Vincent Monluc, Street seller in old Hanoi , 2018. Acquerello su carta, 56 x 37 cm.
Yoko Ono, Pezzo tagliato, 1964.
Saltando ricchi secoli di storia e tradizione, giungiamo subito ad esternare il punto di vista di uno dei più celebri artisti del novecento vietnamita, ovvero Nguyen Phan Chanh, pioniere della pittura su seta all’interno dell’indagine artistica della sua nazione, che, nonostante la sua formazione presso l'Ecole des Beaux-arts d'Indochine, istituto fondato all’epoca dell’Indocina francese, volta, secondo il gusto occidentale, a “trasformare gli artigiani indigeni in artisti professionisti", riuscì a mantenere una spiccata attenzione verso una rappresentazione della vita di villaggio piuttosto antiquata e tradizionale. Quanto detto appare con forza nelle sue opere volte a ritrarre personaggi intenti a lavorare, a dialogare e a passare il tempo libero con un “realismo” affine alla più antica tradizione cinese, che tanto influenzò il “primordiale” punto di vista figurativo del Vietnam. Facendo un esempio concreto, invito ad osservare la routinaria scena catturata da After duty hours, opera che, realizzata dal suddetto maestro intorno al 1967, ovvero in piena epoca di guerra del Vietnam, stupisce per la sua serenità, anche se, in realtà, dietro alla tranquillità della tematica, si cela un appassionato messaggio patriottico, volto a celebrare, come nella maggior parte dell’operato dell’artista, la più tradizionale modestia e semplicità della vita rurale del paese. Questa “rivendicazione” identitaria può essere confrontata con l’arte occidentale del medesimo periodo storico, volta ad esplicitare, senza alcun indugio, ma tramite un acuto e rabbioso un grido di dissenso, tutta l’avversione provata dagli artisti verso il suddetto conflitto bellico, che dal 1955 al 1975 vide opporsi il Vietnam alla superpotenza americana. Analizzando alcune di queste esternazioni politiche espresse mediante la creatività, seguendo prettamente un ordine cronologico, partiamo col trovarci “faccia a faccia” con una giovane Yoko Ono, alle prese con una delle sue prime opere performative: Cut Piece, atto all’interno del quale l’artista sedeva da sola su di un palco, sul quale, elegantemente vestita, custodiva nelle sue mani un paio di forbici, al fine di invitare il pubblico ad avvicinarsi a lei e tagliargli un piccolo pezzo del suo abito, per poi conservarlo e custodirlo gelosamente. Questa performance, in cui lo spettatore assume un ruolo attivo rispetto alla passività della Ono, non è stata interpretata solo come un’originale protesta contro la guerra del Vietnam, ma anche come un’opera femminista, esplicitamente dichiarata contro ad ogni sorta di violenza e discriminazione.
Duy Tran, Paesaggio del Vietnam, 2022. Olio su tela di lino, 60 x 46 cm.
Chris Burden, Spara , 1971.
Tra il 1967 e il 1972 si colloca invece la datazione di Red Stripe Kitchen, opera della serie “house Beautiful: Bringing the War Home”, che, realizzata dall'artista, fotografa e critica d'arte statunitense Martha Rosler, ha perseguito la finalità di fissare in un’immagine un concetto estremamente innovativo, derivato dalla nuova popolarità, riscontrata all’epoca, del mezzo televisivo, il quale, per la prima volta nella storia, ha portato il conflitto, e la sua violenza, direttamente nelle case dei cittadini americani, tanto ribattezzarlo come una sorta di “guerra da salotto”. In realtà però, il fotomontaggio, che colloca i soldati all’interno di un quieto salotto, è stato sapientemente studiato dall’artista anche al fine di ottenere il disturbo di una rassicurante illusione: la distanza tra il “qui” e il “là”, che, inesorabilmente perduta, immerge l’osservatore in una situazione instabile e pericolosa, avente le sue origini nella politica estera americana, nonché nell’estremizzazione della cultura del consumismo. Infine, giungiamo all’interpretazione più violenta del conflitto, e quindi, probabilmente, più fedele al dato reale della guerra, che ci viene offerta dall’estremo punto di vista dell’artista statunitense Chris Burden, rivelatosi nella performance del 1971 intitolata Shoot. Precisamente, era il 19 novembre di quello stesso anno, quando, all’interno della galleria F-Space di Santa Ana (California, USA), l’artista si posizionò di fronte ad un suo amico, al quale, rivolse le fatidiche parole: “Sei pronto Bruce?”. Un istante dopo, il fucile calibro 22 impugnato da quest’ultimo simula la morte in una frazione di secondo, lasciando il segno di un buco d’arma da fuoco nel braccio di Burden, che, in realtà, avrebbe dovuto soltanto sfiorare. Tale performance ansiogena, incontrollabile e violenta fu considerata una delle più spettacolari degli anni Settanta, da ricollocarsi in un contesto americano estremamente sovraccaricato dalle fantasie e dalle paure suscitate dalle sparatorie e dalle ferite d’arma da fuoco, delle quali la guerra del Vietnam sembrava il più logico e tragico seguito.
