La storia dell’arte Belga: dalla pittura fiamminga fino ad oggi

La storia dell’arte Belga: dalla pittura fiamminga fino ad oggi

Olimpia Gaia Martinelli | 5 ott 2022 8 minuti di lettura 0 commenti
 

Per raccontare come l’arte del Belgio abbia esercitato la sua influenza all’interno della storia dell’arte occidentale, potrebbe bastare la descrizione dei suoi più noti capolavori, esemplificativi di quelli stilemi rivoluzionari, che hanno indelebilmente segnato le peculiarità delle più popolari forme d’espressione figurativa di tutti i tempi...

Emily Coubard (Mil.), Regard, 2022. Collage su tela, 30 x 30 cm.

La pittura fiamminga rivelata da La Madonna del Cancelliere Rolin di Jan Van Eyck

Per raccontare come l’arte del Belgio abbia esercitato la sua influenza all’interno della storia dell’arte occidentale, potrebbe bastare la descrizione dei suoi più noti capolavori, esemplificativi di quelli stilemi rivoluzionari, che hanno indelebilmente segnato le peculiarità delle più popolari forme d’espressione figurativa di tutti i tempi. Seguendo questa intuizione è impossibile non fare riferimento a La Madonna del Cancelliere Rolin di Jan Van Eyck, iconica opera della pittura fiamminga del 1436 conservata al Museo del Louvre di Parigi. Il dipinto venne realizzato per il cancelliere di Borgogna e di Brabante Nicolas Rolin, ritratto nella parte sinistra della tavola, mentre è inginocchiato di fronte alla Vergine, che, con il Bambino sulle ginocchia, è raffigurata dando le spalle ad un angelo in volo, intento a sostenere il peso di un’elaborata corona. Tale scena trova collocazione in una stanza sapientemente costruita nel rispetto dei principi della prospettiva lineare, riccamente decorata e delimitata da un elegante colonnato classico, che si affaccia su di un giardino chiuso, volto probabilmente a simboleggiare il concetto di Hortus conclusus, ovvero quella tipica forma di spazio verde medievale, solita ad ospitare le piante e gli alberi medicinali, o alimentari, coltivate nei monasteri e nei conventi. 

Jan Van Eyck, La Madonna del cancelliere Rolin, 1435 circa. Olio su tavola, 66 x 62 cm. Museo del Louvre, Parigi.

Oltre questo spazio “idilliaco” si estende un paesaggio cittadino dalla difficile identificazione, spesso associato dagli storici ad una sorta di Gerusalemme celeste, luogo santo in cui il Signore si manifesta una volta terminati i nefasti avvenimenti dell’Apocalisse narrata da Giovanni. La ricchezza di significati nascosti dell’opera continua attraverso la disposizione sulla tela di numerosi particolari, aventi la finalità di alludere prevalentemente a simboli e attributi religiosi. Si aggiungano a questa sottile narrazione anche le due profane figure di schiena che, disposte sullo sfondo e al centro dell’opera, si affacciano dagli spalti in una sorta di “adorazione” della città del “Dio vivente” (Eb 12,22). Proprio concentrandoci su questi ultimi personaggi, appare con evidenza come quello con il turbante rappresenti una sorta di leitmotiv della produzione artistica di Jan Van Eyck, riscontrabile anche nell’uomo riflesso nello specchio del Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434), nel protagonista del Ritratto dell’uomo con il turbante rosso (1433) e nella figura riflessa nella corazza di San Giorgio nella Madonna del canonico Van der Paele (1436). Proprio a riguardo di tale ricorrenza è possibile fare un collegamento, in quanto molti studiosi hanno riconosciuto nel capolavoro del 1433 un possibile autoritratto dell’artista, che, di conseguenza, farebbe pensare che il piccolo uomo effigiato in La Madonna del Cancelliere Rolin possa essere, allo stesso modo, proprio Jan Van Eyck. Nel caso in cui questa supposizione fosse plausibile, ci è lecito immaginare il pittore, che, sullo sfondo della scena principale di Nicolas Rolin e la Madonna, pare essere totalmente estraneo all’evento mistico, poiché intento ad osservare con quanta attenzione il suo vicino ammira il paesaggio urbano, probabilmente perseguendo la finalità di trovarvi una traccia concreta di Dio. 

