Scegli la tua espressione facciale!

Scegli la tua espressione facciale!

Olimpia Gaia Martinelli | 5 mar 2023 9 minuti di lettura 0 commenti
 

Sul tema del Sorriso, andando oltre la stella della Gioconda, è d'obbligo soffermarsi sul fatto che, se è vero che un capolavoro intento a mostrare un'espressione serena è stato concepito per trasmetterla, non verrà mai svelato a noi quali sentimenti effettivamente animavano i modelli ritratti...

LAUGH FOR THE BEST (2021) Dipinto di Val Escoubet.

Riflessioni intimiste...

Quando penso a me stessa mi immagino con il volto turbato e pensoso, espressione volta a dar voce al mio mondo interiore inesorabilmente segnato dalla continua ricerca della verità e della forma migliore, nonché dal perpetuo tentativo di sconfiggere il tormento, i miei mille dubbi, le mie insicurezze e le mie paure. Per fortuna, sono capace di esprimere anche altre mille e sentiti moti del corpo e dell’animo, anche se, forse proprio come voi, ritengo di avere un’espressione facciale predominante, che, riassuntiva del mio essere, è capace di mettermi immediatamente a nudo davanti agli altri. Mentre aspetto che riflettiate sulla faccia con la quale uscite di casa il più delle volte, introduco l’argomento in maniera generale e chiarificatrice, definendo a braccio il significato di espressione facciale, ovvero di quella serie di movimenti o posizioni dei muscoli sotto la pelle del viso, capaci di trasmettere lo stato emotivo dell’individuo che stiamo osservando, mediante una chiara, ma muta, comunicazione non verbale. È importante precisare come gli esseri umani, abili ad esprimere le emozioni volontariamente o involontariamente, siano capaci di esternare la verità del loro sentire, ma, allo stesso tempo, di celarla, in quanto l’evoluzione della specie ha portato l’uomo ad avere un controllo volontario sul proprio viso, cosa che gli consente di inibire la mimica autentica per assumere, al suo posto, un’espressione non realmente sentita. A questo punto, mentre camuffo il broncio con un sorriso, penso ad una cosa per me interessante: l’uomo può fingere i suoi stati d’animo, ma le opere d’arte non hanno motivo di farlo, in quanto gli artisti hanno scelto i loro soggetti come dei liberi prestanome delle loro sensazioni. A questo punto, meritano di essere approfondite sette espressioni facciali, quali quella del sorriso, della risata, dell’urlo, del pianto e della riflessione, mediante l’onesto racconto della storia dell’arte.

SMILE (2022) Scultura di Segutoart.

L'arte di sorridere e ridere

A proposito del Sorriso, esulando dalla star della Gioconda, è d’obbligo soffermarsi sul fatto che, seppur sia vero che un capolavoro intento a mostrare un’espressione serena è stato concepito per trasmetterla, non ci sarà mai svelato quali sentimenti animassero in realtà i modelli ritratti. Tale ambiguità, che svanisce soltanto nel ritratto di tipo psicologico, ci lascia il dubbio a proposito di molte opere d’arte che, come il Ritratto di uomo (1465-1476) di Antonello da Messina e la Schiava turca (1532) del Parmigianino, mostrano sorrisi più o meno autentici. Per ciò che concerne il primo dipinto, il protagonista del ritratto è stato colto rivolto a destra, mentre il suo viso è leggermente ruotato verso il fronte del dipinto, posizione che ci consente di contemplare un sorriso sicuro ed ammiccante, posto su di una fisionomia matura, in cui è visibile un sottile velo di barba. A riguardo dell’identità dell’effigiato, a causa del suo abito decorato con un colletto bianco, molti hanno pensato che egli fosse un marinaio, anche se di recente gli storici vi hanno riconosciuto le fattezze di Francesco Vitale da Noia, potente precettore e segretario di Ferdinando il cattolico, nonché vescovo di Cefalù (Sicilia), che, data la sua posizione, aveva tutti i requisiti per essere colto in una “beffarda” risata alla faccia di chi gli voleva male. Parlando invece del capolavoro del Parmigianino, il titolo dell’opera si lega alla presenza di un particolare copricapo dai più interpretato come un turbante, mentre, in realtà l’eleganza dell’effigiata era semplicemente arricchita da una tipica acconciatura delle nobildonne italiane del Cinquecento. Anche in questo secondo caso, l’effigiata assume una risata maliziosa, probabilmente favorita dalla consapevolezza della sua sensualità, che, sicuramente data dall’attributo di due grandi occhi verdi, era arricchita da una preziosa veste di seta blu con maniche a sbuffo, sormontata da un velo rigato in oro e arancio. Infine, la posizione leggermente di sbiego catturava, probabilmente, le fattezze di Giulia Gonzaga di Mantova o della poetessa Veronica Gambara.

