SUNNY BEACH (2020) Dipinto di Sergey Sovkov.
L’invito che risuona nel mio titolo non stupirà gli appassionati di Edward Hopper, i quali avranno sicuramente notato l’accuratezza mediante la quale il maestro americano, a mo’ d’inquadrature cinematografiche, dispone sapientemente la luce all’interno dei suoi dipinto, costruendo diversi punti di osservazione di uno stesso capolavoro, che appare rivelato nella sua essenza proprio da queste entrate furtive del sole nelle case, o nei luoghi più disparati, in cui si dispongo generalmente i protagonisti del suo operato. Non è detto però, che, sempre i suddetti conoscitori, abbiano notato che si possa addirittura costruire un graduale racconto, volto a popolare progressivamente gli spazi luminosi di un numero crescenti di personaggi, partendo da una visione parzialmente assolata, ma completamente libera dalla figura umana. Per dimostrare quando detto esordisco con Rooms by the Sea, dipinto del 1951 in cui si palesa l’architettura di un interno, rischiarato mediante la presenza di una porta aperta spalancata, che fa entrare la luce e mette in contatto l’osservatore con l’ambiente esterno: il cielo e il mare. Proprio quest’ultima distesa d’acqua costantemente fluttuante pare giungere surrealmente fino alla soglia della porta, confine che ci permette di entrare nella casa anche per scoprire la presenza di una seconda, oltre la prima e spoglia, stanza ammobiliata, spazio che trasmette nello spettatore la sensazione di potersi muove più profondamente all’interno della composizione. A proposito del contesto di creazione dell’opera, invece, Rooms by the Sea ripropone la vista di cui godeva il pittore dal suo studio in Cape Cod (Massachusetts), anche se, questa visione della realtà parrebbe maggiormente un’invenzione metafisica, esclusivamente dettata dall’anima e dall’interiorità dell’artista. Infine, proprio questa collocazione a metà tra conscio e inconscio mi permette di immaginare il suddetto spazio dell’artista popolarsi progressivamente dalla presenza di personaggi, che, persi nella contemplazione del mare, vengono anche baciati e abbronzati dal sole estivo. Questo mio fantasticare si risolve, anche se in un contesto collinare decisamente diverso, in una solitaria figura che il maestro americano ritrasse baciata dal sole e rivelata in un nudo integrale, quasi volto a suggerire il desiderio di far prendere luce anche alle parti più “oscure” del nostro corpo, nonostante che, in questo caso particolare, parrebbero essere più i misteriosi pensieri dell’effigiata, rispetto alle sue ormai rivelate zone dei genitali. Per chi si fosse perso, sto procedendo con la descrizione di A Woman in the Sun, opera del 1961 volta a testimoniare proprio come Hopper, sopraggiunta la maturità, iniziò a tralasciare maggiormente i dettagli visivi dei suoi dipinti, per concentrarsi maggiormente nella resa del dato psicologico dei suoi soggetti, i quali, nel caso di questo capolavoro, prendono la forma della suddetta donna nuda catturata nel fascio di luce proveniente da una finestra a lei frontale. Tale ambientazione decisamente voyeristica, all’interno della quale si scorgono componenti architettoniche semplici e pochi dettagli della vita quotidiana, permette allo spettatore di immaginarsi i pensieri dell’effigiata, ma anche di ricostruire gli eventi precedenti e successivi di questa specifica visione, volta a catturare le fattezze della moglie dell’artista, ovvero Josephine Nivison. Perseguendo l’intento di raggiungere un climax di popolazione all’interno dei quadri di Hopper, ho deciso di procedere immaginandomi di vestire idealmente la suddetta modella, per consentirle di raggiungere, in un secondo momento, alcuni suoi simili umani presi dalla benefica azione contemplativa del sole. Pertanto, al fine di preparare la donna all’uscita, l’ho voluta prima immaginare vestita con un abito color pesca, mentre, intenta a riflettere, gode dei raggi solari, probabilmente per non apparire troppo