LA CONOSCENZA È L'ARMA ULTIMA (2022)Dipinto di Esteban Vera (EVERa).
"FACELESS" (2022)Scultura di Mammad Rashidov.
Facebook, Instagram e Twitter in pittura!
Ho voluto fare un’indagine, al fine di comprendere se l’iconografia dei social media fosse in qualche modo riuscita ad entrare nel linguaggio artistico, ricalcando in parte l’ormai nota lezione della Pop art anni Cinquanta, che esordì e spiazzò, introducendo nel mondo creativo, le immagini tratte dai media e dalla cultura popolare, rappresentando un cambiamento, che continua a reinventarsi a tutt’oggi, rendendo manifeste le ultime tendenze della comunicazione, inesorabile specchio della società dei consumi di massa. Di conseguenza, ricercando principalmente il “riutilizzo”, la reinterpretazione, l’arricchimento e l’attualizzazione di tutti, o di alcuni, dei principi Pop sopra menzionati, ad opera delle visioni e dei linguaggi dell’arte contemporanea, ho spulciato il data base di Artmajeur, dove, mediante l’utilizzo di precise parole chiave, quali Facebook, Instagram e Twitter, sono effettivamente riuscita ad entrare in contatto con dipinti, sculture e disegni ispirati da questi attuali social media. Principalmente, le opere risultato della mia indagine accoglievano al loro interno i loghi in questione, popolari simboli volti a divenire veicolo di nuovi messaggi per l’arte, inequivocabilmente associati alla storia dei suddetti social media, nonché all’evoluzione delle fattezze del loro popolarissimo marchio. Pertanto, al fine di mostrarvi quanto appena affermato, partirò nell’ordine dei social media sopra elencato, esordendo con la prima opera oggetto della mia analisi: Faceless di Mammad Rashidov, testa scultorea in cui la raffigurazione del volto umano viene in parte celata dal logo di Facebook, che, inciso nella “carne”, vi si sovrappone quasi occultandolo, cosa che mi fa pensare a come, ormai, le nostre identità reali risultino essere alquanto compromesse, poiché indelebilmente associate a quelle online, che, quando non esistono, privano effettivamente i soggeti di una vivacissima parte, nonché modalità, d’interazione umana. L’uomo, che non esiste quasi più se non si connette online e non commenta le immagini con cuoricini, like e faccine, pare aver quindi inglobato nella sua stessa identità, incrementandola, il logo del figlio più celebre di Mark Zuckerberg, presentando ormai nel suo volto i segni della sua doppia identità, ovvero della sua doppia vita, scandita da i momenti in cui effettivamente respira e quelli nei quali è solo la sua immagine fotografica a farlo per lui. Il logo che appare nell’opera dell’artista di Artmajeur, invece, aggiunge ulteriori significati alla scultura, in quanto ci racconta di come il simbolo di Facebook si sia affermato nell’esplicitazione del nome dell’azienda, che, scritto in lettere minuscole su di un rettangolo blu, pareva da voce a una scelta cromatica forse dettata dalla deuteranopia-daltonismo rosso-verde di Zuckerberg. Nonostante alcuni cambiamenti di quest’ultimo, di nostro interesse è in realtà l’icona del social media, effettivo soggetto di Mammad Rashidov, che, nel corso degli anni è divenuto sempre più minimalista.
LA COMETA DI INSTAGRAM (2023)Dipinto di Mario Venza.
TWITTER 2.0 - SHITTER (2022)Dipinto di Deb Breton.
