qualcosa di indigesto per il nostro poeta: gli apre una parabola del Riscatto che diviene essa stessa “Colpa Antecedente” rispetto un cosmo in cui l’uomo, calunniando le serpi e con esse la Natura, si sarebbe separato troppo da quest’ultima. In “Come Adamo ed Eva” si descrive bambino, come un piccolo ribaldo timoroso del Signore, tanto ladro quanto innocente che incorpora se stesso e una naturale malizia nell’eden non ancora caduto, come ad alludere che la successiva e più inquinata peccaminosità umana possa in parte essere determinata da un eccesso di astrazione nella innocenza edenica così come viene tramandata e interpretata.
In questa mirabile ricostruzione e riproposizione del Mediterraneo precristiano, Mannino rivive l’epoca di Socrate e dei sofisti confessando di non sapere nulla delle cose più elementari che lo riguardano, ma di sapere proprio le uniche per cui si sono inutilmente cimentati i successivi millenni di speculazione: la morte e il destino dell’anima dopo di essa, che consiste, una volta scesi dal “mezzo di trasporto” Terra, nell’andarsene a spasso per l’universo. Come in una lontana epoca, ma nel cuore di un singolo anziché tra i costituenti di una remota civiltà, convivono le “antinomie sofistiche” d’un Mannino “impiegato della vita” epperò borghese scaltro; e le barbare “Verità sacre” accolte come rivelate e indiscutibili.
Un Mannino poco oscuro ma nondimeno eraclitamente imbronciato pone in “Non entro nel merito” una polemica contro la comunicazione facile della società globalizzata; che visto il contesto assume i connotati d’un monito misterioso, da antico filosofo aforistico: “…Non entro nel merito…un asino non discute con una capra…mi dichiaro colpevole ed accetto il silenzio. Una condanna che non merito”. Nessun poeta aveva mai provato ad esprimere queste idee con più semplicità ed immediatezza; tanto più che il finale gioco di parole induce nel lettore una brusca doppia sensazione: di sconforto pel dramma della incomunicabilità e orgoglio quasi liberatorio per una diversità che riesce ad esprimersi con tale breve sapiente efficacia, “entrando nel merito” d’una comunicazione, per lo meno tra simili, finalmente riattivata.
Circa gli orgiastici striscianti protagonisti di questa raccolta, né a Mannino –che è stato spinto a rifletterci dopo- né tantomeno a chi scrive interessa enumerarne i risvolti allegorici. I serpenti del poeta sono del resto veri e si attorcigliano con tutti i loro mille suggerimenti possibili e contrastanti, in una “orgia germinativa” che è il nucleo di un reattore che nutre e moltiplica l’energia psichica come “un atomo per fissione fredda”. Ed è questa la polla che alimenta entrambi le correnti testuali, solo in apparenza biforcate in distinti esiti autobiografici e sapienziali.
“Cosa è stato? Che ho fatto?”, si chiede in sostanza il poeta nella nota conclusiva, emergendo dal testo come dal magma trasparente del suo mare leggendario e ilozoistico. Si accorge forse di essere diventato qualcosa di più e di diverso di un “impiegato della vita” con didentro un Fanciullino. I due si sono forse fusi in un Tiresia impattato negli inferi di una navigazione importante. Non entriamo nel merito di futuri approdi poetici, che saranno “indispensabili a lor stessi”. Certo, se come effetto collaterale conserveranno quello di guidare e stimolare così tanto altri navigatori e navigazioni, avremmo un motivo in più per ringraziare questo singolarissimo poeta.

critica di IGOR MAN
MANNINO: UN ARTISTA ATIPICO
C'è una Sicilia niente affatto remota che tuttavia pochi conoscono: quella che la Valle dell’Alcantara abbraccia portando la lava dai contrafforti di Zafferana sino al Mar Ionio.
E’ gente curiosa quella dell’Alcantara. Un po’ contadina, un po’ marinara, rispettosa del pane e dell’olio, della canzone e del verso scritto, custode scabra del linguaggio della pietra lavica che da sempre traduce in quel dolcissimo volgare ch’è fatto di parole antiche sì ma non vecchie. Da codesta terra strana perché inedita, ci si stacca a malincuore costretti dal “ccu nesci arrinesci”: chi lascia la propria terra riesce, sfonda, coglie il successo e questo non perché la patria sia cattiva. E’ solo sfortunata . Peppino Mazzullo ottenne successo e fama solo quando si decise a lasciare la Valle dell’Alcantara per Roma. Ma Peppino rimase sempre quello che era: un plasmatore di marmo e pietra, d’argilla, insomma Scultore. Un altro Peppino, Pippo per gli amici, l’onorevole avvocato Giuseppe Mannino, presidente dell’Assemblea comunale di Roma, anch’egli “esce e riesce”. Rivelandosi “bino”: avvocato di successo, politico affermato e parallelamente poeta, pittore, scultore. E di lui il Vecchio Cronista vuol parlare. Innanzitutto va detto che, miracolosamente, l’onorevole Mannino non è un “artista della domenica”, vale a dire un “dilettante”. Giuseppe Mannino sa far poesia: con la parola scritta, coi quadri, con la scultura. Ha un grande talento, è un artista serio. Ma atipico. Perché se è vero che ha saputo ben assimilare la lezione postmoderna (pensiamo al Mazzullo, a Quasimodo, al Doganiere) è anche vero come egli abbia saputo dare connotati personali, e quindi originali, alla sua opera a volte persino dolorosa nella sospensione tra presente e futuro, quest’ultimo inteso come l’ignoto, lo stesso Ignoto che tormenta il giovine ufficiale del Deserto dei Tartari. “L’ignoto è l’infinita ombra del vero”, è stato scritto.
Stregato da codesta ombra ch’è, poi, una sorta di Araba Fenice, il Mannino finisce, nel suo essere “stregato”, con l’esprimere una perplessità che traduce in verso, colore, forma: una curiosa caligine paradossalmente trasparente, luminosa; fra l’iperborio e il mercuriale. Una perplessità che sfugge al racconto per rapportarsi all’esistenza , al travaglio quotidiano.
L’esistere, la vita,con il suo dolore perpetuo preme sotto la tecnica di questo poliedrico artista; una tecnica che rifiuta certe regole fisse. Ne viene che nell’opera di Pippo Mannino finito e non finito si rincorrano in una commovente ricerca d’infinito.