Serge Broeders, La chaise au drapé, 2020. Olio su tela di lino, 100 x 100 cm. Mc_garbage, Nathan road. Olio su tela, 100 x 100 cm.

Breve storia della pittura fiamminga

Il suddetto capolavoro di Jan Van Eyck ci introduce nel cuore della pittura fiamminga, scuola di origine quattrocentesca, che ha assunto un ruolo fondamentale nella storia dell’arte europea durante il XV, XVI e XVII secolo. All’interno di questo lungo arco di tempo si distinguono tre fasi fondamentali della suddetta tipologia d’indagine artistica: quella dei Primitivi fiamminghi (XV), del pieno Rinascimento e del Barocco. La prima, indelebilmente legata ai nomi di grandi maestri come Jan Van Eyck, Rogier van der Weyden e Robert Campin, si esplicitò prevalentemente attraverso la realizzazione di quadri a tematica religiosa, accompagnati da un acceso interesse per il genere del ritratto e degli sfondi paesaggistici. Tale approccio all’arte influenzò fortemente la pittura europea di quegli stessi anni, che, “scimmiottando” i fiamminghi, iniziò ad assumere affini tendenze stilistiche, nonché l’uso della pittura ad olio in sostituzione di quella a tempera. A proposito del Rinascimento fiammingo (XV-XVI), la produzione artistica di questo periodo risulta essere prevalentemente influenzata dell’arte e della cultura italiana, giunta nelle Fiandre mediante i cartoni d’arazzo dipinti, le incisioni e le stampe, che venivano inviati nel nord Europa dai maestri del Bel Paese. Nonostante la forte influenza italica, in questi stessi anni ci furono anche maestri fiamminghi, che continuarono a dar seguito alla tradizione figurativa locale e, in modo più esteso, anche quella nord europea, esprimendosi attraverso stilemi alquanto originali ed innovativi, proprio come dimostra l’operato di Hieronymus Bosch e Pieter Brueghel il Vecchio. In merito al periodo Barocco (XVI-XVII), fu proprio il fiammingo Rubens, pittore più influente dell'inizio del XVII secolo, ad esprimere al meglio le tendenze di tale movimento, del quale fu uno dei primi maestri a incoraggiarne lo sviluppo, la popolarità e la diffusione. Infine, è bene precisare come il termine fiammingo non si limiti ad indicare una cultura figurativa proveniente esclusivamente dall’odierno Belgio, in quanto questa espressione è indelebilmente legata alla regione storica delle Fiandre, area, che, all’epoca dei suddetti maestri, era anche inclusiva di regioni dei Paesi Bassi e del nord della Francia.

Michel Leclercq, Opaline n°2, 2016. Olio su tela, 100 x 80 cm.

Régis Gomez., Paradise, 2020. Scultura, resina / legno / filo / metalli / plastica /sabbia su legno, 21, 5 x 23 x 23 cm.

L’arte Belga: un focus sulla contemporaneità 

Nonostante la scuola fiamminga rappresenti un classico senza tempo, spesso associato alla massima forma d’espressione dell’arte Belga, dovrebbe essere maggiormente esplicitato come questo piccolo paese abbia continuato a influenzare il mondo dell’arte anche successivamente, offrendo i punti di vista di grandi maestri, quali, ad esempio James Ensor (1860-1949), Paul Delvaux (1897-1989) e René Magritte (1898-1967). In aggiunta, tale racconto creativo prosegue nella contemporaneità, proprio come dimostrano i punti di vista di Dirk Braeckman, Pierre Alechinsky, Michael Borremans e Ann Veronica Janssens, nonché quelli degli artisti di Artmajeur, tra i quali Anne Platbroot, Katya M e Le Closier.

Anne Platbroot, Gatto Serena, 2021. Scultura, ceramica su altro substrato, 26 x 13 x 1 / 1.90 kg.

