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Laura Bottaro

Ritorna alla lista Aggiunto il 5 mar 2012

Recensioni critiche

SOTTO IL SEGNO DEI CIELI D'ORIENTE

L'opera grafico pittorica di Laura Bottaro è documento vivo di un dialogo
incessante con il cosmo, l' universo, è trascrizione di una comunicazione
sensoriale e sensitiva alla ricerca del principio di verità, di purezza, di vita,
sondando le profondità dell'essere e dell'esistere.
Nell'immersione viscerale, notturna, coglie le folgorazioni improvvise
dell'angoscia più opprimente dalla quale scaturisce l'autentico anelito alla
liberazione, all'immortalità.
Nel buio lancinante nel quale tace la coscienza e segna il "vuoto" e il
silenzio diviene potenza dell' assenza, sgorga un grido, scatta il gesto urlante
pregno dell'umoralità più interiore, più intima.
Lontano dalla luce abbagliante dell'apparenza e dal rumore meccanico del
pensiero raziocinante viene la trasmutazione e la germinazione aurorale del sé
nutrito dalle emozioni dei sensi, sorvegliato con severa apprensione e illimitata
tenerezza nell'attesa della rivelazione della sua essenza.
La rigenerazione è un processo quasi alchemico di macerazione del corpo,
di alterazione fisiologica e quindi psichica della materia; dal primo sprigionarsi
dei gas asfittici della tumefazione si libera e libra nello spazio lo spirito, ovvero
il respiro cosmico. Della carne rimane l'emorragia del pneuma, un fiume
inesauribile come percorso verso l' infinito, flusso di esistenza nello stato di
assolutezza.
Bottaro compie un azzeramento delle facoltà razionali e, nello stato di
estrema passività che permette il più alto grado di ricettività, ausculta gli echi dei
sensi e il fluire della "sostanza" dall'esterno all'interno e viceversa.
Nell'annullamento irrompe l'illuminazione e l'artista diviene medium delle
pulsioni vitali.
Tale pratica di una conoscenza così irrazionale e tesa all'assoluto, così
spontanea e soggettiva non può non esigere necessariamente un'esecuzione
immediata che non lasci tempo all'infiltrazione della coscienza. L'acquerello con
interventi a punta di penna garantisce, nella sua inconsistenza e immaterialità,
una registrazione fedelissima, quasi simbiotica, delle percezioni e dell'attività
creativa dell'intuito. Come la mente è schermo di candore e di purezza sul quale
si proiettano i lampi dell'incandescenza vitale dell'esperienza, così la carta chiara
e molle docilmente si gonfia, si imbeve della loro sostanza, l'assorbe, ne riceve le
stigmate. Su di essa il calore delle cromie segniche si distende, si dilata quasi
fibrillazioni di emozionalità intima, intensa, ricalcando i tempi lunghi
dell'incantamento dei sensi, o guizzano, sussultando quasi sismi generati da
laceranti ferite.
In questo senso, se da una parte la ricerca espressiva di Laura Bottaro
ricorda quella dell'Espressionismo tedesco, nordico, dall'altra l'acutizzazione
della sensibilità non fine a se stessa o dissacrante, è quasi una religiosa
riappropriazione del sé in vista di un riscatto dell'uomo nei confronti della realtà
e della materialità inerte.
L'artista, pur riprendendo il percorso sulle tracce dell'esperienze
occidentali, approda alle terre d'Oriente e dimostra di essere assai vicina all'arte
influenzata dalla dottrina Zen e, in particolare ad un pittore cinese del X secolo,
Shih K'o (anche per il suo spirito di libertà e indipendenza) per il quale ogni
esistenza è irreale e l'uomo può arrivare a possedere la dimensione dell'assoluto.
I segni hanno così valore per se stessi e dimostrano la loro illusorietà: l'uomo
deve sprofondare nel mondo dei sensi ma essere guidato con l'arte a superare la
percezione visiva per "sentire" l'essenza della realtà.
Anche Bottaro scarnifica talmente la rappresentazione della realtà
rovesciandola continuamente nei suoi segni sottili e nervosamente insistiti o
graffianti, convulsi, o in segni macchia, distesi e ampi, profondi come abissi
carichi di energia magnetizzante; o, infine, nelle colorazioni evanescenti, sciolte,
espanse atmosfere cromatiche come tramite del continuo fluire degli eventi, delle
precipitazioni emotive. Molte altre solo le analogie, ma decisamente significativa
è la scelta dei soggetti che sembrano appartenere ai generi codificati
dell'espressione delle arti figurative efficaci veicoli di messaggi che l'artista
intende comunicare. La costante presenza del tema della donna rimanda all'idea
di emancipazione dell'assoluto dal reale di cui si parlava e nello stesso tempo
evocazione del mito della rigenerazione che lega indissolubilmente il principio
femminile al mistero dell'immortalità e a quello dell'universo. L'universo si può
indagare attraverso i principi della dilatazione/espansione e della
concentrazione/contrazione i cui tempi sono quelli del respiro o del battito del
cuore: il mistero dell'universo è quindi il principio vitale. Le opere di Bottaro
presentano gli stessi principi nei corpi femminili che si allargano, nella curva dei
fianchi che si espande verso il "vuoto" o si contrae nei "pieni" e gli stessi
paesaggi sono, rispetto ai corpi, il "vuoto" e la dispersione convulsa dell'io,
L'epoca aurorale preconizzata dall'artista è segnata dalla rinascita dell'uomo alla
vita autentica come il risorgere del sé, come il sole nei cieli d'oriente.
Carla Chiara Frigo













