CHANEL'DOG (2023) Scultura di The Kri$$$.
Come siamo arrivati dalla Coca-Cola a Chanel?
"La Pop Art è pittura industriale. Penso che il significato del mio lavoro sia che è industriale, è quello che presto diventerà tutto il mondo. L'Europa sarà allo stesso modo, presto, non sarà più americana, sarà universale."
La suddetta citazione di Roy Lichtenstein ha decisamente predetto l’avvento dell’odierna società globalizzata, fenomeno mediante il quale il capitalismo si è diffuso eliminando le barriere tra stati, per imporre un modello economico e culturale globale, in cui i molteplici brand di lusso sono divenuti tra i principali soggetti della Pop art contemporanea. Ma quali sono gli albori di questa tendenza e come essa si è evoluta nel corso degli anni? Prima di tutto è bene chiarire brevemente “l’ideologia” del suddetto movimento artistico, al fine di dimostrare, in seguito, la sua evoluzione, volta a dare inizialmente visibilità ai marchi principalmente da supermercato e, in un secondo momento, a quelli evidentemente più elitari. Partendo dai concetti base della Pop art, essa si è distinta per l’utilizzo di immagini altamente identificabili, che, tratte dai media e dalla cultura popolare, hanno, insieme al Neo-Dada e altri movimenti, messo in discussione la stessa definizione di arte, spostando quest’ultimo concetto in una dimensione di celebrazione ed elevazione del quotidiano. Proprio in questo senso, ovvero perseguendo l’intento di sfumare i confini tra cultura “alta” e “bassa”, sono da intendersi le immagini che il maestro indiscusso del movimento, Andy Warhol, creò durante gli anni Sessanta, che, volte a dare una nuova interpretazione del brand Coca-Cola, perseguivano l’intento, con le altrettanto note Campbell's Soup Cans, di esternare i prodotti che facevano parte della vita dell’artista. Queste merci democratiche, poiché accessibili alle masse, saranno accostate, durante i successivi anni Ottanta, a litografie più elitarie, che, come quella di Chanel (1985) fanno parte del portfolio Ads, volto a mettere in risalto, oltre al brand francese, anche alcune delle più potenti società americane, quali, ad esempio, Mobilgas, Paramount Pictures, Disney e Apple Macintosh, accompagnate ai marchi stranieri Volkswagen e Blackglama. Tornando a Chanel, la litografia nacque per celebrare, ispirandosi a una pubblicità degli anni Sessanta, un profumo, che, a dir poco iconico e favorito di Marilyn Monroe, venne presentato in un flacone semplice e trasparente, prendendo forma in un design minimalista, che è stato sicuramente a monte del suo intramontabile successo. A questo punto appare chiaro ai nostri occhi come in quest’ultimo caso la celebrazione degli oggetti del quotidiano, ben esemplificati dalla suddetta Coca-Cola, venga sostituita “dall’idolatria” di beni di lusso, proposti come una mera allusione, esaltazione e ostentazione di uno stato di benessere, al quale le masse ambiscono bramosamente. Proprio a questo incessante desiderio di possesso si deve l’attuale successo dei brand di lusso nella Pop art contemporanea, movimento che diviene il portavoce dell’apice in cui riversa la moderna ostentazione, fomentata dalla diffusione delle montate e costruite immagini dei social media.
CHANEL (2022) Dipinto di Rinalds Vanadzins.
GLI AMANTI DI CHANEL (2021) Dipinto di Stan.
Chanel oggi
Proprio la suddetta compulsiva necessità di condivisione del proprio agio, nonché la brama di cristallizzare il sapore del possesso, è oggi ben esemplificata da Chanel (2021), stampa su tela rifinita a mano, opera dei The Miaz Brothers, duo di artisti lombardi noti per aver maturato, durante il loro lungo percorso di ricerca, inclusivo di fotografia, video e pittura, una tecnica inedita che ha rinnovato l’approccio al ritratto, in quanto i suoi soggetti, realizzati principalmente con l’aerografo e gli acrilici, presentano contorni sfocati, volti a generare immagini enigmatiche e suggestive. Proprio in questo senso anche Chanel (2021) sfida la percezione dello spettatore, esulando dal definirsi completamente, anche se, la sagoma dell’iconico profumo, è ormai impossibilitata dal non essere distinta, dimostrando la totale diffusione, affermazione e riconoscibilità dell’iconografia del lusso. Nella suddetta modalità di riproduzione del profumo, che, facendo sicuramente tesoro dell’esempio di Warhol, ha voluto raffigurare la sua iconica boccetta, è stato “analogamente” realizzato Chanel (2022), dipinto dell’artista di Artmajeur Rinalds Vanadzins, che, eseguito con una miscela di acrilici e vernice a spray applicata su tela, ha dato vita ad una superficie strutturata, dinamica e vibrante, in cui le pennellate lisce degli acrilici contrastano con la consistenza ruvida della vernice a spray, tecniche volte ad esplicitare le poliedriche capacità dell’artefice di esprimersi e dominare vari materiali, al fine di generare opere Pop di forte impatto visivo. Alla stregua di Vanadzins si è espresso un altro artista di Artmajeur, ovvero, Stan, il cui “Surrealismo Pop” si palesa nel bacio che prende vita e forma nel liquido del profumo, dettaglio che mi ha fatto subito pensare a Salvator Dalì, maestro che diede una sua particolare interpretazione della nota boccetta, raffigurandovi sopra un suo autoritratto “incompleto”, in quanto volto a dar forma solo agli occhi, alle sopracciglia e ai baffi dell’artista catalano. Tornando a Stan, il pittore francese contemporaneo si contraddistingue per il suo stile unico, volto a combinare Pop e Street art, tendenze che vengono reinterpretate con uno spiccato gusto per l’universo anni Cinquanta e Settanta, epoche immortalare nelle loro icone.