Anne Platbroot: Gatto Serena

L’elegante e raffinata signorina Serena, gatta antropomorfa che veste gli abiti della più lussuosa tradizione del Rinascimento, si impone nello spazio con un’evidente espressione di serenità, spensieratezza, sicurezza e nonchalance, che traspare dal suo volto scuro, in netto “contrasto” con l’imponenza e la serietà della sua lunga e voluminosa gonna di ceramica bianca. Questa immagine regale, che ci ricorda una nobildonna di altri tempi colta in un momento di giocondo passeggio, è stata però arricchita da un accurato dettaglio contemporaneo: le tasche del vestito, in cui l’animale può nascondere, in parte, la sua identità a metà strada tra donna e felino. Facendo riferimento alle dichiarazioni dell’artista, invece, questa particolare modella, il cui vestiario è degno dell’epoca di Pieter Brueghel il Vecchio, sarebbe stata realizzata traendo ispirazione dal film La favolosa storia di Pelle d'Asino di Jacques Demy, in cui una strepitosa Catherine Deneuve indossa una pelle di asino per crearsi una nuova identità, al fine di fuggire da un incestuoso matrimonio con il padre. Di conseguenza, è plausibile pensare che la Gatta Serena, come Pelle di Asino, voglio alludere ad un personaggio degno del mondo delle fiabe, posto in cui l’aspettativa non viene mai delusa. 

Katya M, Lampada da tavolo - Katya M., 2021. Design, 23,5 x 25 cm.

Katya M: Lampada da tavolo – Katya M. 

Affine al mondo delle fiabe risulta essere anche la realtà che si colloca a metà strada tra il naif e il Surrealismo, ben espressa dall’oggetto di design Katya M, riconducile ad una grande tradizione figurativa del Belgio, concretizzatasi attraverso l’operato di icone del calibro di Magritte e Mesens. Infatti, il movimento surrealista belga, spesso “emarginato” rispetto al suo corrispettivo francese, è frutto di una storia estremamente avvincente, poiché complessa, contradditoria e problematica. Proprio, il Surrealismo del Belgio nasce da un forte dissenso, espressosi quando, nel 1924, tramite la pubblicazione del periodico Correspondance, Camille Goemans, Marcel Lecomte e Paul Nougé si schierarono vivacemente contro le “cugine” ideologie provenienti da Parigi. Alle “proteste” di questi tre letterati si unirono in breve tempo altri artisti, quali E.L.T Mesens, Marcel Mariën e l’iconico René Magritte, la cui produzione, accomunata da una fusione di realtà e inconscio, si contraddistinse per l’intento di perseguire la finalità di generare creature e visioni dall’aspetto eccentrico, nonché scene illogiche, volte a destabilizzare lo spettatore. In tale contesto, i punti di vista più “filo-francesi” tendono a prendere in considerazione soltanto la figura di Magritte, affermando che quest’ultimo divenne un membro di spicco del movimento soltanto dopo aver lasciato Bruxelles per Parigi. In realtà, l’artista, una volta tornato nel suo paese natale nel 1930, dipinse quasi la metà delle sue opere. Pertanto, il “remake” dell’artista di Artmajeur trova collocazione all’interno di grande tradizione, che merita di essere maggiormente indagata, diffusa, pubblicizzata e messa in luce, perseguendo la finalità di abbattere ogni sorta di pregiudizio.

Le Closier, Amanti, 2021. Acrilico su tela, 76,2 x 76,2 cm.

Le Closier: Amanti

Amanti, coloratissimo acrilico su tela, pare prendere in prestito le sgargianti cromie e la poetica Pop, al fine di trasformare un noto capolavoro della storia dell’arte in un attraente “prodotto” artistico, volto a incantare le masse al pari dei più celebrati fenomeni mediatici. L’opera di Magritte è, a tutti gli effetti, un “must” della produzione figurativa occidentale, che nessun amante dell’arte può permettersi di non conoscere, contemplare, e, di conseguenza, idolatrare come un’icona. Tale devozione non è dovuta solo all’eccentrica immagine dei due volti coperti in atto di baciarsi, ma anche al significato stesso de Gli amanti, riconducibile, sia al racconto di un’ambigua storia d’amore, che a quello di una disgrazia. Infatti, le peculiarità di questa tela potrebbero anche rappresentare una sorta di allusione al trauma adolescenziale dell’artista, che, quando aveva solo quattordici anni, perse la madre. Proprio quest’ultima, che si gettò in un fiume, venne successivamente ritrovata con una camicia da notte sulla testa. Ad ogni modo, nonostante che la suddetta associazione sia più o meno plausibile, resta certa l’impossibilità di amare insita nell’opera, poiché lenzuola bianche impediscono l’incontro effettivo tra i due amanti, che resteranno per sempre in sospeso, suscitando nello spettatore un conflitto tra ciò che è visibile e nascosto, nonché fra ciò che è possibile e ciò che non lo è.

 

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