MIA WALLACE TOONS (2019) Dipinto di Noé Pauporté (Art de Noé).
Molti film ci rimangono dentro, e oserei dire che si incastrano addirittura nella nostra anima, tanto che ci sentiamo come alcuni dei loro personaggi, o colleghiamo le nostre storie di vita alle loro più intricate vicende, ricercando, successivamente, la quasi compulsiva riproposizione delle sensazioni insite nella speciale pellicola in questione, facendo riferimento a un chiaro e nitido ricordo evocato, nonché “sbloccato”, dal mondo delle immagini, principalmente fornitoci dalla moltiplicazione figurativa della popolare fotografia e dei poster. Cosa succede invece quando, piuttosto che il coinvolgimento delle suddette arti “meccaniche”, si parla di un pittore che si innamora di un particolare film, del quale “partorisce” una personale versione ad olio, acrilici, etc., avente il fine di sviscerare la sua personale interpretazione di una determinata storia o personaggio? E ancora, cosa avviene se noi, invece di far riferimento alla più statica e fedele raffigurazione delle immagini delle locandine, ci raccontiamo ancora una volta la storia delle più note pellicole, facendo soltanto riferimento al racconto più intimistico rivelato dal mezzo pittorico? Acquistare un’opera che parla di un film è come entrare in possesso di un soggetto, o di una composizione, che è stata scandagliata ben due volte: la prima dal regista, dagli attori, dagli scenografi, etc., e la seconda dall’artista stesso, il quale ci ha dato l’occasione di farci venire a conoscenza di come soltanto i suoi occhi, e la sua mente, hanno visto scorrere le immagini, successivamente, una dopo l’altra. È probabile che proprio in quest’ultima visione ritroviate la vostra più personale ed intima interpretazione del film, ovvero quella che avete tenuto nascosta nel vostro cuore, fino a quando non l’avete riconosciuta nell’arte pittorica. Di conseguenza, la mia top 10, oltre che a collegare, mediante il significato dei film, il mondo dell’arte a quello del cinema, persegue anche l’intento di fornirvi immagini rivelatrici, capaci di farvi sussultare pensando: anche io avevo sentito quell’inquadratura, quella scena o quel gesto, così com’è stato raffigurato dall’artista di Artmajeur.
THE CROW (2016) Disegno di Péchane.
10. Il corvo
Il Corvo, film del 1994 diretto da Alex Proyas, è una nota pellicola gotica, in quanto presenta uno stile visivo cupo, volto prendere forma in una città decadente e piena di criminalità, in cui l’eroe protagonista si presenta come un’anima tormentata e in cerca di vendetta, riproponendo una visione cinematografica complessivamente capace di riassumersi in elementi di orrore, tragico e romantico. Tutte queste peculiarità stilistiche sono riscontrabili, in modo estremamente sintetico e impattante, nell’inchiostro di Péchane, in cui la sola, isolata e atemporale presenza del Corvo riassume, mediante la sua presenza paranoica e pensierosa, tutto il dramma esistenziale insito nel protagonista del film, culminante, però, nella più amara vicenda della vita reale, che, proprio come una poesia d’aspra ironia, ha visto l’attore Brand Lee, ferito mortalmente durante le riprese della pellicola in questione, terminare la sua vita sul set cinematografico. Adesso, invece, vi propongo un quesito: come riscontrare un legame, anche se alquanto forzato, del Corvo con la più altra tradizione pittorica? Facile! Basta pensare alla mitica citazione del film: “Non può piovere per sempre”, la quale, anche se di più profondo significato, mi fa pensare come invece, nelle più importanti opere d’arte, volte a immortalare la pioggia, questa scorrerà per sempre, bagnando eternamente i volti, le mani, i capelli e i corpi dei protagonisti del supporto, proprio come avviene, ad esempio, in Strada di Parigi in un giorno di pioggia (1877) di Gustave Caillebotte.
EDWARD MANI DI FORBICE (2018) Dipinto di Julie Mallard.
