La bellezza
La bellezza, concetto astratto a lungo indagato durante i secoli, si concretizza nell'esperienza di provare sensazioni piacevoli, causate da oggetti, persone, suoni o idee, che sono in grado di stimolare positivamente i nostri sensi, collegandoli ad un contenuto emozionale positivo. Inoltre, parliamo di bellezza quando un oggetto, un’idea o una persona possono farci felici, a prescindere dal fatto che li possediamo o meno. È bene sottolineare però, come tale concetto di bello sia mutevole e relativo, poiché indissolubilmente legato ad un contesto storico, culturale, economico e sociale di appartenenza. Quanto detto può essere esemplificato dell’evoluzione, avvenuta durante i secoli, della raffigurazione della dea della bellezza, della fertilità e dell’amore, Venere. Al fine di mostrare questi cambiamenti figurativi è possibile fare riferimento a tre Veneri che hanno segnato indelebilmente la storia dell’arte: la Venere di Willendorf, la Venere di Milo, la Venere del Botticelli.
Venere di Willendorf, 24.000-22.000 a.C. Pietra calcarea dipinta in ocra rosso, 11 cm (altezza). Vienna: Naturhistorisches Museum.
La Venere di Willendorf
La Venere di Willendorf, la più famosa tra le Veneri del paleolitico, è una statuetta di undici centimetri, raffigurante una figura femminile eretta, nuda, con le braccia posate sopra i seni, il volto non scolpito e la testa ricoperta da un’acconciatura o da un copricapo. Inoltre, questo corpo femminile, privo di mani e di piedi, si contraddistingue per i seni molto pronunciati, i fianchi enormi e i genitali sproporzionati. In realtà però, tali caratteristiche fisiche, non potevano appartenere ad un epoca in cui la disponibilità di alimenti era scarsa, quale il paleolitico, tanto che sembra più probabile che la Venere, con le sue rotondità, fosse una personificazione della fertilità, un augurio per la sopravvivenza e l’abbondanza, legati al culto della madre terra. Infine, per quanto riguarda il materiale di realizzazione dell’opera, la statuetta, che è in pietra calcarea oolitica di colore giallastro, ricoperta da una materia argillosa di colore rossiccio, presenta un’apparenza porosa, che permette alla luce di riflettersi parzialmente sulla superficie, creando quei chiaroscuri che ne determinano le irregolarità formali.
Alessandro di Antiochia, Venere di Milo, 130 a.C. Marmo pario, 202 cm (altezza). Parigi: Museo del Louvre.
La Venere di Milo
L’Afrodite di Milo, o Venere di Milo, datata 130 a. C. e conservata presso il Museo del Louvre, è una scultura tra le più note e famose al mondo, che incarna alla perfezione l’ideale di bellezza femminile ellenistico. Quest’opera, che fa riferimento ad un episodio della vita della Venere ancora sconosciuto, raffigura la dea in posizione eretta, con il busto scoperto e un telo che le copre interamente il bacino e le gambe. Pertanto, la scultura presenta caratteristiche stilistiche riconducibili a due diversi periodi: la parte superiore del corpo, che è nuda, rimanda alle statue delle divinità del periodo classico, mentre la parte inferiore, che è ricoperta da un fitto panneggio, è prettamente ellenistica. Inoltre, la statua non presenta braccia e manca del basamento originario, poiché venne ritrovata sull'isola greca di Milos a tappe: prima il busto, poi le gambe e, infine, un elemento più piccolo che ha consentito di unire le due metà del corpo. Per quanto riguarda l’autore di questo capolavoro, l’opera, poiché fonde diversi stili, fu in un primo momento attribuita a Prassitele, uno dei massimi esponenti dell’età classica del IV secolo a.C. Successivamente però, grazie all'iscrizione ritrovata sotto il basamento, andato anch'esso poi perduto, la scultura venne attribuita definitivamente ad Alessandro di Antiochia, scultore dell’età ellenista (323 a.C. – 31 a.C.).
Sandro Botticelli, La Nascita di Venere, 1485 c. Tempera su tela di lino, 172,5 x 278,5 cm. Firenze: Galleria degli Uffizi.
