Jamie Lee, I love you this much, 2022. Acrilico su tela, 40 x 100 cm.
Il racconto della crocifissione di Cristo: dal Vangelo secondo Marco alle opere d’arte
Il Vangelo secondo Marco, uno dei quattro vangeli canonici del Nuovo Testamento, descrive alla perfezione gli ultimi istanti della vita di Gesù crocifisso:
Venuta l’ora sesta, si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona. E all’ora nona Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lamà sabachtàni?», che tradotto significa: «Dio, mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». E alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Vedi! Chiama Elia». Allora, un tale, andato di corsa a inzuppare di aceto una spugna e avendola posta su una canna, gli dava da bere dicendo: «Lasciate! Vediamo se viene Elia a calarlo giù». Ma Gesù, emettendo una gran voce, spirò. E il velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso. Ora, il centurione, che era presente di fronte a lui, vedendo che spirò così, disse: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio» (Marco 15,33-39).
Ma come tale episodio è stato narrato dalla storia dell’arte?
Vadim Fedotov, Soul of the ship, 2011. Fotografia su carta, 95 x 65 cm.
Jerome Excoffier, Crucifixion, 2020. Acrilico / olio su tela, 122 x 100 cm.
La crocifissione nella storia dell’arte
Nei primi secoli dopo la morte di Gesù non esiste arte che abbia raffigurato la sua crocifissione. Tale silenzio sembra rappresentare una grave anomalia, in quanto il mondo romano, in cui il cristianesimo si diffuse, ha sempre abbondato di rappresentazioni figurative aventi finalità propagandistiche. Le ragioni di questa mancanza di immagini furono però determinate dall’atteggiamento della Chiesa primitiva, che faceva chiaro riferimento al proibizionismo della legge ebraica: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”. Infatti, la prima raffigurazione del Cristo in croce, ovvero il Graffito di Alessameno (200 d.C.), proviene dal mondo irridente nei confronti del culto del Cristianesimo, dove tale simbologia venne principalmente usata per deridere e svergognare. Per quanto riguarda invece la prima e “autorizzata” crocifissione del mondo dell’arte, essa, risalente al 432 d.C., venne intagliata su di un pannello della Porta della Basilica di S. Sabina sull’Aventino a Roma, dove un Cristo, a braccia distese e con gli occhi aperti, pare aver vinto la morte. Nonostante ciò, fu soltanto con il Concilio Trullano II del 692 d.C che si diffuse, insieme all’importanza della Santa Croce e della sua venerazione, la rappresentazione realistica del Cristo nell’arte. Da questo momento in poi, però, furono altri gli interrogativi che la Chiesa si pose, ovvero, in quali modalità effigiare Gesù crocifisso? Attraverso una raffigurazione di tipo trionfale o di avvilimento e mortificazione? A decorrere dal VI secolo la seconda opzione fu ritenuta più consona al fine di immortalare chi, per la salvezza degli uomini, si era addossato tutti i peccati del mondo. Esempio di quanto detto è il Gesù, dal viso lungo e gli occhi grandi e incavati, della Basilica dei SS. Cosma e Damiano a Roma (secolo VI).
Graffito di Alessameno, 200 d.C. Roma: Antiquarium del Palatino.
Pannello della Porta della Basilica di S. Sabina sull’Aventino, 432 d.C., Roma.
Successivamente, un ulteriore evoluzione dell’arte sacra si verificò nell’Italia centrale del XII secolo, dove cominciarono ad apparire le prime croci dipinte direttamente su legno da appendere all’arco trionfale delle Chiese. In tale contesto, si affermò, per un breve periodo, anche la rappresentazione del Cristo trionfale, che però venne rapidamente sostituita da quella più tradizionale del Cristo sofferente. Quest’ultimo, avente la testa reclinata sulle spalle, gli occhi chiusi ed il corpo incurvato nello spasmo di dolore, viene perfettamente esemplificato dall’iconico crocifisso di Cimabue (1272-1280 circa), conservato nella basilica di Santa Croce a Firenze. L’esaltazione drammatica del Cristo morente trova però il suo più celebre manifesto nel crocifisso di Giotto (1290-1295 circa), esposto nella Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Con l’inizio del XV secolo all’arte della tavola lignea dipinta subentrò quella del crocifisso scolpito direttamente sul legno, come testimonia il crocifisso in legno realizzato dal Brunelleschi, che, datato 1420, è conservato presso la Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze.
Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, 1272-1280 circa. Firenze: basilica di Santa Croce. @metiderraneoantico
Giotto, Crocifisso di Santa Maria Novella, 1290-1295 circa. Firenze: Chiesa di Santa Maria Novella. @abrunetty
In seguito, il Concilio di Trento (1545-1563) determinò un forte incremento di tale produzione artistica, poiché attribuì all’arte un importante ruolo didattico ed educativo. Successivamente, ovvero dal XVII secolo in poi, le raffigurazioni del Cristo in croce si sono largamente diversificate tra loro, interpretando tecniche, innovazioni stilistiche ed espressioni di devozione personale e territoriale. Esempio di quanto detto possono essere, sia il Cristo di San Giovanni della Croce (1951) di Salvador Dalì, che il Piss Christ (1987) di Andres Serrano. Nel primo caso, il maestro catalano ha perseguito l’intento di dar vita a un Cristo inedito che, più bello e gioioso di quello dei suoi predecessori, fa esplicito riferimento alla tradizione spagnola del XVII, volta a raffigurare Gesù sulla croce non tanto nel dolore, ma nella solitudine, ovvero immerso nell’oscurità. In aggiunta, altro elemento che rende unico il dipinto è l’innovativa prospettiva, volta a trasmettere l’idea che il Cristo dalle braccia tese sia intento ad abbracciare il mondo intero dalla sua croce. Infine, per quanto riguarda la fotografia Piss Christ di Andres Serrano, essa ha catturato un piccolo crocifisso di plastica immerso in una vasca di vetro contenente urina. Tale trattamento ingiurioso dell’immagine di Gesù, vuole in realtà alludere al sentimento di vergogna e disgusto, che si prova ad osservare una qualsiasi immagine di tortura e di morte. Per di più, l’atto provocatorio di Serrano vuole dimostrare come lo spettatore, che ha ormai acquisito una troppa familiarità con le rappresentazioni tradizionali, riesca a provare sdegno soltanto attraverso immagini più estreme.
Salvador Dalì, Cristo di San Giovanni della Croce, 1951. Olio su tela, 205 × 116 cm. Glasgow: Kelvingrove Art Gallery and Museum. @teodorougone
Andres Serrano, Piss Christ, 1987. @nationamuseumswe
Claude Duvauchelle, Figuration Christique-XI Version-2. Dipinto su tela, 195 x 130 cm.
La crocifissione di Cristo nelle opere degli artisti di Artmajeur
L’eterna attualità del topico della crocifissione di Cristo all’interno del mondo dell’arte è ben esemplificata dall’operato degli artisti di Artmajeur, pronto a fornirci una fedele istantanea delle tecniche, degli stili e dei punti di vista più innovativi, irriverenti e alla moda della nostra contemporaneità. In particolare, le opere di Régis Gomez, Alessandro Flavio Bruno e Van Ko Tokusha rappresentano dei punti di vista attuali e originali, che, seppur talvolta anche blasfemi e irriverenti, ci permettono di instaurare un forte legame con la più alta tradizione figurativa del passato.
Régis Gomez, Crucifixion, 2022. Scultura in legno / metalli / pietra / gesso /resina /sabbia, 26,5 x 18 x 18 cm / 1,00 kg.
Régis Gomez: Crucifixion
La scultura dell’artista belga, Régis Gomes, riprende il tema della crocifissione di Cristo reinterpretandolo all’interno del contesto moderno. Infatti, se nel mondo romano venivano crocifissi gli schiavi, i sovversivi e gli stranieri, allo stesso mondo, adesso, viene punita una lattina di Coca-cola, simbolo di un inaccettabile consumismo e di un pericoloso inquinamento. In aggiunta, Crucifixion, che può risultare anche un tantino blasfema, rimanda a un'altra scultura schieratasi contro le dinamiche del mondo contemporaneo, ovvero McJesus di Janei Leinon. Infatti, quest’ultima crocifissione raffigura il clown di McDonald al posto di Cristo, con l’intento di denunciare il consumismo sfrenato alimentato dalle più conosciute multinazionali.
Alessandro Flavio Bruno, Ecce cromo, 2021. Acrilico / gesso / smalto / tempera / alluminio / metalli / plastica su legno, 70 x 43 cm.
Alessandro Flavio Bruno: Ecce cromo
Ancora una volta la crocifissione di Cristo nell’arte, alla quale allude anche il titolo dell’opera, viene usata come mezzo per denunciare i mali della società contemporanea. Infatti, Ecce cromo, primo lavoro della serie Dead language, rappresenta una sorta di crocifissione del colore che, inteso come arte pittorica, viene sempre più spesso sostituito dalle nuove tecnologie e installazioni. Pertanto, il dipinto annuncia l’avvenuta morte della pittura, che, forse ormai esauritasi nella sua capacità d’innovazione, merita soltanto la crocifissione.
Van Ko Tokusha, Crucifixion, 2021. Encausto / pastello / cera / legno / incisione su legno, 36,8 x 61,3 cm.
Van Ko Tokusha: Crucifixion
L’opera dell’artista bulgaro, Van Ko Tokusha, rappresenta una visione più “classica” della crocifissione di Cristo, della quale però viene rappresentato soltanto un vivido dettaglio: la mano destra di Gesù ormai trafitta da un chiodo. In questo contesto “tradizionale” si stagliano però anche dettagli del mondo contemporaneo, quali le fattezze del chiodo e delle architetture sullo sfondo. Infine, il soggetto di tale dipinto rappresenta una chiara dimostrazione della popolarità della crocifissione di Cristo all’interno della cultura occidentale, in quanto essa è ormai ben riconoscibile e comprensibile anche solamente attraverso i suoi dettagli più iconici.