9. Edward mani di forbice
Prima di proseguire nella narrazione, tengo a precisare come la classifica in questione sia stata il frutto della ricerca delle opere per me più significative, capaci di riassumere il significato di alcuni tra i film più iconici, senza tenere di conto dei miei personali gusti in ambito cinematografico, anche se non nascondo come la posizione numero uno rappresenti, a tutti gli effetti, una dei capolavori del cinema ai quali sono più legata. Dopo questa prima confessione segue la seconda: le opere scelte dimostrano anche una certa popolarità, nonché ricorrenza, di determinate pellicole all’interno dell’arte contemporanea, in quanto se per alcuni film mi è stato difficile trovare fonti iconografiche, per altri il gioco è stato estremamente facile, proprio come a voler dimostrare una certa affinità, riscontrata tra specifici soggetti cinematografici e supporto pittorico. Adesso proseguo con la nostra classifica, posizionando al numero 9 un'altra pellicola gotica, questa volta, però, dal gusto più dolce, fiabesco e meno drammatico: Edward mani di forbice film di Tim Burton del 1990. L’opera cinematografica in questione, avente come protagonista un personaggio dall’aspetto grottesco, viene spesso interpretata come una silenziosa lotta al conformismo, in quanto Edward, incapace di conformarsi alle norme sociali e in continua lotta per l’adattamento, rappresenta una metafora dell’esperienza di coloro che si sentono estranei alla propria comunità. Queste tematiche culminano, mediante la figura outsider del protagonista, nell’umana ricerca, nonché bisogno, dell’accettazione, della compagnia e della connessione umana, stimolando un’intima riflessione, volta a proporre il più positivo e tollerante atteggiamento di accettazione del diverso. Proprio quest’ultimo buono proposito si realizza nell’amore, sentimento senza limiti che sboccia, come presenta la romantica opera dell’artista di Artmajeur, tra Edward e Kim. Infine, a proposito della storia dell’arte, come non pensare ai mostri raffigurati da Hieronymus Bosch? Anche se questi ultimi, piuttosto che suggerire un mutuo supporto tra umani, sono stati spesso interpretati come un’aperta denuncia, ovvero una mal sopportazione, del decadimento e della corruzione morale della società dell’epoca, fortemente percepito dal maestro fiammingo.
HAI CONTROLLATO LA TUA PAURA (2022) Dipinto di Esteban Vera.
8. Guerre stellari
Star wars, franchise creato da George Lucas, sviluppato da una saga cinematografica iniziata nel 1977 cela, nel racconto del più classico viaggio dell’eroe, incentrato prevalentemente sull’eterna lotta tra il bene e il male, molteplici tematiche, tra le quali, ad esempio, il potere dell’amicizia, i pericoli dell’ambizione e dell’avidità, nonché una probabile allusione alle insidie del totalitarismo e la conseguente importanza di opporsi alla repressione. Il tutto è costantemente impregnato nell’importanza del sacrificio personale, volto a prendere luogo in un contesto galattico tenuto insieme da un’energia mistica, ovvero una forza, che può essere usata, sia per il bene, che per il male. I più religiosi vedranno in questa presenza, alquanto“esoterica”, una pseudo manifestazione della natura divina, che, ad esempio, anche Salvador Dalì esplicitò a sua maniera nel dipinto The Hand of God (1982), dipinto volto a raffigurare una mano gigantesca, che, privata o non bisognosa del suo corpo, emerge da un paesaggio roccioso mentre regge una vistosa sfera d’oro, intenta a brillare di luce radiosa, alludendo all’estrema fiducia che il maestro spagnolo riponeva nel potere divino. A proposito dell’arte contemporanea, invece, piuttosto che la presenza salvifica di Dio risulta essere alquanto commerciale il ritratto di Darth Vader, personaggio della suddetta pellicola in cui, molto probabilmente, si possono sintetizzare e riassumere tutte le suddette forze nefaste.
JANET LEIGH NEL FILM PSYCHO DI ALFRED HITCHCOCK (2019) Dipinto di Alejandro Cilento.
7. Psico
L’iperrealismo di Alejandro Cilento ci prende per la mano, al fine di condurci, accompagnandosi ad uno “squillante suono di clacson”, all’interno di una nota scene a quattro ruote della pellicola di Alfred Hitchcock titolata Psyco, la quale, mostrandoci un primo piano di Marion Crane, interpretata da Janet Leigh, coglie il personaggio intento a guidare la sua vettura su di una strada desolata, capace, immaginazione permettendo, di condurci all’iconico finale della pellicola: il primissimo piano di Norman Bates, interpretato da Anthony Perkins, il cui volto sfuma facendo intravedere i lineamenti di un teschio, per poi staccare sull'automobile di Marion Crane, che viene tirata fuori dalla palude in cui era stata occultata. Tale immagine, da un punto di vista psicoanalitico, ci conduce al dissidio dell’inconscio freudiano, volto a portare Norman ad identificarsi con la madre morta, figura verso la quale egli nutre una vera e propria sudditanza psicologica, causa dello sviluppo della sua doppia personalità, che, in perenne conflitto, è all’origine di un violento disturbo dissociativo d’identità. Senza spoilerare altro del film, già in gran parte rivelato, tentiamo un accostamento di quest’ultimo con il mondo della storia dell’arte, all’interno del quale, una corrente in particolare si è dimostrata molto interessata alla riproposizione, principalmente in chiave pittorica, dei principi del suddetto psicanalista austriaco: il Surrealismo. Quest’ultimo movimento d’avanguardia fu fortemente influenzato dalle idee della psicoanalisi di Sigmund Freud, tanto da riconoscere in essa un efficace mezzo di esplorazione della mente umana, in grado di rivelare verità nascoste da rivelarsi anche mediante la creazione di opere d'arte cariche di significato.