ELSIR N°5 (2022)Dipinto di Simona Zecca.
Per una visione meno classica del brand
Se la boccetta di Chanel n. 5 è divenuta, come da esempi citati, la forma più nota e popolare per alludere all’iconicità del brand francese, l’analisi dell’operato di altri artisti contemporanei ci dimostra come il racconto dell’arte sia andato oltre il suddetto “classicismo”, raffigurando, ad esempio, una coppia di personaggi su di un prato nel momento in cui, mentre uno di loro si gusta una bibita di Starbucks, l’altro si trova, proprio sopra la sua testa, l’immagine del logo del pluri-menzionato marchio, volto a trasformare l’opera d’arte, titolata Chanel e facente parte della serie Product Placement (2010), in una sorta di manifesto pubblicitario mainstream. Sto parlando dell’opera realizzata da Alex Gross, artista visivo classe 1968, che, specializzato in dipinti a olio su tela i cui temi includono la globalizzazione, il commercio, la bellezza, il caos oscuro e il passare del tempo, si esprime mediante un linguaggio Surrealista Pop, volto ad analizzare l’atmosfera culturale dell’America consumistica, in cui vengono demonizzati grandi marchi come, ad esempio, Dior e Fendi, al fine di relazionare il consumo all’amore e alla moralità, stimolando il pensiero critico degli spettatori, che vengono incoraggiati a sviluppare un sentimento di scetticismo versi determinati standard sociali. In modo “analogo” la tela Elisir n. 5 dell’artista di Artmajeur Simona Zecca inserisce la scritta Chanel in un contesto dominato dalla figura umana, cogliendo quasi impreparato lo spettatore, che, perso nella contemplazione del soggetto principale, si trova anche ad idolatrare le divinità della cultura di massa.
GUCCI DREAMS (2021)Dipinto di Helen She.
GUCCI IN BLOOM (2022) Collages di Géraldine G.
Pop art e brands – brands e Pop art
Fino ad ora abbiamo visto come l’arte, che ha reso omaggio alla più lussuosa moda, abbia preso le forme di una tacita pubblicità, senza considerare come sia possibile anche la relazione inversa, volta a realizzarsi quando un brand trasforma i suoi annunci in vere e proprie opere d’arte, coinvolgendo l’operato di artisti contemporanei, proprio come nel caso delle immagini surreali e le iconografie d’altri tempi, volte a prendere vita negli Art Wall realizzati a Milano, New York e Hong Kong dall’artista spagnolo Ignasi Monreal per Gucci. Un’ulteriore forma di rapporto arte-moda si realizza quando nelle opere si usano le immagini più classiche del repertorio figurativo, che vengono riproposte in un nuovo contesto Pop consumistico, concetto ben reso dal David Fendi dell’artista di Artmajeur Helen She, dipinto volto a trasformare il capolavoro di Michelangelo in un popolare testimonial di moda, colto in una posa alla stregua di quelle assunte dai più noti personaggi del mondo dello spettacolo, generalmente largamente sfruttati dai brand. Sempre a proposito di She, ella ha realizzato anche Gucci dreams, un nudo femminile, che, caro alla più tradizionale iconografia della Venere di Urbino di Tiziano, dell’Olympia di Manet, del Nudo dormiente di Giorgione, etc., si propone a mo’ di fumetto, alludendo esplicitamente un altro brand italiano: Gucci. Infine, la relazione tra arte e moda cambia ancora nel collage e acrilico di Géraldine G. titolato Gucci in bloom, opera in cui è probabilmente l’artista di Artmajeur a reinterpretare innovativamente il motivo decorativo, che appare sulla confezione del profumo Flora di Gucci, anche se nell’indagine artistica di Géraldine appare assai ricorrente l’accostamento tra pubblicità e tematica naturale, volta legare i simboli della vita per eccellenza a quelli di un altrettanto infinita creatività di natura principalmente consumistica.