Diego Velázquez: le 10 migliori opere d'arte

Diego Velázquez: le 10 migliori opere d'arte

Olimpia Gaia Martinelli | 8 set 2023 14 minuti di lettura 0 commenti
 

Pertanto, la mia top 10, così come tante altre in circolazione, sarà necessariamente introdotta da una breve presentazione del maestro spagnolo, capace di far emergere le sue peculiarità stilistiche, ecc.

LE MENINAS DI ARTEMISA (2021)Dipinto di Rai Escale.

La top ten come metodo per insegnare la storia dell'arte...

Quando uno storico dell’arte si approccia allo studio dell’operato di un grande artista, come, in questo caso specifico, Diego Velázquez, egli ne analizza, sia la biografia, che la produzione pittorica, avvicinandosi a quest’ultima indagandola in ordine cronologico, al fine di registrare il progredire e l’evoluzione del punto di vista del maestro in questione. Nel momento in cui però l’esperto si deve avvicinare al racconto amatoriale della sua materia di studio, al fine di rendere l’argomento in questione allettante per le masse, è consigliabile divulgare soltanto i punti chiave  e salienti della sopra esplicitata lunga ricerca, talvolta comprensiva anche di punti di vista critici e paragoni tra artisti alquanto complessi, specifici e dettagliati. In quest’ottica lo stratagemma divulgativo della top 10 si rivela estremamente efficace, in quanto il lettore è sicuramente interessato alla mera e semplificata scoperta delle opere più note dell’artista, anche se dalla lettura di quest’ultime non si può pretendere l’acquisizione di competenze esaustive sulla materia, in quanto esenti dalla necessaria introduzione biografica e, cronologicamente parlando, stilistica. Pertanto, la mia top 10, come anche molte altre in circolazione, sarà necessariamente introdotta da una breva presentazione del maestro spagnolo, capace di farne emergere le peculiarità stilistiche, etc., che saranno successivamente riconoscibili mediante l’osservazione delle dieci opere da me elette a progressivo manifesto dell’indagine figurativa di Diego Velázquez.  

A VELAZQUEZ (2020)Dipinto di Felipe Achondo.

Diego Velázquez: 5 punti chiave per capirlo

Biografico: Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (1599–1660) è stato un pittore spagnolo, considerato essere l'artista di spicco della corte di Re Filippo IV, nonché uno dei maestri più rappresentativi dell’epoca barocca, all’intero della quale si distinse soprattutto mediante la pratica del genere del ritratto. 

Ruolo del pittore: la posizione principale di Diego Velázquez fu quella di prestigioso pittore di corte per il re di Spagna Filippo IV, di fatto, durante il periodo barocco, egli fu pagato per creare opere per i reali, nonostante mantenne un impegno estremo nel ritrarre anche persone e scene di vita quotidiana. 

Stilistico: I ritratti di  Velázquez presentano uno stile individualistico, naturalista e diretto, che hanno fatto riconoscere nel maestro spagnolo un precursore del realismo e dell’Impressionismo, capace di privilegiare l’autenticità rispetto al romanticismo e altre modalità, che, storiche o alquanto tradizionali, erano diffuse all’epoca per affrontare il genere pittorico in questione. L’accuratezza e la verità pittorica dell’artista sono riscontrabili, tra l’altro, nelle raffigurazioni dei suoi più tipici dettagli, noti per le molteplici sfumature, rese da pennellate libere e sciolte, oltre che dell’uso di gradienti di luce, colore e forma, che gli hanno permesso di far uscire la ritrattistica e la pittura di scena dai suoi confini stazionari, incoronandolo come uno dei maestri più importanti del Secolo d'oro di Spagna.
Tecnico:
degna di nota è l'abilità riscontrata nella pratica della tecnica del chiaroscuro da parte del maestro spagnolo, mediante la quale si indica quel preciso trattamento delle luci e delle ombre, che, estremamente valorizzate, danno origine a elevati contrasti pittorici, aventi il fine di  evidenziare punti particolarmente rilevanti dell’opera, capaci di dar vita anche ad una prospettiva atmosferica complessa. 

