Pablo Picasso, Ritratto di Dora Maar , 1937. Olio su tela, 92×65 cm. Museo Nazionale Picasso, Parigi.
Grandi maestri e grandi capolavori...
La storia della pittura spagnola può essere narrata facendo riferimento ai più importanti periodi, che ne hanno segnato lo sviluppo e l’evoluzione, come quello gotico, manierista, dell’età dell’oro e del XX secolo. Queste epoche possono essere interpretate anche come una progressiva esternazione dell’estro del suddetto paese, perchè, se nel periodo gotico quest’ultimo ripropose quasi passivamente gli stilemi francesi e italiani, e in quello rinascimentale-manierista prese a modello, sia il Bel Paese, che i Paesi Bassi, soltanto successivamente, e quindi con la Spagna del Secolo d’oro e del XX secolo si concretizzò l’esistenza di un linguaggio prettamente spagnolo, esternatosi mediante la presenza di maestri di livello internazionale, come El Greco, Diego Velázquez, Francisco Goya e, successivamente, Pablo Picasso, Salvador Dalì, Mirò, etc. Tutte queste personalità furono sostanzialmente indipendenti dall’essere associate a una moltitudine di esponenti di un singolo movimento, tendenza o corrente artistica da ricollegarsi principalmente all’espressione di uno specifico paese, come fu, ad esempio, il Rinascimento per l’Italia e l’Impressionismo per la Francia. Prendendo ad esempio Dalì, come si potrebbe fare anche per Picasso, egli fu l’unico spagnolo estremamente popolare a far parte del Surrealismo, ma la sua presenza fu d’estrema importanza per il movimento, tanto che egli fu in grado di trasmettere universalmente i valori della cultura spagnola, mediante il suo ruolo di spicco all’interno della suddetta “tendenza”. Di conseguenza, potremmo anche affermare che l’arte spagnola, piuttosto che di movimenti e di correnti, è fatta di influenti e singole personalità, che, con chiari stilemi, hanno guidato da sole l’intera espressione di un paese a livello mondiale. Quanto detto conferisce alla mia top ten di dipinti il ruolo di guida, all’interno di una vera e propria narrazione di una storia dell’arte spagnola fatta principalmente di grandi maestri e di grandi capolavori.
Top 10
Juan Gris, Ritratto di Picasso , 1912.
10. Juan Gris, Ritratto di Picasso (1912)
Alla posizione numero dieci ho scelto di mettere in evidenza l’operato di Juan Gris, pittore spagnolo esponente del cubismo noto, tra l’altro, per il suo celebre Ritratto di Picasso, capolavoro datato 1912, in cui il maestro madrileno ha immortalato uno dei più importanti artisti del Novecento, facendo appello al suo distintivo cubismo integrale, ovvero uno stile individuale contraddistinto dalla fratturazione più regolare delle forme, dove le figure geometriche sono vincolate a strutture diagonali, volte a creare sembianze quasi cristalline. A proposito del rapporto tra i due pittori, invece, Gris giunse nel 1906 a Parigi, dove incontrò Picasso e Braque, unendosi allo sviluppo della corrente cubista, che lo identificò, appena sei anni dopo, come un discepolo di Pablo. Di fatto, il punto di vista di Juan prende spunto dal cubismo analitico dell’andaluso, facendo riferimento alla sua decostruzione e al punto di vista simultaneo degli oggetti, riportando però una geometria più sistematica e cristallina, resa, nel ritratto in questione, da una testa frammentata, dove il collo e il busto sono scomposti in vari piani e forme geometriche semplici, organizzate all’interno di una struttura compositiva regolata da diagonali, il tutto esplicitato mediante l’utilizzo di una tavolozza dai toni freddi del blu, del marrone e del grigio. Infine, gli stilemi di Ritratto di Picasso danno vita ad un’opera volta ad immortalare l’effigiato in qualità di pittore, dato che il soggetto riporta una tavolozza tra le mani, dettaglio che, come l’iscrizione “Hommage à Pablo Picasso, ci fa chiaramente pensare come Gris stimasse l’innovatore del cubismo per eccellenza.