A proposito del logo Instagram, invece, quest’ultimo è cambiato nel corso degli anni pur presentando una costante: l’allusione alle forme di una fotocamera instantanea, volta a rispecchiare la designazione chiave della reta, quale la condivisione di fotografie. Il simbolo che appare nell’opera di Artmajeur di nostro interesse, ovvero The Instagram comete di Mario Venza, è però quello attuale, che, ideato nel 2022, ha aggiornato il logo del 2016, affinandone la tavolozza dei colori, ma mantenendone il concetto e le forme. Per riguarda quanto l’opera dell’artista di Artmajeur, essa pare alludere al trionfo di Instagram sugli altri social media, in quanto il suo logo si pone davanti, e in formato più grande, ad altre note icone, forse alludendo al fatto che i giovani, compresi tra l’età di 18 e 29, sono generalmente maggiormente attratti dal social media in questione. Questa ipotesi potrebbe essere in tal senso confermata dalla giovane età del soggetto femminile raffigurato nella tela, pronto a posare su Instagram sicuramente senza tenere di conto come, la censura, potrebbe effettivamente agire sul suo nudo alquanto esplicito. In aggiunta, parlando di Twitter, degna di nota è l’omonima opera di Deb Breton, concepita per infangare il social media recentemente acquisito da Elon Musk, personaggio che appare sullo sfondo ridendo, sicuramente ignaro della reinterpretazione satirica del vecchio logo del social media in questione. L’intento dissacrante di della pittura dell’artista di Artmajeur viene esplicitato, oltre che dall’evidente iconografia, dalla descrizione dell’opera fatta dallo stesso Breton, pronta a rivelare come il nuovo Twitter 2.0. sia in realtà un mezzo volto a favorire la diffusione dell’odio e della cospirazione in nome della libertà di parola. A questo punto voglio esprimermi per ridimensionare il punto di vista di quest’ultimo, in quanto i social media sono principalmente fatti di persone, quindi, piuttosto che dare la colpa ad Elon Musk, Mark Zuckerberg, etc., dovremmo effettivamente interrogarci sulla qualità dei contenuti che noi, in prima persona, condividiamo. Sicuramente i social media non sono stati intesi per la circolazione di informazioni di qualità, pronte a promuovere il miglioramento dello sviluppo delle coscienze, ma ognuno di noi, libero di agire, potrebbe effettivamente impegnarsi per diffondere e creare qualcosa di significativo. A questo punto è bene rendere noto come però ormai, il noto uccellino di Twitter sia stato sostituito da una meno popolare simbolo a X, che, voluto dal nuovo acquirente Musk, pare effettivamente venire meno all’iconica allusione al cinguettio dei messaggi del social. Infine, il racconto si sposta da Facebook, Instagram e Twitter alle app di WhatsApp, GoogleMaps e Tinder, che saranno narrate da altre opere facenti parte del ricco database di Artmajeur!
RIMANERE CONNESSI ANCHE NEL MEZZO DEL COVID 19 (2020)Dipinto di Samuel Itoya Odiboh.
Samuel Itoya Odiboh: Restare connessi anche nel mezzo del Covid-19
Come si evince dall’opera dell’artista di Artmajeur Odiboh, concepita all’epoca della pandemia Covid-19, l’essere umano, nonostante le distanze sociali imposte dell’emergenza sanitaria, è stato sempre in grado di comunicare, grazie ad una moltitudine di social media ed di applicazioni, tra le quali, spicca, sia per antichità, che per immortale popolarità: WhatsApp! Il logo verde di tale piattaforma di messaggistica gratuita, menzionato dal dipinto in questione, presenta il fine di palesare la funzione dell'app, poiché è formato da alcuni elementi di design relativamente semplicistici, costituiti da un fumetto di testo, volto a simboleggiare un messaggio inviato o ricevuto, all’interno del quale è stato inserito un telefono, in grado di alludere alla capacità secondaria di WhatsApp, ovvero quella relativa alle chiamate e ai video. L’unica cosa che rimane poco logica e alquanto contraddittoria è il fatto che il telefono del logo sia in realtà un modello fisso e quindi incapace, a differenza dei cellulari, di effettuare totalmente quanto pubblicizzato. Nonostante questa incongruenza, il messaggio che l’artista di Artmajeur si prodiga ad esplicitare, raffigurando una donna munita di mascherina chirurgica con lo Smathphone in mano, appare decisamente chiaro, oltre che inaspettatamente pieno di speranza, in quanto la pandemia del Covid-19 ha effettivamente dimostrato come la tecnologia rappresenti uno strumento sul quale è possibile fare affidamento per superare le difficoltà, tanto che in Staying connected even in the midst of Covid-19 i suddetti loghi sono interpretabili alla stregua di supereroi, che intervengono salvificamente in auto della protagonista, decismente provata dallo spauracchio della malattia e della solitudine.