Gilles Mével, Dittico: Baia di Ha Long. Vietnam . Acrilico su tela, cm 80x160.
Breve storia dell'arte del Vietnam
Oltre alle vicende storico-belliche piuttosto turbolente del Vietnam, delle quali i fatti sopra citati rappresenterebbero solo una “piccola porzione“, senza neppure considerare i problemi dovuti alla colonizzazione e alla globalizzazione, è possibile parlare, invece, di una cultura figurativa solida, che, nel corso dei secoli, è riuscita a conseguire il raggiungimento della sua più autentica identità, volta ad inglobare origini che vanno dall’età della pietra per giungere sino ai tempi di oggi. Iniziando col parlare dell’8000 a.C., in quest’epoca fu ampia la produzione di oggetti di ceramica, che, a partire dal Neolitico, iniziò ad essere implementata con fini elementi decorativi, raffiguranti motivi geometrici, scene di vita quotidiana o di caccia. Successivamente, l’impulso creativo del Vietnam subì drasticamente l’influenza cinese, dovuta, sia alla presenza di governanti cinesi, che di vere e proprie invasioni e prese di potere da parte di “Pechino”. Se l’influsso cinese determino l’età dell’oro della produzione artistica vietnamita, prevalentemente realizzatosi tramite una ricca produzione di ceramiche, la successiva colonizzazione francese, manifestatasi mediante l’istituzione de l'École Supérieure des Beaux-Arts de l'Indochine, portò, con un’intensità mai vista prima, i metodi europei in Vietnam. Dopo gli interventi americani degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, si devono aspettare gli anni Novanta per parlare di un nuovo e florido impeto artistico vietnamita, capace di unire le tradizioni di due mondi opposti, complementari e inesorabilmente uniti dalla storia: l’occidente e l’oriente.
Phuong.C Nguyen, Nail time , 2018. Pittura, lacca / pigmenti / legno su legno, 75 x 60 cm.
Phuong.C Nguyen: Tempo di smalto
Quando ho osservato per la prima volta Nail time, mi è parso di trovarmi di fronte ad un’opera “classica” dell’arte tailandese, che, segnata dai colori rossi, dagli abiti tradizionali e immersa nella natura dei gesti del quotidiano, aveva il sapore del punto di vista di artisti noti quali, ad esempio, Nguyen Gia Trí e Lê Quốc Lộc. In realtà però c’è un piccolo dettaglio, che sposta la datazione della suddetta pittura dagli stilemi dell’Ottocento circa ad oggi: la boccetta di smalto di produzione industriale, precisamente derivata dagli studi del marchio Cutex, che, nel 1911, ideò la prima formula di smalto liquido. A parte questa minuzia anagrafica, però, l’opera, che come ci confida l’artista è stata eseguita durante il suo periodo di formazione e immortala il suo gatto, riprende effettivamente l’antica tecnica della lacca tailandese, utilizzata dai sopra menzionati e popolari maestri. Infatti, è possibile pensare a Nail time come un frammento di Women in the Garden di Nguyen Gia Trí, opera in cui non una, ma ben undici fanciulle, svolgono attività routinarie all’interno di una fiammante, o probabilmente autunnale, paesaggio. Questo capolavoro, in cui le donne appaiono in tutta la loro grazia, fascino e civetteria, rivelata dalla sinuosità e flessibilità dei loro corpi, ci fa quasi dimenticare della complessità del processo della pittura su lacca, che, nota con il nome di Sơn mài, è un processo pittorico molto laborioso, il quale prevede l’applicazione di più strati di lacca colorata e trasparente, che, dopo essere stati stesi l’uno sull’altro con relativa fase di asciugatura, devono essere strofinati con carta vetrata, polvere di carbone e capelli umani, al fine di raggiungere il colore desiderato. Infine, è importante specificare come la lacca in questione venga estratta dal solo albero cây sơn, forma di vita che abita le montagne della provincia di Phú Thọ.