Compositivo: Velazquez studiava accuratamente la disposizione dei soggetti all’interno delle sue opere, in quanto li concepiva come uno strumento strategico, capace di indirizzare lo spettatore ad cogliere le peculiarità per le quali i capolavori erano stati concepiti. Al fine di rendere tali intenti, il pittore soleva anche fare uso di strutture diagonali, punti focali complessi e piani separati, in grado di manipolare l'occhio del fruitore conducendolo verso i punti focali dell’opera, in cui si realizzava la comprensione più profonda di quest’ultima. 


Diego Velázquez, Ritratto di Sebastián de Morra, ca. 1644. Olio su tela, 106,5 cm × 81,5 cm. Museo del Prado, Madrid.

Ritratto di Sebastian de Morra

Diego Velázquez: le 10 migliori opere d'arte

10. Ritratto di Sebastián de Morra (1644)

Il capolavoro in questione, datato 1644 circa, raffigura Sebastián de Morra, nano giullare alla corte di Filippo IV di Spagna, che è stato raffigurato mentre fissa intensamente lo spettatore, assumendo una postura, probabilmente volta a suggerire un dissimulato intento di denucia parseguito dal maestro spagnolo, il quale avrebbe forse voluto criticare il trattamento che la corte riserbava ai “piccoli” buffoni, i quali, sin dal periodo medievale, furono assunti dai sovrani come zimbelli e deformi intrattenitori. Tale attitudine alquanto sprezzante sarebbe testimoniata anche dal punto di vista assunto verso tali personaggi dai pittori di corte precedenti a Velázquez, i quali solevano dipingere i soggetti in questione con la freddezza, noncuranza, rigidità e, talvolta, disprezzo, che si riserverebbe a una sorta di animali domestici umanizzati. Contrariamente a questa tradizione però, Velázquez immortalò i nani con estremo rispetto, in quanto riteneva che ci fosse bellezza nel dipingere semplicemente la verità, nonostante essa potesse apparire agli occhi di alcuni poco gradevole o affatto standardizzata nelle sue forme. Nel rispetto di questo punto di vista l’artista, invece di ritrarre i nani come semplici intrattenitori deformi, mise in luce l’umanità di questi soggetti, che, alle volte, appariva essere di gran lunga superiore a quella di altri personaggi di corte immortalati. In questo modo l’innovativo e sensibile Velázquez attribuì ai nani la stessa umanità con cui soleva dipingere la famiglia reale, dimostrando come dopo aver conosciuto diversi “piccoli uomini”, fosse probabilmente riuscito ad andare oltre il loro aspetto, riconoscendone semplicemente la natura umana.

Diego Velázquez, Apollo nella fucina di Vulcano, 1630. Olio su tela, 223 cm × 290 cm. Museo del Prado, Madrid.

9. La fucina di Vulcano (1630)

Prima di  Velázquez affine soggetto è stato immortalato, tra l’altro, da Giorgio Vasari, celebre pittore, architetto e storico dell'arte italiano classe 1511, che, nel 1564, dipinse La Fucina di Vulcano, capolavoro mitologico ricco, oltre che di messaggi e di metafore comprensibili all’interno del colto ambiente della corte dei Medici, di una moltitudine di personaggi. Questi ultimi, incarnati da operai intenti ad agitarsi, fanno da sfondo all’incontro tra Minerva e il dio Vulcano, soggetti che sono eseguiti in pose contorte tipiche del manierismo dell’epoca. Ben si distingue da quest’ultima descrizione la successiva opera del maestro spagnolo, che, con un minor numero di personaggi disposti sullo stesso piano, immortala l’incontro tra Apollo e Vulcano, facendo riferimento all’episodio in cui il primo tra i due fece visita al secondo nella sua fucina, al fine di rivelargi che sua moglie Venere era l’amante di Marte, dio della guerra. Tale scioccante confessione si può proprio ritrovare nell’espressione che Velázquez ha dipinto sul volto di Vulcano, che è raccolto in un sentimento, in cui l’idignazione e lo stupore si mescolano sapientemente. Tutto questo contesto mitologico, nel quale vengono inclusi anche gli aiutanti del fabbro che sentono il “gossip divino”, viene raccontato dal pittore in un modo alquanto inedito, poiché reso mediante stilemi capaci di calare nella realtà un episodio ultra terreno, proprio come fosse la scena di un romanzo borghese.  

Diego Velázquez, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1618. Olio su tela, 63 cm × 103,5 cm. Galleria Nazionale, Londra.

