Mario Jerone
MARIO JERONE
La tragicità epica delle sculture di Mario Jerone ci colpisce nel cuore e nel cervello. Com’è sempre dell’arte, in definitiva, ma nelle opere più raggiunte di Jerone noi troviamo una sintesi che ci obbliga a ripercorrere l’intera vicenda del novecento a partire dai due pilastri de" l’urlo” e delle “demoiselles d'Avignon’. Il carico di significati che si addensa nell’espressionismo e nel fauvismo - inteso come rivoluzione insieme pagana e spiritualista - è infatti strettamente legato a quell’immensa scomposizione dell’uomo leonardiano che si chiamò prima ancora che psicanalisi scoperta dell’inconscio. Due anni prima delle “demoiselles”, del resto, Einstein aveva scomposto e ricomposto tempo e spazio nella sua relatività “ristretta” e prima ancora CarIo Marx aveva reinventato l’intera storia dell’umanità come storia della lotta di classe.
C’è esattamente tutto questo nelle sculture di Mario Jerone. A partire dall’umana disperazione dei suoi volti trasfigurati nella sospensione metafisica di chi chiede perchè e ragione di tanto soffrire ma compie anche il rito astratto dei guerrieri di Piero e della Nascita di quella Venere arcaica dì cui oggi si ridiscutono le origini senza nulla togliere alla sua grandezza. Così è Jerone: di cui puoi cogliere ininterrottamente il furore e la protesta ma che poi ti ritrovi dentro classico come Marino. E per lui succede che questo suo trascendere il dato, invece di allontanarti dalle ragioni dell’impegno te ne ripropone la forza, la profondità, il cemento.
Citto Maselli
