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Walter Togni

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Giovanni Buzi Scittore
Recensione dell’opera: “Global impact 1”, di Walter Togni

Struttura, movimento, uguale a stabilità.
Questa sembra la formula che sottende alla costruzione dell’opera “Global impact 1” di Walter Togni, una scultura in bronzo, ottone e legno di 30x50x60 centimetri. Una formula ardua poiché fissare il movimento in una struttura ferrea, cristallina che non intrappoli e non asfissi è stata una delle velleità più tipiche della scultura di tutti i tempi. La scultura è nata per lasciare un segno tangibile utilizzando materia solida, sia essa pietra, legno, metallo, eccetera, sulla quale la mano dell’uomo ha voluto imporre la propria impronta, la propria volontà. Prelevando una pietra dal suo stato originario, ricavando dalle pietre il loro sangue, i vari metalli, intagliando una materia già vivente come il legno, l’uomo ha cercato ricettacoli solidi ai quali confidare segreti, nei quali apporre segni, arcane scritture. Materie che vengono plasmate, scolpite, fuse, modellate, a volte dipinte, patinate, col solo intento di divenire simboli tangibili. In “Global impact 1”, come già il titolo suggerisce, si raffigura un mitico “impatto globale”, il numero 1 indica una qualche “primordialità”, sia essa avvenuta nella notte dei tempi, o forse, più inquietante, ancora da avvenire. Che si raffiguri un catastrofico impatto del nostro globo-Terra con forze imponenti venute dallo spazio o, forse, sprigionate dallo stesso nostro pianeta? Eppure, questa interpretazione di cosmica catastrofe trova nella soluzione scultorea un che di stabile, quasi appagante. Una struttura ferrea eppure aerea racchiude in essa, senza prigionie compositive, un globo in splendido equilibrio attraversato e sostenuto da una congerie di forze solidificate in una sorta di frecce-raggi incuineate in una base tonda. Base che accoglie la loro impetuosità annullandola nella sua superficie liscia, scevra di increspature e dolore. E l’idea dei raggi ritorna intorno al profilo del globo libero dalle frecce diagonali, fortificando l’impressione di solarità, di un’energia irradiante. L’idea primigenea di uno scontro catastrofico fra un globo e forze estranee viene annullata, compositivamente sublimata da un miracoloso equilibrio. Tutto si tiene. Tutto resta in un bilico, come i passi tesi nel vuoto di un fantastico funambolo spaziale. E noi, con esso, tratteniamo il respiro.
L’arte è riuscita ancora ad emozionarci.

Giovanni Buzi Scrittore
febbraio 2009

ArtMajeur

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