Joan Miró, Il carnevale di Arlecchino , 1924/1925. Olio su tela, 66 cm × 90,5 cm. Albright–Knox Art Gallery, Buffalo, New York.
9. Joan Mirò, Il carnevale di Arlecchino (1924-25)
La tela di Joan Mirò, datata tra il 1924 e il 1925, è occupata da una moltitudine di figure ibride festanti, che, metà umane e metà animali, sono talvolta antropomorfizzate, in quanto possiedono parti anatomiche umane, che sono state associate dallo spagnolo a forme di oggetti. Questa atmosfera spensierata invita lo spettatore a perdersi nella celebrazione, suggerendogli anche di prendersi il tempo di immaginare una melodia, che fa da sfondo alla vivacità delle figure. Da un punto di vista prettamente storico-artistico, invece, l'opera fa parte del periodo surrealista di Mirò, in particolare essa precede il momento in cui Breton redasse il manifesto del movimento, nonostante nel capolavoro di Joan si sia già ben concretizzato l'automatismo psichico, successivamente promosso dal suddetto poeta francese. Di fatto, Il carnevale di Arlecchino da forma alle visioni fantastiche e surreali dell'immaginazione, che l'artista vuole esternare associandole a qualchè elemento della realtà, che, prendendo altro significato, si trasformano dando orgine a nuove interpretazioni visionarie. In questo senso è bene esplicitare che ciò che è stato reso dal pittore è la dimensione dell'inconscio, spesso narrata mediante la raffigurazione di una scala a pioli, che, ricorrente nell'opera del maestro e presente anche nel dipinto in questione, stà a rappresentare un trampolino di lancio, volto a partire dalla realtà per andare oltre, ovvero verso la fantasia.
El Greco, La sepoltura del conte di Orgaz , 1586. Olio su tela, 480×360 cm. Chiesa di San Tommaso, Toledo.
8. El Greco, La sepoltura del conte di Orgaz (1586)
La mia top ten non poteva essere credibile, nella sua funzione di riassumere le figure chiave dell'arte spagnola, se non avesse menzionato El Greco, pittore, scultore e architetto greco, nonchè una della più importanti figure del Rinascimento spagnolo, spesso considerato essere il primo maestro del Secolo d'oro. Il capolavoro in questione, ovvero la Sepoltura del conte di Orgaz, datato 1586, raffigura in maniera allegorica l'evento esplicitato dal titolo stesso, avente per soggetto principale il deceduto signore della città di Orgaz, che venne miracolosamente seppellito da Santo Stefano e Sant'Agostino, i quali scesero dal cielo esclusivamente per l'occasione. Questa tematica, ispirata da una leggenda degli inizi del XIV secolo, è stata resa dal pittore nel pieno rispetto del contratto redatto con la chiesa parrocchiale di Santo Tomé a Toledo (Spagna), luogo in cui il dipinto è a tutt'oggi conservato. Ad ogni modo, nonostante il fedele soddisfacimento delle richieste dei committenti, El Greco introdusse alcuni elementi modernizzatori, come una serie di caratteristiche attribuite a un corteo funebre consueto del XVI secolo, i paramenti dei due santi, nonché la raffigurazione di eminenti personaggi toledani del suo tempo. Tale modalità interpretativa ha voluto favorire lo scopo prettamente didattico dell'olio, che, in accordo con le dottrine della Controriforma, perseguiva l'intento di promuovere la venerazione dei santi e delle buone azioni per la salvezza dell'anima.
Francisco Goya, Saturno che divora suo figlio , 1821-1823. Murale a tecnica mista trasferito su tela, 143,5 cm × 81,4 cm . Museo del Prado, Madrid.
7. Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli (1821-1823)
Il capolavoro realizzato tra il 1821 e il 1823 rende concreta una visione raccapricciante: Saturno addenta il corpo del figlio come se fosse una preda animale, che, in parte coperta da rivoli di sangue, appare ormai privata della sua testa, mentre il braccio si trova nella bocca del padre, il tutto circondato da uno sfondo indefinito e scuro, che pone al centro dell’attenzione l’estremo atto. A proposito dell’interpretazione di questa agghiacciante composizione, facente parte del ciclio delle Pitture Nere, opere realizzate dall’artista per le pareti della propria casa sulle rive del Manzanarre (Madrid), essa potrebbe evocare, sia il conflitto tra gioventù e vecchiaia, dove il tempo appare divoratore di ogni cosa, che la personificazione della Spagna dell’epoca, paese capace di mangiare i suoi figli mediante aspre guerre, rivoluzioni e l’assolutismo. A quanto detto si aggiunge un ulteriore significato attribuibile al capolavoro, che si lega semplicemente ad una più scontata voglia di raffigurare la condizione umana nei tempi moderni. Nonostante il dubbio interpretativo permanga, è chiaro come il dipinto rappresenti l’estremo culmine delle Pitture nere, caratterizzate, oltre che dai toni cupi e minacciosi, da un fil rouge tematico legato proprio alla figura di Saturno, tradizionalmente associata alla disperazione e alla vecchiaia, resa in capolavori precedenti, che, come quello di Rubens, appaiono sicuramente maggiormente convenzionali, oltre che ben lontani dalla freudiana follia del protagonista dell’opera del Goya.
Francisco Goya, Maja nuda, 1790-1800. Olio su tela, cm 97×190. Museo del Prado, Madrid.
6. Francisco Goya, Maja desnuda, (1790-1800)
Una giovane modella nuda osserva con una sicurezza priva di ogni pudore lo spettatore, mentre appare sensualmente distesa con le mani incrociate dietro la nuca, punto del corpo nella cui prossimità trovano collocazione anche i suoi capelli ricci e scuri, che cadono liberi ai lati del viso, circondato dalle guance piene e arrossate. Tale visione trova collocazione sulla superficie di un divano ricoperto di velluto verde, dove si dispongono anche i due cuscini foderati su cui si appoggia la donna, oltre al lenzuolo che sottostà alla parte inferiore del suo corpo. Il provocante capolavoro in questione noto, oltre per la sua audacie e malizia, per mostrare innovativamente, nonché scandalosamente, la linea nigra che collega la vulva all’ombellico, potrebbe raffigurare, sia l’amica del pittore, ovvero la Duchessa de Alba, che l’amante Pepita. Ciò che è certo è che la tela rappresenta il nudo profano più esplicito della collezione Godoy, militare a politico spagnolo di grande fama, che possedeva una ricca raccolta a proposito del sopra menzionato genere, comprensiva di capolavori provenienti da tutta Europa, nonché della celebre Venere Rokeby di Velázquez. Proprio in questo contesto è necessario specificare come nel XVIII secolo i dipinti di nudo fossero in realtà proibiti in Spagna, in quanto contrari alla dottrina cristiana, tanto che Godoy commissionò anche la versione vestita del suddetto capolavoro, al fine di occulare quella più esplicita.
Pablo Picasso, Les demoiselles d'Avignon, 1907. Olio su tela, 243,9 cm × 233,7 cm. Museo di Arte Moderna. Acquisito tramite il lascito di Lillie P. Bliss, New York City.
5. Pablo Picasso, Les demoiselles d'Avignon (1907)
Perchè Les Demoiselles d'Avignon è un capolavoro imprescindibile della storia dell'arte, ovvero una di quelle opere, che, nell'eventualità in cui non fosse mai stata realizzata, il corso dell'indagine creativa da noi conosciuto avrebbe sicuramente preso altre strade? La risposta risiede nel fatto che il dipinto è considerato essere la prima opera cubista di Picasso, che, realizzata nel periodo africano del maestro, successivo a quello rosa, fu probabilmente ispirato dalla visione, che l'artista ricavò dalla frequentazione di un bordello di Barcellona, collocato su Carrer d'Avinyò. In aggiunta, è bene mettere in luce come il dipinto in questione sia il risultato di più di cento studi, all'interno dei quali l'artista incluse anche la presenza di alcune figure maschili, fatto che porta ad ipotizzare come il soggetto potrebbe rappresentare una sorta di memento mori, in cui il pittore voleva mettere in guardia dai pericoli del sesso, ovvero dall'allora popolare sifilide. A proposito della descrizione del capolavoro datato 1907, esso raffigura cinque ragazze, che, probabilmente citando le Veneri della tradizione classica, si propongono alla vista dell'osservatore mostrando sfacciatamente le nudità. Infine, per quanto riguarda i loro volti, essi rappresentano una voluta cesura con la tradizione artistica precedente, in quanto essi si concretizzano nell'intensità di sguardi, sia diretti e riconoscibili, che più sfuggenti, sempre caratterizzati da deformità, volti a ricondurre all'esempio delle maschere tradizionali africane.