bianca in pubblico, perché, almeno qui da me in Italia, la gente è davvero abituata a gareggiare sulla quantità di sole preso durante la bella stagione. Quanto descritto ci porta ad un altro capolavoro del maestro americano: Morning sun (1952), dipinto in realtà concepito con il meno ottimistico intento di illustrare l’esperienza di isolamento umano nelle città moderne, la quale si riflette in un effigiata letteralmente persa nei suoi pensieri, collocata all’interno di pareti spoglie, che prendono forma all’interno di un solo e desolato piano alto. Questa vita isolata cessa solamente quando, probabilmente proprio con l’intento di godere di un po' di sole, i cinque personaggi di People in the Sun (1960) si riuniscono con comode sedie a sdraio di fronte ad un enigmatico paesaggio rurale, visione che l’artista ricavò dall’osservazione delle abitudini dei cittadini di un parco di New York, sostituendo quest’ultimo contesto urbano con uno spazio sicuramente suggerito dal ricordo dei molti viaggi trascorsi nella località turistiche del Massachusetts. Se la solitudine pare essere venuta meno, ciò che persiste è il senso di mistero che pervade l’opera, caratteristica ricorrente nei soggetti trattati dall’artista, che, in questo caso particolare, ci portano a domandarci: quale panorama stanno ammirando gli effigiati? Cosa legge l’uomo con il libro? Perché vestirsi così elegantemente per sudare sotto al sole? Come si relazionano i personaggi tra loro? A quest’ultima domanda, purtroppo e nonostante l’aria affollata del dipinto, c’è sempre una sola, tragica ed unica risposta, ovvero quella di una solitudine in realtà permanente, principalmente derivata da un profondo senso di alienazione, che determina l’eterna incapacità dei protagonisti di comunicare tra loro, mentre, però, i loro volti diventano sempre più abbronzati. Infine, il legame tra arte, sole e abbronzatura continua nei dipinti contemporanei degli artisti di Artmajeur, quali, ad esempio, Beach di Roza Bronnikova, Lazy days di Angela Brittain e Arcachon lovers di Stan.
HOT CHILL 2 (2022) Dipinto di Stuart Dalby.
SPIAGGIA (2021) Dipinto di Roza Bronnikova.
Roza Bronnikova: Spiaggia
Al dipinto di Bronnikova, raffigurante un paesaggio assolato, collocato in un paradiso tropicale munito di amaca, non manca niente per ospitare al suo interno una rilassata e godereccia figura, che, evidentemente assente, pare ricordarci come la presenza umana su questa terra sia alquanto superflua, in quanto bagnante o meno, il sole, nel caso in cui splenderà, lo farà sempre e comunque, al massimo baciando i paesaggi e le distese d’acqua, piuttosto che un bel volto. Oltre alla suddetta stella, visibile da noi imprecisamente da lontano, il dipinto ospita anche la silenziosa presenza del vento, proprio come suggeriscono le stesse dichiarazioni dell’artista, che rivelano come quest’ultimo soffio si dedichi a far muovere sinuosamente le foglie di palma e le frange dell’amaca. Una visione di analoga “assenza” ci è offerta dal parallelo racconto dell’arte contemporanea, ben reso da La spiaggia di Snarkitecture, installazione del 2015, che, prima di essere riempita dalla folla di visitatori, si presenta come un desertico stabilimento balneare, il quale, collocato nella Great Hall del National Building Museum di Washington D.C., prende le forme di una moltitudine di palline traslucide di plastica riciclabile, sedie a sdraio, materiali da costruzione come ponteggi, pannelli di legno e reti traforate illuminate dalla luce artificiale. Di conseguenza, se l’opera dell’artista di Artmajeur si presenta come una sorta di manifesto di un pacato ed autentico connubio di elementi umani e natura, l’installazione dello studio collaborativo newyorkese fondato da Daniel Arsham e Alex Mustonen, si propone come un più drammatico monito dell’impatto devastante delle attività umane sulla terra, ormai largamente invasa da luoghi artificiali, che hanno trasformato il più autentico concetto di spiaggia.