GENERATION ANDROGYNOUS (2016) Disegno di Lucian Szekely-Rafan.

HAPPILY EVER SMILE (2022) Dipinto di Vitalina Desbocada.

Passando all’anno 2016, arricchiamo il racconto del passato con quello della storia dell’arte contemporanea, in cui il sorriso del disegno Generation androgynous dell’artista di Artmajeur Lucian Szekely-Rafan è dovuto, non alla prestanza fisica o all’agio economico del personaggio ritratto, ma alla sua più profonda consapevolezza, che, figlia legittima dell’emancipazione nostro secolo, è capace di poter prendere le distanze dalle etichette associate al sesso o alla provenienza delle persone, per accettare la ricchezza delle molteplici sfumature dell’essere umano, esaltandone la capacità di accettarle, viverle e comprenderle nella loro pienezza. Al fine di passare dal timido sorriso a bocca chiusa alla più sfacciata risata è necessario menzionare un’opera, volta a manifestare un concetto a metà strada tra le due liete esternazioni, concretizzatosi mediante un’espressione di contentezza, che, silenziosamente concepita per aggiungere la “vistosa” messa in mostra dei più o meno trentadue denti umani, si è esplicitata nel Cupido di Amor vincit omnia (1602-1603) di Caravaggio. Quest’ultimo dipinto, una delle opere più famose del maestro italiano, raffigura l’amore vincitore catturando le sembianze del modello Francesco Boneri, allievo e probabilmente amante dell’artista. Proprio quest’ultima ipotetica relazione giustificherebbe l’erotismo e il sorriso malizioso del Cupido, figura che pare invitare l’osservatore a raggiungerlo nella tela, al fine di offrirgli una dimostrazione concreta di tutta la potenza dell’amore. Tale carica sensuale è stata addirittura interpretata come una sorta di dichiarazione di omosessualità del Merisi, volta a dimostrare, in realtà, la libertà d’espressione dell’epoca, da ricercarsi, in questo particolare caso, nella personalità del committente dell’opera, ovvero il marchese Vincenzo Giustiniani, banchiere, collezionista d’arte e intellettuale italiano, conosciuto proprio per la sua importante collezione di dipinti di Caravaggio. Giungendo alla risata vera e propria è impossibile non pensare al Rembrandt che ride (1628), opera concepita per dar voce agli interessi dell’omonimo maestro olandese, che fu estremamente affascinato dalla ricca espressività umana, tanto da utilizzare, in molteplici occasioni, sé stesso come oggetto d’indagine emozionale. Sempre a riguardo del dipinto del 1628, esso raffigura il pittore nelle vesti di un rilassato soldato, il quale, scoppiando a ridere, coinvolge lo spettatore, che non capisce se l’artista sghignazzi con lui o di lui. Mettendo da parte “l’ambigua beffa” di Rembrandt possiamo immaginarci il pittore all’inizio degli anni Duemila, che, alle prese con un neonato Facebook decide, invece che consumare le sue adorate tinte, di fare un post con un emoji che ride, aggiornando il suo stato d’animo con il termine felicissimo, felice, pieno di gioia, etc, al fine di analizzare le espressioni umane anche da un punto di vista sociale, ovvero contando avidamente i like sotto la sua spensierata pubblicazione. Se molto probabilmente un grande talento sarebbe stato appiattito dalla mediocrità del linguaggio dei social media, altri artisti contemporanei trovano nelle modalità espressive di questi ultimi una grande fonte di ispirazione, proprio come dimostra l’emoji realizzato dall’artista di Artmajeur Vitalina Desbocada, il cui operato ha celebrato tali simboli pittografici in molteplici, accurate e “iperrealistiche” varianti.

SCREAM 15/22 (2022) Dipinto di Ilgvars Zalans.