TASSISTA ! (2018) Dipinto di Secam.
6. Taxi driver
Il primo piano di Robert de Niro, le citazioni delle frasi della pellicola e il titolo di quest’ultima appaiono all’unisono sulla tela di Secam, trasformandola in una chiara celebrazione di uno dei film più conosciuti. Le mie ipotesi sono sostenute dalle stesse dichiarazioni dell’artista di Artmajeur, che a proposito della sua opera dichiara: “tributo a Robert de Niro in Taxi driver”. Per quale motivo Secam sarà stato così attratto da questo film? Quali significati nascosti esso cela, ma in realtà invia, allo spettatore? Il film di Martin Scorsese, datato 1976, racconta la storia di un tassista newyorkese disturbato e solitario, che diventa sempre più distaccato dalla realtà, mentre scende in un mondo di violenza, tanto da avvicinare chi guarda la pellicola ai temi dell'alienazione, della solitudine e della malattia mentale, interpretati da alcuni come un silenzioso commento alle questioni sociali e politiche dell'epoca, tra cui il degrado urbano, la corruzione e la guerra del Vietnam. Parlando di storia dell’arte, invece, l’alienazione e la malattia mentale fanno sicuramente parte dell’indagine artistica di Théodore Géricault, il cui cosiddetto Ciclo degli Alienati, risalente al 1822-23, porta sulla tela una realtà interiore deviata, volta a dimostrare come la follia era a tutti gli effetti una malattia di cui chi ne soffriva ne portava i segni in volto.
ALEX (2016) Arte digitale da Clément Delerot.
5. Arancia meccanica
L’eccentrico e antisociale Alex DeLarge di Clément Delerot ci rivolge il suo più iconico sguardo disturbato, assumendo le sue stesse sembianze mediante la ripetizione di piccoli “labirinti” di linee, che, dai colori “meccanici” dell’arte digitale, si moltiplicano a dismisura sulla sua persona, costruendone con complessità e ingegnosa ripetizione le fattezze. Il soggetto in questione è il protagonista di Arancia Meccanica, film di Stanley Kubrick uscito nel 1971, che, basato sull'omonimo romanzo di Anthony Burgess, esplora i temi del libero arbitrio, della violenza e delle conseguenze del controllo della società. Proprio una delle scene in cui culminano queste tematiche è quella dello stupro, all’interno della quale Alex e la sua banda aggrediscono e violentano una donna, mentre cantano e ballano musica classica. In questo contesto l’allusione al decadimento morale e alla violenza della società tocca i vertici più assoluti, che si ripropongono, in modo analogo, ma decisamente più soft, in alcune opere d’arte che affrontano la stessa tematica, tra le quali, ad esempio, Il ratto delle Sabine (1580-83) del Giambologna, scultura della Loggia dei Lanzi (Firenze), volta ad immortalare un episodio dell’antica storia romana, detto il Ratto delle Sabine, secondo il quale Romolo, re e fondatore della città, fece rapire le donne sabine perché i romani avessero qualcuno con cui procreare.
VIE DOUCE (2020) Fotografia di Anna Sowinska.
4. La dolce vita
"Marcello come here": queste iconiche parole, pronunciate da una alquanto procace versione moderna di Anita Ekberg, risuonano nella nostra testa mentre osserviamo la fotografia di Anna Sowinska, che ripropone, anche nel suo titolo, una chiara allusione a La dolce vita di Fellini, pellicola del 1960 famosa soprattutto per il fascino dei suoi due protagonisti, piuttosto che per i suoi significati più profondi, che, secondo i critici, riprodurrebbero un ritratto satirico e cinico della decadenza e del degrado morale della società italiana del dopoguerra, in particolare a Roma. Tale perdita di valori viene messa in atto all’interno di sequenze surreali ed oniriche, capaci di esplorare anche i temi dell’alienazione e della crisi esistenziale, divenendo un monito contro la superficialità, da sostituire con qualcosa di più significativo. Se questo discorso vi suona alquanto attuale, più lontano è invece forse la spensieratezza, forse soltanto superficiale, della Pop art italiana dell’epoca, ben esemplificata dall’operato di Mimmo Rotella, che nei suoi noti dècollage di personaggi noti, reinterpretò anche l’eterno fascino di Mastroianni e Anita Ekberg.