LAZY DAYS (2023) Dipinto di Angela Brittain.
Angela Brittain: Giorni pigri
Su di una spiaggia non molto affollata, una donna matura è presa a pettinare i capelli di una più giovane figura femminile, ben accomodata a prendere il sole poggiando la testa su di un asciugamano, la cui presenza suggerisce, insieme al solitario costume sulla destra del supporto, un appena terminato bagno della fanciulla. Nonostante la fantasia con cui vengono descritti anche il gruppo di figure sollo sfondo in asciugamano, la donna che porta a spasso il cane, l’uomo in abito marrone, madre e figlia, le figure in mare e le barche, il dipinto di cui sto parlando, ovvero il capolavoro di Degas titolato Beach scene è stato eseguito dal maestro in studio, proprio come si nota da alcune sviste dell’artista francese, come, ad esempio, il fumo delle navi che va in differenti direzioni. In aggiunta lo stesso pittore dichiarò a riguardo dell’esecuzione questo capolavoro: "È stato abbastanza semplice. Ho steso il mio gilet di flanella sul pavimento dello studio e ho fatto sedere la modella su di esso. Vedete, l'aria che si respira in un quadro non è necessariamente la stessa dell'aria che si respira fuori casa". A proposito dell’abbronzatura, invece, essa divenne di moda soltanto all’incirca cinquant’anni dopo la realizzazione di questo dipinto, tanto che la bambina si munisce di ombrellone e soltanto la donna, probabilmente una tata di ceto sociale minore, non si preoccupa di tingere la sua pelle. Oggi, al contrario, l’abbronzarsi viene immediatamente associato con il dolce far niente dei ricchi, eterni vacanzieri che, invece di avere crisi d’identità in ufficio, si arrostiscono al sole come dei gamberetti, la cui sete è preferibilmente placata dal cocktail più nominato della stagione, proprio come fa la rossa protagonista di Lazy days mentre, probabilmente quasi un po' brilla, si addormenta incastrata in uno scoglio.
AMANTI DI ARCACHON (2023) Dipinto di Stan.
Stan: Amanti di Arcachon
Nel dipinto Pop di Stan, gli appassionati protagonisti non pensano più a prendere il sole rendendo minuscolo il segno del loro costume, perché sono totalmente presi l’uno dell’altra, da unirsi in un bacio che si consuma su di un gonfiabile collocato in chissà quale distesa d’acqua. Loro, però, non dovrebbero essere così spensierati e indaffarati, perché, se si sono scordati di mettere la protezione possono, con una grande probabilità percentuale, “arrossarsi” come la protagonista di Nude Sunbathing, capolavoro di Roy Lichtenstein datato 1995. In realtà, il proposito di quest’ultima opera è quello di illustrare, mediante la personale tecnica del Ben-Day, il racconto al femminile del maestro americano presentato nella sua versione finale, ovvero quella in cui la sua eroina, o per meglio dire la sua ragazza ideale, personaggio spesso presentato in preda a drammi o articolate rese stilistiche, appare nella sua forma più pura: quella del nudo, in cui assume una connotazione seducente, sensuale ed erotica senza freni. Di fatto, l’artista statunitense giunse a celebrare l’essenza stessa di una femminilità, che, ormai sicura di sé, languida, oziosa, magnetica e altamente civettuola, è capace di stregare e sedurre completamente lo spettatore, invocando, con la sua mano che gioca con le ciocche di capelli biondi, una più audace interpretazione di capolavori precedenti, quali, ad esempio, il Nudo Drappeggiato di Matisse e la Venere di Urbino di Tiziano.