8. Cristo nella casa di Marta e Maria (1620)

Catturate in primo piano sul supporto della tela ci sono Marta, ovvero la giovane donna intenta a pestare aglio nel mortaio, verosimilmente presa dalla preparazione di una probabile salsa spagnola aioli, che è accompagnata da donna anziana palesatasi alle sue spalle, luogo dal quale si presta ad indicare una scena che trova collocazione nella parte opposta del dipinto, visibile da una finestra, o da uno specchio. In quest’ultimo riquadro Gesù, raffiguato seduto, è catturato in un’atteggiamento didattico che rivolge verso Maria, oltre che a una donna anziana, la quale pare voler interrompere il Maestro. Il complesso gioco di rimandi appena descritto, che troverà la sua massima espressione ne Las Meninas, ben si differenzia dalla più semplice costruzione piramidale del medesimo soggetto ad opera di Jan Vermeer, volta a prendere vita in un capolavoro successivo, ovvero datato 1656, in cui si narra, ancora una volta, di quell’episodio evangelico della visita di  Gesù nell'abitazione di Marta di Betania e della sorella Maria, avvenuto mentre la prima, che rappresenta la vita attiva, era intenta ad occuparsi delle faccende domestiche, quando la seconda, esponente della vita spirituale, si concentrava esclusivamente nell’attività dell’ascolto di Cristo.

Diego Velázquez, Ritratto equestre del conte-duca di Olivares, ca. 1636. Olio su tela, 313 cm (123 pollici) × 239 cm (94 pollici). Museo del Prado.

7. Ritratto equestre del conte-duca di Olivares (1634)

Il capolavoro di  Velázquez, per le caratteristiche riscontrate nel suo soggetto, rientra a pieno nel genere del ritratto equestre, ovvero in quella categoria di dipinti o sculture, volte a mostrare soggetti in groppa ad un cavallo, peculiarità che ha trovato la sua prima espressione sin dall’antichità, tanto che l’esempio più famoso risulta essere la statua dell’imperatore Marco Aurelio in Piazza del Campidoglio a Roma. Nel caso del Ritratto del Conte Duca di Olivares a cavallo, raffigurante Don Gaspar de Guzmán y Pimentel, primo ministro di Filippo IV di Spagna, è importante considerare come, anche in questo caso, l’opera ritragga il soggetto trionfalmente a cavallo, posa che però, all’epoca, era generalmente riservata ai monarchi, piuttosto che alla carica del personaggio in questione. Nonostante queste incongruenze, è importante mettere in luce come il primo ministro fu oggetto delle attenzioni del pittore anche successivamente, proprio come si evince da un ritratto del 1635, che, su uno sfondo neutro, ritrae il  Duca di Olivares, mentre è agghindato in abito nero con una gorgiera bianca, presentando un volto alquanto stanco e gonfio, apparentemente invecchiato rispetto al capolavoro equestre dell’anno prima. Fu probabilmente la politica a farlo invecchiare, in quanto è risaputo come egli, durante il suo incarico, si operò per adottare riforme fiscali e amministrative, senza però ottenere grandi successi...

Diego Velázquez, Nano con cane, ca. 1645. Olio su tela, Altezza: 142 cm; Larghezza: 107 cm. Collezione Reale (Nuovo Palazzo Reale, Madrid).

6. Nano con cane (1640-45)

Nano con cane, olio su tela del Prado, raffigura un buffone di corte, che, riccamente vestito e in posizione eretta, è affiancato dall’ingombrante presenza di un mastino, la cui mole sottolinea l’altezza modesta della figure principale, che, molto probabilmente, tiene a guinzaglio il più grande animale con un po' di apprensione. Il nano in questione, da molti identificato come il buffone di corte don Antonio “l’inglese”, oppure con il conterraneo Nicholas Hodson, ci accompagna nel “culto” che la storia dell’arte ha riserbato a queste figure sin dai secoli più antichi, tanto che nell’antico Egitto sono state trovate, oltre a scheletri con nanismo, moltissime statuette votive di nani,che, all’interno di santuari, erano volte a incarnare il culto della fertilità. In aggiunta, i nani vennero spesso raffigurati nelle tombe dell’elite del tempo, in qualità di danzatori e danzatrici, musici, guardarobieri reali, gioiellieri, attendenti di vario tipo. É però a partire dal Rinascimento che questi personaggi raggiungono l’apice della loro popolarità, divenendo un vero e proprio status symbol, in quanto, per i signori delle corti europee, era segno di prestigio sfoggiare questa tipologia di consiglieri o dame da compagnia. Esempio di quanto detto è la ricorrenza con cui, durante il Cinquecento, all’interno della corte fiorentina di Cosimo I dè Medici, venne raffigurato l’ormai iconico nano Morgante. Infine, giungendo all’epoca del maestro spagnolo, oltre ai ritratti realizzati dallo stesso Velázquez, altrettanto noti sono quelli inglesi di Richard Gibson e di Anne Shepherd; oppure quello di Sir Jeffrey Hudson, il piccolo servitore della regina Enrichetta Maria di Francia.