ICONA DI TINDER - OLIO SU TELA (2020)Dipinto di Larisa Lavrova.
Larisa Lavrova: l'icona di Tinder
Ecco le parole con cui Lavrova introduce al suo sensuale olio: “L'icona di Tinder: questo è il nome dell'opera d'arte. Non è reale, è nella tua mente e nel tuo telefono. E forse la vedrai nella realtà, forse no. Ma ora puoi vedere solo le sue parole sulla chat del telefono e le sue foto. Allora - è solo la tua immaginazione..…” Allora, per chi ancora non lo sapesse, Tinder, a cui fa esplicito riferimento, sia il titolo, che la maglia dell’effigiata, è una delle più note app mobili per incontri, all’interno della quale gli utenti posso scorrere le foto di altri utenti, mettendo like alle persone che gli piacciono, magari per parlarci e poi conoscerle dal vivo. Quanto detto è possibile solo se l’oggetto del nostro interesse, dopo aver ricambiato il nostro like, decide di rispondere ai nostri messaggi, rendondo plausibile la sua esistenza nel mondo reale. Una volta che la bramata conversazione è stata avviata, si può, relativamente per gradi e a seconda delle intenzioni delle due parti, procedere verso un effettivo incontro, unico mezzo mediante il quale sarà possibile comprendere se l’illusione alimentata dalle fotografie e dalla chat dell’applicazione, si rivelerà essere l’ennesima grande cantonata o l’affare del secolo. A riguardo di Tinder’s icon, è bene chiarire come il soggetto dell’opera sia in contrasto con le politiche dell’applicazione in questione, che in realtà non accetta foto di nudo, forse perchè una donna come quella raffigurata dall’artista di Artmajeur potrebbe effettivamente mandare in tilt l’intero sistema, che sarebbe sovraccaricato da uomini e da donne interessati a vedere dal vivo ciò che l’immagine si presta, illusoriamente o meno, a mostrare. Infine, a proposito del logo di Tinder, Lavrova ha reinterpretato quello, che, dal 2017, è a tutt’oggi in uso, ovvero un’icona minimalista, in cui il simbolo della fiamma ha acquisito una trama sfumata dalla forma più arrotondata, che va dall’arancione al rosa.
PANOPTIKON. (2022)Dipinto di Ziemowit Fincek.
Ziemowit Fincek: Panoptikon
Ancor prima c’erano le stelle, poi le carte geografiche e, adesso, si è palesato il regno di Google Maps, servizio internet geografico sviluppato da Google, che consente la ricerca e la visualizzazione di carte geografiche di buona parte della terra, divenuto talmente popolare che dovrebbe essere esteso anche all’uso privato, al fine che, nell’evantualità, sia possibile addirittura ricordarci dove trova collocazione il bagno di casa nostra, dato che, ormai, tutti paiono snobbare i superstiti fan della bussola. Pertanto mi sento di domandarti: dove ti trovi adesso? Ne sei sicuro? Hai chiesto a Google Maps? Ecco, allora spera di non trovarti nella location esplicitata dal dipinto di Ziemowit Fincek, ovvero Panopticon, che, facendo riferimento alla descrizione dell’opera da parte del pittore, è il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, la cui struttura permetteva alle guardie carcerarie di osservare i prigionieri senza sapere se e quando venivano sorvegliati. Allo stesso modo si risveglia in me il terrore del “condividi la tua posizione”, strumento, che, se effettivamente lasciato aperta a nostra insaputa, consentirebbe a Google Maps di far conoscere a nostro marito la residenza del nostro amante o rendere note a nostra madre le nostre abitudini più strane. A questo punto, sarebbe forse meno rischioso, come ha fatto il protagonista di Panoptikon, tagliarci la mano, in maniera da digitare il luogo di nostro interesse, senza lasciare alcuna traccia fisica del nostro spostamento...