Gian Luigi Delpin
Articolo mostra "Hic sunt leones"
Negli occhi di Gian Luigi Delpin l’universo non è quello che appare ai più. È interamente presente, continuo e frammentato, in una modalità in cui è possibile che suoi elementi emergano in un magma ribollente di atmosfere, immagini e simboli. Questo è il Delpin «veggente», che non si ferma al primo strato del visibile e neppure al secondo, perché si è reso conto che gli strati, chiamiamoli così, sono infiniti. Con lui convive il Delpin «faber», quello che si dedica a una minuziosa ricomposizione dell’universo attraverso colori e materiali sulla tela secondo una via personale. Questo incontro fa di Delpin un artista completo, che unisce il gioco sfrenato della creazione (che prosegue nella scelta dei titoli) a una tecnica solida, attenta ai dettagli, in cui nulla è lasciato al caso. Una selezione di lavori recenti di Delpin (Mac per gli amici) sarà esposta da domani, giovedì 23 giugno, alle 18 nelle cantine di Palazzo Ramelli, in piazza Cattedrale, proprio davanti al campanile.La personale «Hic sunt leones» (anche se l’immagine centrale è una tigre, omaggio all’anno della tigre d’acqua secondo lo Zodiaco cinese) propone una trentina di opere realizzate negli anni della pandemia. A proposito del titolo spiega: «Di fatto mi piace solo la forza dell’espressione verbale, che indica un luogo sconosciuto in cui ci si addentra, ma di quali belve si parli non si sa».Nelle opere di Delpin gli animali compaiono sia come emblemi, come i rinoceronti (qui se ne potrà trovare uno sovrapposto a un’esplosione di colore e alla serie di Fibonacci), sia come residui, per esempio scheletri di pesci ridotti a fossili. «Mi interessa il pesce come forma - indica Delpin - elementare e primitiva, qualcosa in cui poi si può far entrare tutto».L’attenzione per il dettaglio porta Delpin a rendere omaggio alle rappresentazioni dell’ordine cosmico secondo varie tradizioni, da quella antica con la sezione aurea, a quella più recente della tavola periodica degli elementi intitolata «The whole» (il tutto, l’intero). «Perché sono un razionalista marcio e non c’è altro al di fuori di questo», sostiene.Tuttavia poco distante si trova un albero sefirotico della tradizione cabalistica sovrapposto a un albero. Uno di quelli dalle radici scoperte, sorta di Yggdrasil, «perché mi piace l’idea che volino, si spostino». E questo si allaccia alla parte più visionaria di Delpin, suggestionata da simboli arcaici, che siano mandala, o sigilli magici, o carte dei tarocchi. «Sono immagini che mi entrano nella mente - confessa l’artista - perché mi appassionano i simboli. Ma soprattutto la forma, perché l’esoterismo è una baggianata colossale. Per dirla con Cioran, che leggo quando sono depresso: “Non vi è altra iniziazione che al nulla – e al ridicolo di essere vivi”».
Nel Delpin «veggente» l’ironia e il gusto per l’assurdo e il paradossale sono la mappa per orientarsi in un mondo caotico, dedalico («La condizione umana» è rappresentata da un pollo imprigionato in un labirinto) e babelico (si veda l’omaggio a Italo Calvino «Ipotesi per la descrizione di un paesaggio») fino a quello trasfigurato e perturbante di «Cuore onniveggente in una mano mutante», o divertente come «The sky above Turin», omaggio a uno dei capolavori di Armando Testa, l’ippopotamo in gommapiuma di una pubblicità degli anni ’60. Omaggio anche alla pop art, che aleggia in altre opere.
La base di questa ricomposizione è l’attenzione per l’esperienza sensoriale. Le immagini di Delpin vanno viste a distanze differenti, gustate a sorsi, non trangugiate. Dalla visione d’insieme si può passare a scrutare i piccoli ambiti grazie a una cura nella materialità dell’opera, resa utilizzando materiali per l’edilizia, cere o resine, che creano increspature libere o scanalature regolari, tasselli come di un mosaico. E infine la scelta dei colori, che possono essere stesi tradizionalmente col pennello o con l’aerografo, in cerca di effetti inediti, passando anche attraverso lo spettro dell’ultravioletto. Se vi viene in mente uno strano paradiso psichedelico, probabilmente avete imboccato la strada giusta.
«Hic sunt leones»