Cenere di rose


L’arte si confronta spesso con le grandi tragedie della storia, per lo più nelle forme della testimonianza o della denuncia, scrivendo talora pagine indimenticabili d’impegno civile ma esponendosi pure al rischio della retorica e della propaganda; altre volte scegliendo il tono più pacato ma non meno incisivo dell’accorata riflessione sulle radici del male e sulla controversa natura umana, capace del pari di grandezza e di meschinità, di suprema lealtà e di tradimento, di estremo amore sino al sacrifico totale di sé come della più efferata crudeltà. È un’interrogazione senza risposta e sempre ritornante
È con questo spirito che Laura Bottaro ha recentemente dedicato un ciclo di opere al genocidio degli Armeni, una delle pagine più dolorose del XX secolo, tragedia inaugurale di un secolo di eccidi, spesso avvolti dall’indifferenza e dimenticati, o persino –proprio come quello degli Armeni- caparbiamente negati, nonostante la straziante e macabra evidenza di documenti e testimonianze, sulle quali sorvolo poiché mi manca la minima competenza per una sia pur sommaria ricostruzione storica che del resto non rientra nelle finalità di queste mie brevi note, destinate a presentare le opere della pittrice vicentina. Benché le vicende evocate ne offrissero lo spunto, Laura Bottaro non si sofferma sulle scene di cruda violenza su cui oggi tanta pittura insiste con eccessiva disinvoltura e cinico voyeurismo, a tal punto da far spesso dubitare della sincerità delle intenzioni; al contrario sceglie il tono elegiaco di un sommesso e composto lamento funebre che parrebbe scandito sulle note umanissime e melanconiche di un duduk, il tradizionale flauto a doppia ancia che accompagna da 1500 anni le sofferenze del popolo armeno. Al dolore della perdita e a un orizzonte metafisico che la renda minimamente tollerabile, agli affetti spietatamente calpestati, alludono anche i titoli: “Nostalgia”, “Cenere di rose”, “Campi del cielo”… Il segno, il segno di Laura Bottaro così caratteristico da essere “firma” inequivocabile (e che del resto si ritrova nella scrittura stessa dell’artista), sembra in questi piccoli acquerelli percorso dal vento che spazza gli altopiani anatolici. Eppure è il suo segno di sempre, riconoscibilissimo, che non ama indulgere all’aneddoto e a notazioni ambientali, poco incline al racconto -dunque quanto di più lontano si possa immaginare da un facile mimetismo di maniera- ma tuttavia capace di immedesimarsi per intima adesione nelle situazioni che ne sollecitano l’invenzione, soprattutto di parlare la lingua più universale che esista, quella del dolore. Dal silenzio si leva ancora una volta l’eterna domanda: “Perché?”.

Lonigo, febbraio 2007




Manlio Onorato

Artmajeur

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