Gilles Mével, Reflets: Vietnam , 2006. Pittura, acrilico su tela, 100 x 80 cm.
Gilles Mével: Reflets, Vietnam
Del dipinto di Mével conosciamo la datazione e la tecnica, individuiamo il soggetto che si palesa attraverso il figurativismo, ma ignoriamo la precisa location in cui esso prende vita e forma, valorizzando il tema del doppio, che viene quadruplicato dalla presenza dei riflessi dell’acqua di una tipica risaia vietnamita. Per soddisfare la mia e la vostra curiosità ho fatto delle ricerche online, cercando sui siti di note agenzie di viaggio, al fine di giungere ad una ipotetica conclusione: probabilmente, Vietnam è stato ambientato nella regione del Mu Cang Chai, zona settentrionale del paese in questione, che è considerata una dei granai più importanti del paese, in quanto ospita i campi di riso a terrazze tra i più vasti e pittoreschi di tutta l’Asia. In questa meta la maggior parte del turismo di massa giunge a Sapa, che, situata vicino al confine con la Cina, gode di paesaggi spettacolari, tranquilli e autentici. A proposito della storia dell’arte invece, la tavolozza di colori usata dall’artista di Artmajeur mi ha subito fatto pensare a Sai Son Landscape (1970) di Nguyen Tien Chung (1914 - 1976), pittore vietnamita che ha vinto il Premio Ho Chi Minh per la Letteratura - Arte nel 2000. Proprio come i soggetti di Vietnam, molti dei capolavori di Nguyen Tien Chung raffigurano contadini e lavoratori estremamente impregnati di identità nazionale, rivelandoci però una netta differenza: nel caso di Sai Son Landscape un vietnamita guarda ai cliché del suo paese, mentre, per quanto riguarda l’opera dell’artista di Artmajeur, il punto di vista in questione viene dalla Francia.
Vincent Villars, Paesaggio vietnamita , 2001. Olio su tela, 85 x 105 cm.
Vincent Villars: Paesaggio vietnamita
Cosa sarebbe accaduto se Matisse e Gauguin avessero visitato il Vietnam? A questa domanda risponde, in maniera ipotetica, originale e azzardatissima, Vietnamese landscape di Villars, volto a collocare un personaggio tradizionale in un rosso “analogo” a The Dessert: Harmony in Red (1908), cromia all’interno della quale egli assume le pose adagiate di Donne di Tahiti sulla spiaggia (1891), riportandoci all’esempio dell'École Supérieure des Beaux-Arts de l'Indochine e, di conseguenza, a quel vento d’influenze dell’arte occidentale spirato, anche successivamente, sulla tradizione figurativa vietnamita. Di fatti, a questo punto, mi vengono in mente proprio due maestri del Vietnam, i cui punti di vista sono stati probabilmente influenzati, in alcune delle loro manifestazioni artistiche, dalla produzione figurativa delle avanguardie novecentesche, ovvero: Hoàng Hồng Cẩm e Công Quốc Hà. Il primo dei due, classe 1959, è stato un pittore che ha manifestato affinità con la corrente dell’espressionismo, soprattutto quando si è dedicato alla raffigurazione di volti in primo piano, mentre, per quanto riguarda prospettive più ampie, egli ha spesso integrato quanto sopra con spunti di riflessione prettamente astratti. A proposito di Công Quốc Hà, invece, il maestro, classe 1955, è uno dei più noti pittori di lacche, che, proprio con il suo punto di vista unico e innovativo, ha dato nuova linfa vitale all’arte tradizionale vietnamita, presentando affinità, talvolta, con i punti di vista dell’arte “naïf”.