Francisco Goya, Il terzo maggio 1808, 1814. Olio su tela, 268 cm × 347 cm. Museo del Prado, Madrid.
4. Francisco Goya, Il 3 maggio 1808 (1814)
Francisco Goya, 3 maggio 1808 (1814): in un ambiente avvolto nell’oscurità, dove solo una lanterna rischiara il buio della sera, un fascio di luce giunge a illuminare con maggiore intensità un ribelle contadino indigente, che, con grande dignità e coraggio, accetta di dover sacrificare la sua esistenza in nome della libertà. Allo stesso modo, sofferente e in estrema difficoltà, si è spesso presentato, all’interno del racconto della storia dell’arte, la figura di Cristo crocifisso, che in questo caso profano viene circondata dai compagni caduti o spaventati, che hanno di fronte a loro un plotone di esecuzione composto da un gruppo di soldati francesi al comando di Napoleone. Di fatto, il dipinto vuole esplicitamente raccontare la resistenza delle truppe madrilene all’armata francese, che ebbe luogo durante l’occupazione del 1808, avvenuta durante la guerra d’indipendenza spagnola. Di affine tematica risultano essere anche altre opere dell’artista, ovvero la serie di incisioni titolate I disastri della guerra, dove il maestro ha dato vita ad una concreta esternazione del suo dolore per l’invasione della Spagna da parte delle truppe napoleoniche. A proposito dello stile del capolavoro del 1814, invece, il crudo drammatismo di quest’ultimo non può essere considerato prettamente romantico, nonostante sia indiscusso come la sua sensibile esternazione emotiva appaia affine all’operato dei pittori del movimento in questione. Allo stesso modo, il dipinto si distacca dall’idealizzazione della bellezza, perseguita, sia dal Romanticismo, che dal Neoclassicismo.
Diego Velázquez, Las Meninas , 1656. Oli su tela, 320,5 cm × 281,5 cm. Museo del Prado, Madrid.
3. Diego Velázquez, Las Meninas (1656)
Una delle più note scene della storia dell’arte, che non voglio semplicemente descrivere sfociando nella banalità, ha preso luogo nello studio di Diego Velázquez, in quanto il pittore ebbe la concessione dal re Filippo IV di Spagna, intorno al 1650, di usare come atelier la sala principale del Real Alcázar di Madrid, spazio in cui il sovrano soleva di sovente passare il tempo osservando il maestro all’opera, tanto che molti pensano che Filippo infranse le leggi di comportamento reali, stringendo addirittura amicizia con il pittore. A proposito del capolavoro in questione, esso raffigura solo apparentemente un ritratto di corte, in quanto è stato concepito per divenire un manifesto di propaganda, volto a esplicitare come l’arte possa riprodurre efficacemente la realtà. Ad ogni modo l’articolata composizione è pronta ad accogliere molteplici interpretazioni e quesiti, tra i quali, ad esempio: perché i sovrani compaiono nello specchio? É probabile che queste figure fossero intente a spiare la scena di posa nella penombra, mentre la luce proviene dal fondo, dove trova collocazione l’assistente della regina Nieto, il cui arrivo sulla scena resta alquanto enigmatico. Infine, di grande rilevanza è la presenza dello stesso artista all’interno dell’opera, figura volta probabilmente ad indicare l’intenzione di celebrare sé stesso, la sua presenza alla corte di Filippo IV, il suo ruolo, nonché il desiderio di esternare la personale concezione secondo cui la pittura risulti essere la superiore tra le arti.