Le urla dell'arte

La storia dell’arte ci insegna una delle sue tante preziose lezioni quando proviamo a ricercare, al suo interno, opere volte ad immortalare soggetti urlanti. Infatti, prima della fine dell’Ottocento, ovvero dell’iconico Urlo di Munch (1893–1910), pare alquanto laborioso trovare esempi del culmine dell’espressione drammatica causata da un evento interno, ovvero di natura introspettiva e psicologica, piuttosto che legato a una chiara manifestazione storica, mitologica, religiosa, etc. Archetipo di quanto appena affermato sono Il compianto sul Cristo morto (1463-1490) di Niccolò dell’Arca, lo Studio di volti per la Battaglia di Anghiari (1504 – 1505) di Leonardo da Vinci e L’Anima dannata (1525) di Michelangelo, tutte opere il cui la disgrazia è nata esternamente al corpo e alla mente degli effigiati. A proposito del primo capolavoro italiano, tale gruppo scultoreo composto da sette figure in terracotta, conservato presso la chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna, raffigura, al centro, il Cristo morto, la cui figura, distesa con la testa reclinata su di un cuscino, è circondata da altri personaggi, tra i quali spicca lo strazio urlante di Maria Maddalena, sentimento che pare trovare eco anche nella furiosa forza del vento che smuove nervosamente le sue stesse vesti. Se in questo caso fu la morte di Gesù a mettere in subbuglio gli animi, nel sopra menzionato Urlo di Munch la causa dello sfogo emotivo dell’effigiato fu semplicemente il suo forte sentire, ovvero quella sensibilità che lo portò alla percezione delle grida di una natura, circondata da un’atmosfera rossastra cosparsa di nuvole cariche di sangue. Quest’ultimo approccio intimistico all’arte, nonché all’arte di urlare, viene riproposto nel dipinto titolato Scream 15/22 ad opera dell’artista di Artmajeur Ilgvars Zalans, il quale ha realizzato una “versione contemporanea” dell’opera del maestro norvegese, in cui l’inquadratura prospettica si concentra esclusivamente sul soggetto urlante, che, privato del suo sfondo, risuona nella nostra immaginazione con maggiore forza e tempo di ripetizione.

LA CHIAMATA (2022) Dipinto di Jamie Lee.

Dubbio, riflessione e pianto...

Spesso, prima di scoppiare in un drammatico pianto, silenzioso e solitario o plateale e rumoroso, ci siamo presi, alle volte, un momento di pura e muta riflessione, durante il quale abbiamo calcolato, all’interno della macchina del nostro cervello, quali sono i drammi e le conseguenze effettivamente attribuibili a una determinata situazione o evento, che reale, fantastico o visionario che sia, ci è sembrato prossimo, imminente, pericoloso e minaccioso. Pensando ai personaggi riflessivi dell’arte, oltre al noto Pensatore di Rodin, mi vengono in mente le espressioni assorte, più o meno drammatiche, della protagonista de Il bar delle Folies Bergere e dei più sfortunati ritratti alcolici de La bevitrice d’assenzio (1901) di Picasso, de Il bevitore di assenzio di Manet (1858-1859), di Bevendo assenzio (1881) di Jean-François Raffaelli, etc. Dopo questa breve rassegna, in cui molteplici opere hanno legato quest’ultima bevanda allo stato d’animo più riflessivo, e forse anche un po' depresso, è possibile immaginare di guardare una bottiglia di assenzio come se avessimo gli occhi dei sopra menzionati “ubriaconi”, ovvero tramite la contemplazione del distorto Absinthe please dell’artista di Artmajeur Serhii Voichenko, il cui intento è forse quello di farci riflettere di come, molto spesso, gli stati più tragici della nostra mente siano inesorabilmente accompagnati dai nefasti eccessi di alcol. Il racconto continua, questa volta in totale sobrietà, mostrando una delle più estreme conseguenze dello stato di riflessione: le lacrime. Quest’ultime, all’interno del racconto della storia dell’arte, si sono inizialmente legate ad eventi prevalentemente storici, religiosi, mitologici, etc, e, successivamente, a vicende piuttosto personali. A proposito di quest’ultime è impossibile non pensare allo sfogo immortalato da Lichtenstein in Cryng Girl (1963), litografia che, realizzata nello stile dei fumetti, intendeva raccontare, insieme ad altre ad opera dallo stesso maestro, il dramma delle donne invischiate in relazioni amorose tossiche, in cui dominava una figura maschile autoritaria che ne causava l’infelicità. Se però in Cryng girl non è esplicitata la ragione delle lacrime della ragazza, essa è ben visibile nell’affine opera dell’artista di Artmajeur Jamie Lee, che, intitolata The call, mostra come la causa della sofferenza sia attribuibile alla persona che parla dall’altra parte della cornetta.


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