Diego Velázquez, Vecchia donna che frigge le uova, ca. 1618. Olio su tela, 100,5 cm × 119,5 cm. Galleria Nazionale di Scozia, Edimburgo.

5. Vecchia che frigge le uova (1618)

Per comprendere Vecchia che frigge le uova è necessario fare una premessa, spiegando brevemente cosa si intende per pittura di genere. Quest’ultima, facente parte della pratica delle scene di genere, racchiude tutte quelle opere d’arte, volte a catturare eventi tratti dalla vita quotidiana, peculiarità che la fece considerare a lungo come inferiore rispetto alla pittura storico-religiosa e ritrattistica. Nonostante ciò, la pittura di genere si diffuse, per lo più nei Paesi Bassi e nel formato ridotto, a partire dalla prima metà del XVI secolo, vantando esponenti del calibro di Pieter Brueghel il Vecchio, Adriaen e Isaac van Ostade, David Teniers il Giovane, Aelbert Cuyp, Johannes Vermeer e Pieter De Hooch. Tornando a  Diego Velázquez, il capolavoro in questione, realizzato durante il periodo sivigliano dell’artista, ritrae personaggi modesti, personificati da una donna che cuoce o frigge un uovo, illuminata, mediante un sapiente uso del chiaroscuro, da una fonte di luce che proviene da sinistra, capace di generare forti contrasti luminosi, pronti a modellare anche alle fattezze del secondo personaggio: un ragazzo che appare all’estrema sinistra del supporto. Entrambe le due fasi della vita in questione, che prendono forma nei suddetti soggetti, sono stati forgiate da un realismo alquanto fotografico, capace di cogliere con altrettanta accuratezza gli strumenti del mestiere, quali i piatti, le posate, le padelle, i pestelli, le brocche e i mortai di uso quotidiano.

Diego Velázquez, Infanta Margarita Teresa in abito blu, 1659. Olio su tela, 127 cm × 107 cm. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

4. Infanta Margarita Teresa in abito blu (1659)

Maria Teresa d'Asburgo (1638-1683), figlia del re Filippo IV di Spagna e di Elisabetta di Francia, conosciuta anche come Maria Teresa d'Austria, è un soggetto estremamente ricorrente all'interno dell'operato di  Velázquez, che, nel caso del capolavoro del 1659 in questione, ha voluto ritrarre mentre indossa un elegantissimo abito azzurro, abilmente reso da brevi pennellate di colore puro, oggi visibili nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Prima di quest'opera le fattezze di Maria Teresa bambina furono però immortalate nel 1653 in Infanta Margarita Teresa in a Peach Dress e, successivamente, in Ritratto dell'Infanta doña Margherita d'Austria (1665 circa), oltre che in The infanta Maria Theresa of Spain (1652), fatto che ci fa domandare: a cosa è dovuta la popolarità di questo personaggio? In realtà, il maestro spagnolo dovette concentrarsi in diverse occasioni su questo soggetto, poichè i suoi ritratti venivano inviati a Vienna, al fine di poter mostrare la progressiva maturazione della fanciulla Leopoldo I d'Asburgo, zio della ragazza al quale ella era stata promessa in sposa.  