Salvador Dalì, La persistenza della memoria , 1931. Olio su tela, 24 cm × 33 cm. Museo di Arte Moderna, New York City.
2. Salvador Dalì, La persistenza della memoria (1931)
Molti si ricordano degli orologi “molli”, ovvero dalla consistenza quasi liquida, presenti ne La persistenza della memoria, anche se in pochi sanno che questi ultimi furono ispirati dall’osservazione degli allungamenti del formaggio Camembert, che Salvador ammirò esposto di fronte a una fonte di calore. Di fatto, proprio l’eccentrico cervello del maestro spagnolo fu capace di trasformare tale ordinaria visione in un capolavoro, volto a dare forma concreta allo scorrere del tempo, che, seppur misurabile, rimane alquanto variabile se considerato in relazione alla percezione umana, ovvero agli stati d’animo che lo rendono, se gioiosi più rapido, quando dolorosi più lento. Inoltre, secondo Dalì anche la memoria presenta un analogo funzionamento, in quanto è facile ricordarsi di cose che ci interessano, anche se lontane, mentre è altamente probabile scordarsi di momenti vicini per noi alquanto banali. In poche parole: gli orologi dipinti ne La persistenza della memoria starebbero proprio a simboleggiare quella condizione temporale incontrollabilmente associata agli stati d’animo, nonché al ricordo. Infine, sempre a proposito del capolavoro, è bene mettere in luce come questo, uno dei più noti di Dalì, venne messo in mostra dal mercante d’arte Julien Levy nella sua galleria nweyorkese nel 1931, fatto al quale seguì l’interesse del pubblico e della critica nei riguardi del maestro catalano.
Pablo Picasso, Guernica , 1937. Olio su tela, 349,3×776,6 cm. Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid.
1. Pablo Picasso, Guernica (1937)
Anche nel caso dell’opera che occupa il podio voglio esulare dalla più semplice e comune descrizione del dipinto, per concentrarmi sui suoi stilemi, frutto dell’avvicinamento di Pablo, verso la metà degli anni Venti, al punto di vista surrealista, che all’epoca fu principalmente espresso mediante la realizzazione di interni con nature morte, oggetti e strumenti musicali. Furono proprio questi temi tradizionali a far nascere l’innovazione, tanto che in questo stesso periodo Picasso prese coscienza delle molteplici modalità di rottura della forma, nonché della presentazione della composizione da più prospettive, che successivamente animeranno la “rivoluzione” cubista. Ad ogni modo però l’artista, che riteneva l’arte uno strumento di esternazione dell’io, rese tale indagine figurativa mediante la costruzione di spazi claustrofobici, probabilmente ispirati dai tristi eventi legati alla contemporanea e ansiogena Prima guerra mondiale. Oltre alla suddetta ricerca intimistica, l’operato del maestro spagnolo del periodo fu contraddistinto anche dalla costante presenza della figura femminile, intesa in qualità di musa ispiratrice in grado di prendere la forma delle numerose e turbolenti relazioni intraprese dal maestro. In aggiunta, proprio negli anni che precedono la creazione di Guernica, Picasso si concentrò sul simbolismo trasmesso dal corpo femminile, ricerche che culminarono, insieme alle precedenti, nella realizzazione del capolavoro in questione. Di fatto, Guernica rappresenta l’apice degli sforzi artistici di Picasso, in cui tutte le caratteristiche visive che lo hanno reso famoso sono state inserite, tanto che l’opera non può essere assolutamente compreso senza analizzare, anche brevemente, le precedenti e necessarie tappe di sviluppo del suo linguaggio visivo. Ad ogni modo, il dipinto risulta essere comunque maggiormente noto per il fatto che, raffigurando gli orrori della guerra, è diventato il simbolo per eccellenza della lotta contro ogni forma di nefasto conflitto.