La Venere di Botticelli
All'interno della Galleria degli Uffizi è conservato uno dei più importanti capolavori della storia dell’arte: La nascita di Venere di Sandro Botticelli, del 1485. Quest’opera, pur riproponendo il canone di bellezza rinascimentale, si collega anche al mondo classico, poiché raffigura una Venere pudica, che è intenta a coprirsi le nudità con i suoi lunghi capelli. In aggiunta, anche la personificazione dei venti, Zefiro e, forse, Aura, che sono raffigurati alla sinistra della dea, rappresentano una citazione antica, richiamando una gemma di età ellenistica posseduta da Lorenzo il magnifico. A proposito del topico affrontato dal dipinto, quest’ultimo racconta la nascita di Venere, che viene immortalata, al di sopra di una conchiglia, mentre sorge dalle acque. Alla destra della dea trova collocazione Ora, che è intenta a porgere a Venere una veste sapientemente ricamata e dai panneggi ritmici, fluenti, leggeri ed eleganti. Questo stesso ritmo fluente ed elegante è stato imposto anche ai capelli della Venere, che si muovono nell'aria. Nel complesso, il dipinto pare ritrarre una scena teatrale, dove i personaggi mitologici, definiti da un delicato contorno lineare, hanno il colorito chiaro, eburneo e il fisico esile e allungato. Come i corpi degli attori in scena, anche il paesaggio, quasi accennato, è stato realizzato in modo quasi bidimensionale ed è privo di un deciso chiaroscuro. Di conseguenza, nell'opera, contraddistinta da una luce che illumina la scena in modo diffuso, lo spazio risulta contratto sul primo piano.
Vilgeniy Melnikov, Venus, 2020. Metallo, alluminio e bronzo, 80 x 30 x 27 cm.
La Venere di Vilgeniy Melnikov
L’impatto che queste tre veneri appena descritte hanno avuto, sia nella storia dell’arte che nella concezione della bellezza femminile, è stato immenso, tanto che esse sono tutt'oggi oggetto d’attenzione da parte degli artisti, tra i quali quelli di Artmajeur. Esempio di quanto detto è l’opera di Vilgeniy Melnikov, intitolata Venus, che ripropone, in modo abbastanza fedele, le fattezze della Venere di Willendorf. L’opera di Melnikov però, essendo stata realizzata nel contesto moderno, si è spogliata di tutti quei significati che erano stati attribuiti alla Venere del paleolitico. Inoltre, a differenza della Venere di Willendorf, l’opera di Melnikov non indossa il copricapo ed, essendo realizzata in metallo, presenta una superficie liscia e priva di porosità. Nonostante ciò, anche in questo caso la luce, che si riflette parzialmente sulla superficie dell’opera, conferisce quei chiaro scuri che contribuiscono a definire le forme generose della statua. Infine, il nero della Venere di Malnikov, a differenza del colore giallastro dell’originale, conferisce all'opera una maggiore eleganza e una maggiore sinuosità alle forme procaci della dea.
Secam, V.nus - Antik Gaming, 2019. Acrilico, stencil, e pittura a spray su tela di lino, 116 x 73 cm.
La Venere di Secam
Nel dipinto di Secam la Venere di Milo diventa, al pari della Marilyn Monroe di Andy Warhol un’icona pop, che sorreggere tra le sue mani, ormai andate perdute nel capolavoro del Louvre, un oggetto di uso quotidiano della società dei consumi di massa: un televisore. In aggiunta, la Venere dell’artista di Artmajeur, raffigurata in modo semplice e bidimensionale, si staglia su di uno sfondo uniforme, che ha il fine di esaltare i contorni della dea, permettendo una lettura immediata dell’opera. In conclusione, nell'innovativo dipinto di Secam, i valori dell’ellenismo greco, attraverso i quali i temi classici venivano affrontati con maggiore sensualità, emotività e pathos o drammaticità, vengono sostituiti da quelli dell’arte popolare, che ha voluto trasformare un capolavoro della storia dell'arte in un personaggio mediatico.
Wilhem Von Kalisz, Venus per sempre, 2021. Olio su tela \ montato su telaio a barella, 92x71 cm.
La Venere di Wilhem Von Kalisz
L’opera di Von Kalisz, artista di Artmajeur, rappresenta una nuova ed originalissima interpretazione della Nascita di Venere di Botticelli, in cui l’unico personaggio ad essere stato raffigurato è la dea, che si staglia su di un innovativo sfondo blu coperto di grandi foglie verdi. Di conseguenza, con la riduzione del numero dei personaggi e la perdita dello sfondo originale, l’opera non racconta più la nascita di Venere, ma diventa una vera e propria celebrazione della sua bellezza, ovvero di quella di Simonetta Vespucci. Quest’ultima, fu una delle più celebri nobildonne del Rinascimento fiorentino, poiché, ritenuta di una bellezza ineguagliabile, divenne il desiderio di moltissimi uomini della Firenze della metà del Quattrocento. Inoltre, il nome della Vespucci è stato spesso accostato a quello di molti artisti del tempo, per i quali avrebbe posato. Nel caso di Botticelli, molti hanno voluto riconoscere il volto di Simonetta, oltre che nella Venere, anche in quello della personificazione della Primavera, tanto che si è voluto persino attribuire ai due un legame affettivo, che ancora oggi resta leggendario.