critica di CARLO LIZZANI
LE “METAMORFOSI” DI MANNINO
L’esplosione del colore nei dipinti, il rincorrersi delle forme nelle sculture fanno riemergere nella mia memoria l’incanto delle Metamorfosi raccontateci da Ovidio tanti, tanti secoli fa.
Vedo alberi che fanno trasparire i primi tratti di creature umane, immagino pietre roventi che si trasformano in maschera o anelano a un’espressione che si fa gesto significante, grido, addirittura.
O esseri umani che gridano al mondo la voglia disperata di sopravvivere prima di essere inghiottiti da voragini vulcaniche o di ghiaccio.
Metamorfosi di cui ancora sono teatro chissà quanti angoli dell’universo ogni
volta che la vita cerca di emergere dal nulla.

critica di ALDO FORBICE
Essere figlio di contadini certa ha aiutato molto Mannino a recuperare un antico linguaggio, a far rivivere radici sepolte da molti decenni, di un'antica terra, e
riesce anche ad evocare, attraverso la memoria, contenuti e frammenti di saggezza che assumono un valore universale.

critica di GIOVANNI RUSSO
C'è una parte di Mannino che non trova soddisfazione solo nella politica, ma ha bisogno di una espressione più ampia. E, date le sue qualità artistiche, egli può esprimersi sia nella poesia, sia nella pittura.

GABRIELE SIMONGINI - da "Il Tempo"
Giuseppe Mannino (...) crea immagini passionali e cariche di profondi significati sociali ed umani utilizzando, di volta in volta, la pittura, la scultura, la grafica, la poesia con una sostanziale continuità d'intenti.

MARIA LUISA SPAZIANI
Mannino ci da la vita allo stato puro, con colori puri, senza i passaggi e i lenocini della pittura storicizzabile.

Articolo

Italia sera

WALTER VELTRONI - Sindaco di Roma
Conosco e apprezzo da anni, ormai, la passione e l'impegno civile che lo anima,
sia nella sua attività politica e istituzionale che nel suo cammino artistico.

Le poesie di Giuseppe Mannino.
Le poesie di Giuseppe Mannino.
Le raccolte pubblicate e alcune inedite.
PENSIERI DIPINTI
PANE E OLIO
Anno di pubblicazione: 2002
Editore: PAGINE s.r.l.
GIOCATORE DI SOGNI
Anno di pubblicazione: 2003
Editore: LEPISMA
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ORGIA DI SERPI
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: LEPISMA

I racconti di Giuseppe Mannino.
Titolo
PREFAZIONE DI CARLO LIZZANI
NINO E PIPPA
I PRIMI RICORDI
LA BESTIA E LA BELLA
PEPPINO PRIVITERA
LA LEZIONE DELLA MUCCA PAZZA
QUANT'È BUONA LA CIPOLLA
L'APPARECCHIO È CASCATO
CAMPIONI DI BESTIALITA'
MENOMALE
LA SORGENTE
SONO TORNATI I RUBAGALLINE
LA GRANDE PIANTA D’ULIVO

FOIBE - La Forma della Memoria
Titolo
INVITO
DIPINTI
SCULTURE IN CATALOGO
FORME PENSIERI COLORI
Pippo Mannino
E’ DI VERITA’ CHE L’UOMO HA CONTINUAMENTE BISOGNO
L’ARTE E’ MEMORIA NELL’OBLIO
I SILENZI SULLE FOIBE
INVITO MOSTRA A BERLINO
LE “METAMORFOSI” DI MANNINO
MANNINO: UN ARTISTA ATIPICO
La forma della memoria
FOIBE – L'arte e la cultura per far rivivere la memoria etica contro l'oblio
La memoria serve anche a costruire un futuro migliore
Giuseppe Mannino: l’arte fra espressione estetica, memoria storica e azione politica
New York Ground
Titolo
New York Ground Zero n. 1
New York Ground Zero n. 2
New York Ground Zero n. 3
New York dopo Ground Zero n. 1
New York dopo Ground Zero n. 2
New York dopo Ground Zero n. 3
New York dopo Ground Zero n. 4
Esodo
Amanti
Pensatori
Altamira
Paesaggio dell'anima
Comizio universale
New York Ground Zero n. 4
New York Ground Zero n. 5
Intermoenia
Pensiero ricorrente
Conflitto
Sfinge di Altamira
Sognatore
Pensiero Sottile

Articolo