FIGHT CLUB (2023) Dipinto di Salomé Perignon.
3. Fight club
“Tutti i passanti lo guardavano in modo così strano e singolare e lui sentiva che lo guardavano così, che lo fissavano, tutte queste facce, pallide nella luce serale; voleva fissare un pensiero ma non gli riusciva, aveva la sensazione che nella sua testa non ci fosse nient’altro che il vuoto… il suo corpo era scosso dal tremito, il sudore lo bagnava”. Queste sono le parole usate da Edvuard Munch per descrivere le sue esperienze di alienazione, riassunte, pittoricamente parlando, in opere come Sera sul viale Karl Johan, i cui personaggi agghindati di nero e con le facce tremendamente bianche, paiono riversarsi nella via come dei fantasmi, al fine di dirigersi verso lo spettatore, che preferirebbe darsela a gambe. Ma se questa folla non esistesse e fosse solo proiezioni delle nostre paure e dei nostri bisogni? Questo è quello che si prova quando la nostra percezione viene messa in dubbio, come nel caso del doppio ritratto di Salomé Perignon, volto a raffigurare i due protagonisti del film Fight club (1999), all’interno del quale, spesso, il confine tra realtà e immaginazione si fa sempre più labile, tanto che il pubblico si chiede se Tyler Durden, ovvero il Brad Pitt della situazione, esista davvero o sia solo una proiezione del subconscio dell’io narratore, impersonificato da Edward Norton.
PULP FICTION ISPIRATA A BANKSY, LOVE E POPART (2022) Dipinto di Antoni Dragan.
2. Pulp fiction
“Ezechiele 25,17: Il sentiero dell'uomo giusto è minacciato da ogni lato dalle malvagità degli egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi”. Queste sono le parole pronunciante in Pulp fiction da Jules Winnfield, un Samuel L. Jackson che, avente in pugno una banana, così com’è raffigurato nell’opera di Antoni Dragan, strapperebbe una gioiosa risata, piuttosto che una lacrima di terrore. Tornando seri per un attimo, o forse no, possiamo immaginarci Raffaello Sanzio pronunciare la medesima citazione, giusto un attimo prima di prendere in mano il suo pennello e dar vita alla Visione di Ezechiele (1517-1518 ca.), tavola che ha realizzato nel rispetto di un episodio tratto dal Libro di Ezechiele, in cui il Padre Eterno solleva le braccia in segno benedicente, sostenuto da due angeli, dall’aquila, dal bue e dal leone, simboli degli evangelisti Giovanni, Luca e Marco, mentre Matteo appare nelle sembianze dell’angelo elegantemente vestito. Oltre al cielo, popolato da teste angeliche e il paesaggio di terra e di mare che si scorge in lontananza, è bene evidenziare come questo capolavoro, presumibilmente del periodo romano del maestro, è stato eseguito al momento in cui egli era solito affidare alcuni importanti commissioni ai suoi più valenti collaboratori, tanto che alcuni studiosi hanno, talvolta, messo in discussione la stessa attribuzione raffaellesca.
IL PADRINO - BONASERA (2022) Dipinto di Jamie Lee.
1. Il Padrino
E il vincitore è: Il padrino! Tralasciando le mie origini italiane, l’opera Pop di Jamie Lee riproduce, nel formato e nelle peculiarità stilistiche del fumetto, l’iconica scena iniziale de il Padrino, in cui Marlon brando, nel film Don Corleone, riceve nel suo “ufficio” Amerigo Bonasera, mettendo in chiaro alcuni concetti basi della mentalità mafiosa: il rispetto, l’onore, la fedeltà e il muto scambio di favori. In aggiunta, la pellicola esplora anche i temi del potere, della famiglia, della lealtà, della violenza e della corruzione, fornendo un ritratto ricco di sfumature dell'esperienza italo-americana negli Stati Uniti della metà del XX secolo. A questo punto interviene il racconto della storia dell’arte, volto a narrare del labile equilibrio esistente tra potere e il compromesso, proprio come nel caso di Gaspare Mutolo, prima mafioso e poi collaboratore di giustizia, che è divenuto anche pittore. Il così detto “Picasso della Mafia” iniziò ad avvicinarsi all’arte in carcere, luogo dal quale la sua passione figurativa si espresse per raccontare, mediante anche palesi riferimenti, la storia della mala vita italiana, affrontata con un approccio di denuncia misto a una probabile volontà di espiazione. In tale contesto il fenomeno mafioso viene narrato mediante simboli, tanto che le associazioni a delinquere assumono spesso l’aspetto di insidiose piovre, i cui tentacoli rimandano ai legami e agli affiliati della più nota organizzazione criminale al mondo.