Diego Velázquez, Venere Rokeby, 1648 ca. Olio su tela, 122,5×175 cm. Galleria Nazionale, Londra

3. Venere Rokeby (1648)

Il capolavoro in questione rappresenta un autentico gioiello della storia dell’arte, in quanto è l’unico nudo, dei quattro totali realizzati dall’artista, ad esserci pervenuto, mediante il quale, possiamo anche attestare i debiti stilistici che lo spagnolo maturò dall’esempio di opere di affine soggetto, principalmente realizzate da Tintoretto, Tiziano e Rubens. Ad ogni modo il modello più plausibile parrebbe essere quello della Venere di Urbino (Tiziano), data la posa distesa assunta dalla dea di Diego, che, però, si distingue dal maestro italiano per aver catturato la sua modella di spalle, mentre è intenta a osservare la sua immagine riflessa in uno specchio sostenuto da Cupido. Proprio quest’ultima figura rende immediatamente riconoscibile l’identità della protagonista, che, da tradizione generalmente ritratta con i capelli chiari, presenta adesso una folta chioma scura. Infine, facendo un po' di sano gossip, l’opera, una delle ultime dipinte dall’artista, parrebbe aver utilizzato come modello le fattezze della giovane pittrice romana Flaminia Triunfi, con la quale il pittore ebbe probabilmente una relazione e forse addirittura un figlio di nome Antionio Da Silva, che abbandonò quando, dopo il soggiorno in Italia, dovette tornare in Spagna su richiesta del re.  

Diego Velázquez, Ritratto di Innocenzo X, ca. 1650. Olio su tela, 141 cm × 119 cm. Galleria Doria Pamphilj, Roma.

2. Il Ritratto di Papa Innocenzo X (1650)

Il Ritratto di Innocenzo X fu realizzato da Diego Velásquez prendendo in prestito una tecnica affine a quella di Tiziano, in quanto lo spagnolo costruì il suo soggetto a partire da pennellate veloci e grasse, spesso, come nel caso della mozzetta rossa, anche molto cariche e poco sfumate. Ad ogni modo non è questo l’aspetto più rilevante del dipinto, che, manifesto di un perfetto studio psicologico sul personaggio, ha consacrato Velázquez come uno dei maggiori interpreti della ritrattistica del suo tempo. Di fatto, Il volto del pontefice, orientato a destra ma con lo sguardo puntato verso l’osservatore, presenta degli occhi dall’espressione decisa e intensa, che sono accompagnati nel loro rivelarsi dal corrugarsi delle sue sopracciglia. Ad arricchire quanto descritto sono le dipinte labbra serrate, che, insieme alla postura e alla mano destra, elegantemente abbandonata sul bracciolo, stanno ad alludere a una grande disinvoltura e padronanza di sé. Alla descrizione pittorica coincide di fatto quella reale, in quanto Giovanni Battista Pamphili (1574-1655) fu considerato un uomo dal carattere alquanto difficile e riservato, che fu successivamente immortalato anche da Francis Bacon nella sua nota serie Screaming Pope. Quest’ultima, concepita a partire dal modello di Velásquez, ha dato vita a un gruppo di ritratti nei quali il soggetto in questione si rivela all’osservatore come  deformato e distorto, al fine di riproporre un viaggio metaforico nell’interiorità dell’individuo e, al tempo stesso, nell’inferno dell’esistenza.  

Diego Velázquez, Las Meninas, 1656 circa. Olio su tela, 318×276 cm. Museo del Prado, Madrid.

1. Las Meninas (1656)

I molteplici soggetti presenti in Las Meninas, catturati dal sapiente pennello di Diego Velázquez, appaiono riuniti all’interno di una delle stanze del Real Alcázar madrileno, ovvero la dimora di Filippo IV, situata nella capitale spagnola, dove l’artista ha immortalato, in qualità di personaggio pricipale del suo capolavoro, la figlia della nuova moglie del re: l’Infanta Margherita Teresa. Quest’ultima appare circondata dalle sue dame di corte, oltre che da altri membri di quest’ultima, tanto che nel dipinto trova persino spazio un autoritratto del pittore, la cui presenza, stabile nella corte di Filippo IV, si adopera per dar vita a una delle più indimenticabili illusioni della storia dell’arte: l’attenzione dell’osservatore viene di fatto catturata inizialmente dalla figura di Margherita per poi, in un secondo momento, appena dopo aver notato la presenza del maestro spagnolo, identificarsi nel soggetto che il pittore è impegnato a ritrarre nella sua tela. Un occhio più attento, invece, potrebbe estraniarsi nel dettaglio dello specchio, in cui Filippo IV e Marianna diventano gli indiscussi protagonisti, mentre moltissimi fruitori avrebbero la possibilità di interrogarsi nella natura del moto del personaggio immortalato sulla scale, il cimabellano José Nieto, del quale mai conosceremo l’intenzione: sopraggiungere o lasciare per sempre il luogo ritratto. 


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